Negli ultimi anni, la competizione tra Stati Uniti e Cina si è intensificata in numerosi ambiti, tra cui quello del digitale. I semiconduttori sono e saranno negli anni a venire parte fondamentale di questa rivalità. Questi componenti dell’elettronica sono ormai onnipresenti nella vita quotidiana e sono utilizzati in molteplici settori, dalla telefonia alla produzione di veicoli elettrici, passando per l’Internet delle Cose e l’intelligenza artificiale.
Negli ultimi anni, la combinazione di tensioni geopolitiche e pandemia di Covid-19 hanno progressivamente aumentato la pressione sulla catena di approvvigionamento globale dei semiconduttori, portando a un aumento dei prezzi e delle scorte. Questa situazione ha colpito duramente molte industrie, tra cui l’industria automobilistica, che in alcuni stabilimenti si è trovata a dover sospendere la produzione per mesi a causa della mancanza di chip.
Negli ultimi anni, la Cina ha deciso di investire in modo massiccio nella produzione di semiconduttori, al fine di ridurre la propria dipendenza dalle tecnologie straniere, in particolare quelle statunitensi. L’obiettivo è quello di creare un’industria nazionale in grado di garantire l’autosufficienza in materia di semiconduttori e di diventare uno dei principali attori del mercato globale. Tuttavia, la posizione della Cina è ostacolata da una serie di fattori. Innanzitutto, il settore dei semiconduttori richiede un elevato livello di competenza tecnologica e di investimenti a lungo termine. Inoltre, le tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti hanno portato all’imposizione di dazi doganali e sanzioni commerciali, rendendo difficile l’accesso ai mercati stranieri per le imprese cinesi (Miller, 2022).
Per contro, gli Stati Uniti hanno adottato una politica di difesa dei propri interessi tecnologici, al fine di proteggere il proprio vantaggio competitivo sui mercati globali. Washington ha progressivamente deciso di limitare l’accesso delle imprese cinesi alle tecnologie americane al fine di mantenere il controllo sulle tecnologie fondamentali (Miller, 2022).
La cosiddetta “guerra dei semiconduttori” rappresenta una delle sfide più importanti per gli Stati Uniti e la Cina. Tuttavia, la competizione sui semiconduttori precede di molto quella tra Pechino e Washington. Erano degli anni ’80 le speculazioni sulla perdita o meno di posizione dell’industria microelettronica statunitense a favore delle imprese giapponesi. Nel 1986, i produttori giapponesi avevano infatti superato le aziende statunitensi nella quota di mercato mondiale. Per alcuni anni, gli Stati Uniti furono in ritardo rispetto al Giappone nelle tecnologie di processo e di produzione necessarie per lo sviluppo delle future generazioni di tecnologia dei semiconduttori. (Borrus, 1988; Warshofsky, 1989; Palca, J. 1986). Impauriti da un così impetuoso avanzamento giapponese, gli Stati Uniti avviarono una poderosa campagna volta a ostacolare questa ascesa che si articolava nell’imposizione di pesantissimi dazi a danno del paese e nell’obbligo a rispettare un accordo commerciale per aprire un’industria di microprocessori all’estero (Morelli, 2023),
La catena del valore dei semiconduttori è cresciuta sotto la guida del governo degli Stati Uniti negli anni ’60. Dopo la crisi a fronte dell’ascesa dell’industria giapponese, gli Stati Uniti recuperarono la leadership attraverso un accordo basato sull’egemonia predatoria. La globalizzazione dell’industria dei semiconduttori ha poi portato a nuove vulnerabilità che si sono accese e manifestate al deteriorarsi del contesto internazionale e ha portato la catena del valore dei semiconduttori ad entrare in una nuova era di transizione (Baek, 2022).
