Il caso

Pirateria software, quando la violazione del diritto d’autore è reato

La detenzione in un locale commerciale di una scheda per console di gaming idonea all’utilizzazione di software illecitamente duplicati può determinare conseguenze molto serie e portare anche a condanne penali. Un recente caso ce lo dimostra

Pubblicato il 14 Gen 2021

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

Nintendo-3ds-ds-cartridge

Con una recente sentenza, la Cassazione ha escluso la configurabilità del reato di duplicazione abusiva di opere coperte dal diritto d’autore nella condotta di un negoziante che aveva messo in vendita, esponendola, una scheda Nintendo DS capace di eludere i sistemi di protezione delle consolle per l’utilizzazione di software illecitamente duplicati. Ciò non toglie – e il caso che andremo a esaminare lo dimostra – che la detenzione di una scheda idonea all’elusione delle misure di protezione previste dall’articolo 102-quater della legge 633 in un locale commerciale può determinare conseguenze molto serie e portare anche a condanne penali.

Riproduzione abusiva di opere coperte da copyright: la legge e la sentenza

L’articolo 171-ter, lettera f) della Legge 633 del 1941 sanziona infatti piuttosto pesantemente (con la reclusione da sei mesi a tre anni oltre ad una multa) la duplicazione o riproduzione abusiva di opere destinate al circuito dei media e tutelate dalla legge sul diritto d’autore. La condotta però deve essere finalizzata ad usi diversi da quello personale, in particolare allo sfruttamento commerciale delle opere di terzi. La violazione del diritto d’autore sul software segue le stesse logiche.

Nel caso in esame, pur non essendo stati stati trovati presso l’esercizio commerciale altri materiali contraffatti, quali giochi e simili, il negoziante, tratto a giudizio, è stato condannato alla pena di quattro mesi di reclusione (condanna ridotta per la concessione delle attenuanti generiche), con condanna confermata in appello.

La Corte di cassazione, tuttavia, con la sentenza 36921 del 22 dicembre 2020 (emessa dalla terza Sezione) ha ritenuto che la precedente doppia decisione conforme andasse rivista, ritenendo fondato il terzo motivo del ricorso proposto e dichiarando l’intervenuta prescrizione del reato (diversamente avrebbe dovuto annullare la decisione della Corte d’appello di Roma, rinviando gli atti ad altra sezione della stessa Corte).

Le ragioni della decisione

L’argomento decisivo a favore dell’assoluzione è stato rinvenuto nella contraddittorietà della motivazione delle sentenze precedenti: da un lato, infatti, veniva affermato che la scheda era posta in vendita, dall’altro si affermava che la scheda stessa serviva ad “avere l’immediata disponibilità di opere abusivamente riprodotte presso l’esercizio commerciale”.

Nel primo caso si avrebbe avuto vendita diretta, con la conseguente integrazione di tutti gli estremi del reato previsto e punito dall’articolo l’art. 171-ter, lettera f) della Legge 633 del 1941.

Nella seconda ipotesi, al contrario, si sarebbe configurato un “utilizzo personale” della scheda idonea alla contraffazione, con la conseguenza che la condotta non sarebbe punibile.

Da qui l’accoglimento del ricorso per illogicità della motivazione: in altre parole, non essendo chiaro né dalle sentenze, né dal materiale probatorio, se lo scopo della detenzione della scheda fosse commerciale o personale, non era possibile confermare la sentenza di condanna.

Il reato previsto dalla legge sul diritto d’autore

L’articolo 171-ter, lettera f) della Legge 633 del 1941 punisce chiunque con la reclusione da sei mesi a tre anni “introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o la distribuzione, distribuisce, vende, concede in noleggio, cede a qualsiasi titolo, promuove commercialmente, installa dispositivi o elementi di decodificazione speciale che consentono l’accesso ad un servizio criptato senza il pagamento del canone dovuto”.

È un reato finalizzato unicamente a reprimere lo sfruttamento economico di schede idonee all’elusione delle misure di protezione previste dall’articolo 102-quater della legge 633 del 1941 e non – come indicato anche dalla Cassazione – l’utilizzo personale.

La normativa europea, sul punto, indica l’esigenza di adeguata tutela del diritto d’autore, che può essere offerta, come avviene nel nostro ordinamento, attraverso la sanzione penale.

Sempre dal diritto dell’Unione, tuttavia, viene posto il limite della proporzionalità tra sanzione prevista dall’ordinamento e tipologie di condotta sanzionabili.

Per questa ragione il legislatore non ha previsto un’ipotesi delittuosa per l’utilizzo personale – o per la mera detenzione – di strumenti idonei all’elusione delle misure di protezione previste dalla legge sul diritto d’autore.

Conclusioni

La sentenza 36921 del 2020 pronunciata dalla Terza Sezione penale della Cassazione non incide in maniera significativa sull’assetto della tutela penale del diritto d’autore in tema di software.

Si pone, piuttosto, in continuità con la giurisprudenza maggioritaria in materia di legge sul diritto d’autore e con le sentenze che sanzionano l’illogicità della motivazione in materia strettamente processuale.

Il caso è comunque interessante: si tratta, nella sostanza, di un’ipotesi in cui il procedimento penale non solo è partito, ma ha portato alla condanna in due gradi di giudizio, per la mera detenzione di una scheda in un negozio.

Si tratta, in conclusione, di comprendere che la detenzione di materiale simile determina sempre e comunque rischi molto seri e può portare a conseguenze anche gravi, come quelle in cui è incorso il protagonista della vicenda processuale che ah portato alla sentenza della terza Sezione penale della Cassazione del dicembre 2020.

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