Media Monitoring e Fair Use

Perplexity AI e l’agonia del copyright: quale equilibrio tra tecnologia e diritto



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Perplexity AI è un motore di ricerca innovativo che combina algoritmi di indicizzazione con avanzate capacità di crawling. Tuttavia, la sua pratica di aggregazione di contenuti solleva questioni di copyright e concorrenza sleale. La controversia con Forbes evidenzia i limiti normativi attuali e la necessità di nuove regolamentazioni per tutelare i diritti d’autore

Pubblicato il 28 giu 2024

Alfredo Esposito

Studio Legale Difesa d’Autore



perplexity

Perplexity AI è un innovativo motore di ricerca basato sull’intelligenza artificiale, in grado di combinare i propri algoritmi di indicizzazione e ranking con le avanzate capacità di crawling per esplorare il web alla ricerca di contenuti rilevanti, attingendo non solo da fonti autorevoli, come avviene in un classico media monitoring, ma anche negli articoli solitamente rimandati alle pagine meno indicizzate da Google.

Per questo motivo, pur considerando il tema della poca affidabilità dei risultati di ricerca dei motori GenAI, non c’è thread di Reddit che non ne parli in maniera entusiasta.

Ma dietro questo successo c’è un lato oscuro. Che parla di possibili furti di articoli e potenziali violazioni di copyright. Lo ha segnalato Forbes. E una storia simile riguarda Wired e l’analoga funzione di Google Ai Overview integrata nella search.

Funzionalità trasformative e beta test di Perplexity Pages

La querelle riguarda in particolare Perplexity Pages, una funzione introdotta recentemente dalla piattaforma, ancora in beta test, lavora inoltre su una funzione “trasformativa” dei risultati ottenuti, permettendo all’utenza di trasformare notizie aggregate in articoli ex novo, che risultano effettivamente ben elaborati sia da un punto di vista sintattico che stilistico.

Da un punto di vista di proprietà intellettuale, l’acquisizione delle informazioni – sotto forma di dati – dal web, così come la successiva rimodulazione e generazione, si muove in quell’area grigia che sta facendo lentamente agonizzare il copyright nell’accezione storico-novecentesca tra cause giudiziarie globali e impossibilità di enforcement.

La controversia con Forbes

Secondo i giornalisti Sarah Emerson e Rashi Shrivastava di Forbes, i risultati di un’aggregazione di notizie di Perplexity del reportage esclusivo di Forbes sul progetto di droni segreti di Eric Schmidt (ex CEO di Google) contenevano diversi frammenti testuali che sembravano pedissequamente copiati da un loro articolo, sottraendo “oltre 17.000 visualizzazioni” al sito originale, attuando quindi in una effettiva concorrenza economica.
Forbes ha per tale motivo formalmente richiesto al CEO di Perplexity, Aravind Srinivas, che la startup apportasse modifiche sostanziale alle citazioni degli articoli generati dall’AI, facendo risaltare – nelle citazioni legit – la paternità dell’autore e dell’editore, e risarcisse Forbes per le entrate pubblicitarie derivanti dall’utilizzo non autorizzato dei suoi contenuti.

Implicazioni di copyright e concorrenza sleale

Risulta evidente che quando un aggregatore di notizie riporta una notizia acquisita da un altro portale in maniera leggermente modificata, rendendo sostanzialmente inutile il “click” sulla fonte originale, c’è il rischio che si configuri, oltre all’eventuale violazione di copyright, una forma evidente di concorrenza sleale. Questo potrebbe spostare la bilancia a favore dei detrattori dell’applicazione della disciplina del fair use ai modelli di AI Generativa.

Perplexity genera inoltre la maggior parte delle sue entrate dal servizio di abbonamento Perplexity Pro, che offre un co-pilota di ricerca e accesso a modelli linguistici avanzati come GPT-4 e LLaMA-3 per 20 dollari al mese.

Rassegna stampa e media monitoring: il caso italiano e le normative vigenti

In Italia, in tema di rassegna stampa e media monitoring, che potremmo – in un astratto territoriale – applicare al caso di Perplexity, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 7707 del 5 settembre 2022, ha espresso un importante principio in materia di diritto d’autore e, in particolare, sul rapporto tra l’art. 13 e gli artt. 65 e 101 della legge n. 633/1941 (LdA) sul diritto d’autore, sostenendo che “le società di media monitoring, pur svolgendo un’attività di selezione e di organizzazione di articoli e contributi vari, in assenza di specifica autorizzazione da parte dell’editore, ha comunque contravvenuto al divieto di riproduzione di articoli di giornale o di parti o pagine di giornale, in cui vi fosse la riserva della riproduzione, in quanto la sostenuta scriminante non è contemplata espressamente né dal diritto interno né dal diritto dell’Unione Europea, né – ancora – essa è evincibile interpretativamente. Sicché l’attività mantiene il carattere di comportamento lesivo del diritto di proprietà intellettuale dell’autore dell’articolo e dei connessi diritti patrimoniali dell’editore, dovendosi considerare una sorta di strumento succedaneo dell’acquisto del giornale.” La rassegna stampa distribuita a scopo di lucro rientrerebbe quindi in questa fattispecie.