La catena del valore dei semiconduttori
Come si evince dal termine stesso, i semiconduttori sono sostanze con caratteristiche di conduttività elettrica intermedia tra quella dei conduttori e quella degli isolanti. Sono semiconduttori sostanze come il silicio o il germanio. Per le loro peculiari caratteristiche, i semiconduttori consentono una regolazione molto precisa della loro conduttività e sono ampliamente usati nell’industria elettronica; il silicio, per esempio, è l’elemento base dei chip. Il primo transistor, un dispositivo a semiconduttore largamente usato nell’elettronica analogica, fu inventato nel 1947 al Bell Labs, in New Jersey. I suoi inventori vinsero il premio Nobel per la fisica e crearono la prima industria elettronica moderna della Silicon Valley, in California, ponendo le fondamenta per la transizione al mondo digitale odierno.
Ogni paese nel mondo ha bisogno di semiconduttori, tuttavia, la loro produzione è estremamente complessa. La capacità produrre chip che siano sempre più piccoli in modo da accomodare le richieste del mercato è poi particolarmente critica. A tal proposito, il co-fondatore di Intel, Gordon Moore, aveva previsto già nel 1965, con quella che viene ricordata come la “legge di Moore”, che la complessità di un microchip, misurata ad esempio in numero di transistor per chip, sarebbe raddoppiata ogni 18 mesi. Ne segue che i computer sarebbero stati in grado di raddoppiare la loro efficienza, mentre il prezzo di mercato di questi beni avrebbe continuato a diminuire. Produrre questo tipo di chip però è anche sempre più difficoltoso (Kleinhans, 2020).
La catena del valore globale dei semiconduttori è altamente interdipendente, concentrata nelle mani di un esiguo numero di aziende, e basata su una forte divisione del lavoro tra gli attori che la compongono. La produzione dei differenti tipi di semiconduttore è dominata da una manciata di aziende. Per esempio, Intel possiede una quota di mercato del 82% nella produzione del processore x86, componente fondamentale nella produzione della quasi la totalità dei computer (Kleinhans, 2020).
Le tre fasi della produzione dei semiconduttori
Non è tuttavia solo la produzione di specifici tipi di semiconduttori ad essere altamente concentrata, ma la catena del valore stessa. La produzione di semiconduttori consiste in tre fasi relativamente distinte: la progettazione del chip, la sua fabbricazione, l’assemblaggio e test. Le aziende che progettano chip ma si affidano a produttori esterni per la fabbricazione e l’assemblaggio sono chiamate “fabless” – mancano di un “impianto di fabbricazione”. Il termine “fabless” indica quindi un’azienda che non produce le lastre di silicio o i chip utilizzati nei suoi prodotti. Le aziende statunitensi Broadcom, Qualcomm, Nvidia e AMD, sono ad oggi di gran lunga leader in questo settore (Trendforce, 2021). Sebbene un crescente numero di aziende fabless, tra le quali le cinesi Baidue e Alibaba, stiano progressivamente conquistando fette nel mercato, il software necessario per sviluppare i chip – l’EDA (Electronic Design Automation) – proviene invece essenzialmente da sole tre società, tutte con sede negli Stati Uniti. Senza questi strumenti, sviluppare chip è impossibile.
Le aziende fabless inviano poi i loro progetti alle aziende in grado di produrre queste componenti elettroniche, le vere e proprie fonderie. La prima fonderia al mondo, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), è stata costruita nel 1987; a partire dal 2015 rimane il più grande produttore globale di componenti di silicio, con una quota di mercato di circa il 55%. La TSMC è anche ad oggi una delle uniche aziende al mondo in grado di produrre chip di ultima generazione da 5nm. Per avere un’idea della posizione del mercato di TSMC basti pensare che la Semiconductor Manufacturing International Corporation (SMIC), una delle più grandi fonderie cinesi, è considerata in ritardo di almeno tre o quattro anni rispetto a TSMC.
L’ultimo passaggio dalla progettazione al chip finito è l’assemblaggio e test. Le società OSAT (Outsourced Semiconductor Assembly & Test) ricevono i wafer di silicio sviluppati dalle fonderie, li tagliano, testano e assemblano. Il mercato OSAT, da oltre 30 miliardi di dollari, è suddiviso tra società taiwanesi, cinesi e statunitensi, con alcune società taiwanesi che detengono una quota di mercato superiore al 50%.
Appare quindi più che evidente come, per la natura stessa della catena del valore dei semiconduttori, nessun paese possa considerarsi autosufficiente in quanto ad approvvigionamento di questa tecnologia. A fronte di crescenti tensioni geopolitiche questo aspetto non fa che esacerbare l’apprensione e i tentativi più o meno convincenti degli Stati di rendere più resistenti a shock esterni le loro economie.
Le restrizioni alle esportazioni
In questi mesi continuano a rincorrersi le notizie sulle nuove strette del Dipartimento del Commercio statunitense per i prodotti esportati in Cina. Le nuove regole richiedendo ai produttori come i giganti statunitensi Nvidia e AMD di avere una licenza del Dipartimento di Commercio per esportare semiconduttori e apparecchiature necessarie alla loro produzione verso Pechino. I divieti si susseguono in particolar modo per quanto riguarda le esportazioni di chip da utilizzare nei sistemi di supercalcolo cinesi, sistemi da oltre 100 petaFLOPS in grado di compiere più di 100 trilioni di operazioni al secondo. Un’altra ondata di restrizioni era arrivata ad agosto ed aveva riguardato, tra le altre cose, gli Electronic Design Automation (EDA) software. Le prime tre società nella produzione di queste componenti — Cadence (americana), Synopsys (americana) e Mentor Graphics (americana ma acquisita dalla società tedesca Siemens nel 2017) — controllano circa il 70% del mercato globale dell’EDA. Il loro predominio è così forte che molte startup EDA si specializzano in un uso di nicchia e poi si vendono a una di queste tre società, cementando ulteriormente l’oligopolio. Le restrizioni implicano che le aziende cinesi di chip non saranno in grado di accedere agli strumenti software più avanzati e, con il passare del tempo, potrebbero rimanere indietro nella corsa tecnologica.
Le tre società più grandi nell’indice di esposizione alla Cina sono Qualcomm, Texas Instruments e Broadcom (Morris, I., 2023). Non solo queste tre aziende americane realizzano tra un terzo e due terzi dei loro ricavi in Cina, ma sono anche tutte società di semiconduttori. Gli enormi margini di reddito netto compresi tra il 27% e il 44% sono una parte importante del successo delle tre aziende. Queste aziende di semiconduttori potrebbero beneficiare anche del sostegno che i governi occidentali stanno offrendo per rilocalizzare la produzione sul territorio nazionale. È di agosto la decisione dell’amministrazione Biden, di approvare il Chips and Science Act, misura da 280 miliardi di dollari e che prevede 52 miliardi di sussidi per incoraggiare le aziende che scelgono di costruire impianti di produzione dei chip su suolo americano. Oltre a un numero di aziende americane quali, ad esempio, Micron Technology o Intel, ad approfittare del clima statunitense era già stata nel 2020 la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, annunciando l’intenzione di costruire una fabbrica per semiconduttori dal valore di 12 miliardi di dollari in Arizona.
Tuttavia, se queste aziende dovessero lasciare la Cina, compensare quote di entrate così elevate richiederebbe nuove gigantesche fonti di domanda. Queste aziende sono in cima a qualsiasi elenco di compagnie che soffriranno se le relazioni sino-americane peggiorassero. Nvidia ha affermato che le misure sarebbero già costate all’azienda più di 400 milioni in vendite, senza considerare gli effetti del crollo in borsa, che nei giorni immediatamente successivi all’annuncio aveva visto un crollo delle azioni dell’azienda del -11%. In questo contesto, pare che l’affrancamento da Pechino di queste aziende sia ancora molto lontano. Per esempio, il mese scorso, Texas Instruments ha raddoppiato l’impegno a investire di più nel paese. Qualcomm ha collaborazioni con China Mobile, un gigante delle telecomunicazioni, e con una serie di produttori di cellulari cinesi.