Cosa prevede la legge sul diritto d’autore italiana

Tale interpretazione, ferma la sussistenza dell’art. 13 LdA sul diritto esclusivo di riproduzione, tiene in ampia considerazione il combinato disposto tra l’art. 65 della legge sul diritto d’autore italiana, che prevede che:

  • Gli articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso, pubblicati nelle riviste o nei giornali, oppure radiodiffusi o messi a disposizione del pubblico, e gli altri materiali dello stesso carattere possono essere liberamente riprodotti o comunicati al pubblico in altre riviste o giornali, anche radiotelevisivi, se la riproduzione o l’utilizzazione non è stata espressamente riservata, purché si indichino la fonte da cui sono tratti, la data e il nome dell’autore, se riportato.
  • La riproduzione o comunicazione al pubblico di opere o materiali protetti utilizzati in occasione di avvenimenti di attualità è consentita ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca e nei limiti dello scopo informativo, sempre che si indichi, salvo caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome dell’autore, se riportato.

E il, non attualissimo ma sempre vigente, articolo 101 della legge sul diritto d’autore che stabilisce: «La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Sono considerati atti illeciti: a) la riproduzione o la radiodiffusione, senza autorizzazione, dei bollettini di informazioni distribuiti dalle agenzie giornalistiche o di informazioni, prima che siano trascorse sedici ore dalla diramazione del bollettino stesso e, comunque, prima della loro pubblicazione in un giornale o altro periodico che ne abbia ricevuto la facoltà da parte dell’agenzia. A tale fine, affinché le agenzie suddette abbiano azione contro coloro che li abbiano illecitamente utilizzati, occorre che i bollettini siano muniti dell’esatta indicazione del giorno e dell’ora di diramazione; b) la riproduzione sistematica di informazioni o notizie, pubblicate o radiodiffuse, a fine di lucro, sia da parte di giornali o altri periodici, sia da parte di imprese di radiodiffusione.»

Il futuro del copyright e l’equo compenso

Traslata in un’ottica generale, soprattutto nel caso di giornali che esplicitamente riservano la riproduzione, la possibilità che la sola immissione del contenuto in rete possa essere considerata una violazione dei diritti d’autore rappresenta non tanto un regalo alla libera condivisione dei saperi quanto una lesione agli sforzi economici delle testate giornalistiche per assemblare notizie che richiedono un lavoro particolarmente oneroso.

I nodi del web scraping e del training dei modelli IA

Il punto nodale della questione gira sul fenomeno non ben affrontato del web scraping per fini di profitto e dei training dei modelli di AI, oltre che delle possibili maglie larghe che il fair use statunitense potrebbe rappresentare come scappatoia.

Per chi scrive, risulta indubbio che il concetto di fair use non trovi spazio laddove sia evidente nei soggetti concorrenti il fine di profitto.

Risulta altresì evidente che le attuali normative sul copyright non siano più sufficienti, se non per determinare quello che potrebbe essere un futuro equo compenso giudiziale o stragiudiziale. Considerando che dagli articoli e dai contenuti circolanti sul web vengono generati, in maniera sempre più costante e senza riferimenti agli autori originali, interi podcast per Spotify, video descrittivi per YouTube e libri in vendita su Amazon, e che le notizie circolano senza tutela dell’editore o dell’autore originale, questa imminente fine del copyright (per come lo abbiamo conosciuto) probabilmente terminerà con l’applicazione di un equo compenso.

Un equo compenso, questo è il timore, che toglierà ancora più valore al già troppo mal pagato lavoro dei giornalisti, soprattutto dei giornalisti di settore, che devono impiegare ricerche ben più selezionate di quelle stilisticamente eccellenti, ma pur sempre fallaci, degli aggregatori di notizie.

Conclusioni

Si fa sempre più strada l’idea che, accanto alla tutela sic et simpliciter del copyright, vadano affiancati valutazioni legali che tengano in conto il fine ultimo delle violazioni, come ad esempio la concorrenza sleale. Perché anche nell’aggregazione di notizie, così come nella rassegna stampa distribuita a scopo di lucro, il rischio che queste operazioni si trasformi in atti di concorrenza economica sleale è alto, in quanto avente caratteristiche parassitarie del prodotto offerto al mercato dall’editore dell’opera riprodotta.

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