In aggiunta, secondo alcuni analisti (Klingler-Vidra and Kuo, 2022; Hao, 2023), le restrizioni statunitensi potrebbero addirittura spingere la Cina a mobilizzare risorse e know-how con effetti a lungo termine ancora più drammatici per gli Stati Uniti. Le sanzioni stanno infatti motivando la Cina a stabilire livelli di sicurezza più elevati per la sua ricerca e sviluppo di tecnologia dei chip militari, rafforzando così il complesso militare-industriale, nonché ad accelerare lo sviluppo di tecniche per addestrare modelli di intelligenza artificiale su larga scala su diversi tipi di chip e ad utilizzare nuove tecniche software per ridurre l’intensità computazionale dell’addestramento di modelli di intelligenza artificiale su larga scala. Alibaba, Baidu e Huawei hanno cercato di utilizzare varie combinazioni di A100, chip Nvidia di vecchia generazione noti come V100 e P100. Al contrario, l’utilizzo di più tipi di chip è raramente visto tra le aziende statunitensi date le sfide tecniche per farli funzionare in modo affidabile (Hao, 2023).
Al netto di ciò, l’obbiettivo dell’amministrazione americana rimane chiaramente quello di rallentare la corsa di Pechino verso la supremazia tecnologica, riducendo al contempo la vulnerabilità americana dal mercato cinese. Tra le altre, gli Stati Uniti hanno siglato con Taiwan, Giappone e Corea del Sud la così detta Chip4Alliance (Alleanza per i chip), una partnership vista dalla Cina come un tentativo ancora più sfacciato di escludere la Repubblica Popolare dalla catena del valore mondiale dei semiconduttori.
Infine, oltre alle tensioni tra Cina e Stati Uniti, uno degli aspetti più rilevanti e forse più preoccupati a livello geopolitico è la centralità di Taiwan nel processo produttivo. Come detto, la TSMC ha annunciato l’intenzione di costruire una fabbrica per semiconduttori dal valore di 12 miliardi di dollari in Arizona. Taiwan, potrebbe però non beneficiare così tanto da un totale affrancamento statunitense dal mercato cinese (Mozur et. al., 2022). La dipendenza della Cina da TSMC e da altre società di chip taiwanesi potrebbe infatti dissuadere il Partito Comunista dall’invasione dell’isola e la dipendenza degli Stati Uniti dallo stesso know-how potrebbe dal canto suo conferire ulteriore credibilità al suo sostegno militare a Taiwan. Non a caso le persone a Taiwan chiamano la TSMC la loro “montagna sacra, protettrice della nazione” (Morelli, 2023).
Conclusioni
La guerra dei semiconduttori tra gli Stati Uniti e la Cina rappresenta una delle più importanti sfide del XXI secolo (Yu, 2020), in termini sia di competizione economica che di sicurezza nazionale.
La Cina sta cercando di ridurre la propria dipendenza dalle tecnologie straniere, in particolare quelle statunitensi, al fine di diventare un leader globale nell’industria dei semiconduttori. Gli Stati Uniti stanno adottando una politica di protezione dei propri interessi tecnologici, limitando l’accesso delle imprese cinesi alle tecnologie americane.
La guerra dei semiconduttori sta avendo un impatto significativo sulla competitività delle imprese, sulla sicurezza nazionale e sul futuro delle relazioni economiche tra gli Stati Uniti e la Cina. Tuttavia, la soluzione a lungo termine a questo conflitto non sarà solo tecnologica, ma anche e soprattutto politica e strategica.
Bibliografia
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Borrus, M. (1988). Chip wars: can the US regain its advantage in microelectronics? California Management Review, 30(4), 64.
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Klingler-Vidra, R., & Kuo, Y. C. (2022). Beijing, Washington and the art of chip war.
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