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Politiche di self-preferencing, la lezione della mega-multa ad Amazon: i nodi aperti

Amazon, gestore della piattaforma di eCommerce più usata in Italia promuoverebbe indebitamente il proprio servizio di logistica a danno dei concorrenti, attraverso una condotta di self-preferencing. Per questo è stata multata da Agcm per 1,1 miliardi. Almeno tre le ragioni istituzionali per cui la decisione è da segnalare

Pubblicato il 08 Mar 2022

Valeria Falce

Jean Monnet Professor of EU Innovation Policy; Professor in Digital Transformation and AI Policy; Ordinario di diritto dell’economia nell’Università Europea di Roma e Direttore ICPC – Innovation, Regulation and Competition Policy Centre

Nicola M. F. Faraone

ICPC-Innovation, Regulation and Competition Policy Centre, Università Europea di Roma

amazon roomba irobot

In Europa le politiche di self-preferencing non sono nuove né alle imprese né ai controllori del mercato. Differenziare e preferire prodotti e servizi propri o di fornitori con cui si intrattengono rapporti commerciali è comportamento razionale per le une e condotta legittima per le altre. Sino a prova contraria. Salvo, cioè, che ad adottarle siano imprese in posizione dominante (lo afferma l’antitrust europeo e nazionale) ovvero fornitori di servizi di intermediazione di base, le piattaforme, che si presentano al mercato come gatekeeper (lo propone la nuova regolazione dedicata ai mercati digitali, il DMA). Come nel caso di Amazon, non a caso recentemente sanzionata dall’Antitrust italiano proprio per aver realizzato attraverso una condotta (definita dall’Agcm) di “self-preferencing”.

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La mega-sanzione Agcm ad Amazon

Seguendo questa linea, che pure negli USA si sta delineando, il 9 dicembre 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito, l’“Agcm”) ha inflitto la più alta sanzione di sempre nell’esperienza italiana, pari a 1,128 miliardi di euro, ad Amazon Europe Core S.à r.l., Amazon Services Europe S.à .r.l., Amazon EU S.à r.l., Amazon Italia Services S.r.l, e Amazon Italia Logistica S.r.l. (collettivamente, “Amazon”) per aver abusato della propria posizione dominante di mercato in violazione dell’art. 102 TFUE. Oltre alla maxi-sanzione, l’Agcm ha imposto anche una misura comportamentale, che sarà supervisionata da un monitoring trustee, in base alla quale Amazon dovrà consentire un accesso FRAND (Fair, Reasonable and Non-Discriminatory) e, quindi, concedere ogni privilegio di vendita e di visibilità sulla propria piattaforma a tutti i venditori terzi che sappiano rispettare standard equi e non discriminatori di evasione dei propri ordini, in linea con il livello di servizio che Amazon intende garantire ai consumatori Prime. Amazon, infine, sarà tenuta a definire e pubblicare tali standard e termini di accesso entro un anno dalla decisione.

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La strategia di self-preferencing

In una decisione di oltre 250 pagine, l’Agcm dimostra che Amazon avrebbe fatto leva sulla sua posizione dominante nel mercato italiano dei servizi di intermediazione e-commerce (o anche “servizi di intermediazione su marketplace”) per favorire l’adozione del proprio servizio logistico denominato Fulfillment by Amazon (“FBA”) da parte dei rivenditori terzi attivi nel suo marketplace (per semplicità denominati come “venditori ”). Più nello specifico, Amazon avrebbe illegittimamente condizionato e subordinato l’accesso a una serie di vantaggi esclusivi sul marketplace online di Amazon (“Amazon.it” o, anche, la “piattaforma”) all’adozione/acquisto dei suoi servizi di logistica, ostacolando, così, la concorrenza (vale a dire, l’ingresso sul (o il consolidarsi nel) mercato) di fornitori alternativi sia di servizi logistici che di marketplace.

Secondo l’Agcm, Amazon avrebbe violato l’art. 102 TFUE sfruttando indebitamente la sua posizione dominante nel mercato dei servizi di intermediazione su marketplace per rafforzare la sua posizione nel mercato adiacente dei servizi di logistica per e-commerce, dove fa ricorso al servizio “onnicomprensivo” FBA. Più nello specifico, la condotta illegittima consisterebbe nella concessione di vantaggi esclusivi sul proprio marketplace ai soli venditori retailer terzi che aderiscono al servizio FBA. La pratica sarebbe stata portata avanti mediante una strategia escludente nei confronti dei marketplace concorrenti e l’Agcm ha ben ritenuto che tali vantaggi (peraltro plausibilmente non ottenibili altrimenti) sarebbero strettamente subordinati all’utilizzo del servizio FBA.

Insomma, la strategia di Amazon sarebbe stata realizzata attraverso una condotta (definita dall’Agcm) di “self-preferencing”, così rimandando alla definizione proposta dal Tribunale dell’Unione Europea lo scorso 10 novembre 2021 nel caso Google Search (Shopping). In particolare, secondo l’Agcm il miglioramento delle prestazioni dei venditori retailer aderenti al servizio FBA non sarebbe espressione della “concorrenza basata sui meriti”, ma, piuttosto, la conseguenza di una pratica “discriminatoria”, che attuerebbe un trattamento difforme per servizio equivalenti, vale a dire, a seconda che i venditori retailer acquistino o meno i propri servizi di logistica per e-commerce. Attraverso questa strategia, il gestore della piattaforma di e-commerce più utilizzata in Italia promuoverebbe indebitamente il proprio servizio di logistica a danno dei servizi concorrenti, senza sottostanti ragioni di efficienza nella gestione della piattaforma, che siano oggettive, dimostrate e altrimenti non raggiungibili. In conclusione, la strategia perseguita avrebbe indebitamente favorito i ricavi generati da Amazon con il servizio FBA e la sua crescente quota di mercato rilevante che non si baserebbero sulla qualità e sul prezzo dei servizi di logistica, ma principalmente sui vantaggi “collaterali” offerti su Amazon.it.

Nodi aperti in punto di policy

Sebbene non definitiva, la decisione si segnala almeno per un triplice ordine di ragioni istituzionali.

  • Primo, conferma la crescente attenzione che il tutore nazionale della concorrenza riserva all’ecosistema digitale e ai suoi protagonisti: i quali, quando raggiungono (e, ancor più, consolidano) la soglia della dominanza, devono sottostare a responsabilità speciali e qualificate sui mercati in cui operano ed in quelli collegati come ogni altra impresa che gode di potere economico. Perché nei confronti dei market leaders le maglie dell’antitrust sono più strette e, nonostante siano in grado di offrire servizi ed esperienze personalizzate, a loro sono preclusi comportamenti e strategie commerciali che per altre imprese sono lecite.
  • Secondo, esprime la via italiana sul tema del concorso tra norme antitrust nazionali ed europee nel preservare la concorrenzialità dei mercati digitali. Proficua, infatti, è stata la collaborazione fra Agcm e Commissione nell’ambito dell’European Competition Network (ECN), rete istituzionale creata nel 2003 per la discussione e il coordinamento antitrust, e non scontata è la stata la scelta di promuovere due istruttorie parallele, quella nazionale, incardinata presso l’Agcm e quella, avviata in seconda battuta e tutt’ora in corso, dinnanzi alla Commissione Europea, che ha ad oggetto gli effetti della medesima politica commerciale a livello intraeuropeo (con l’eccezione dell’Italia). Tutto ciò è sempre da inserire nel contesto dell’attivismo degli Stati Uniti e della Commissione europea: oltre al sopra citato American Innovation and Choice Online Act (noto anche come il “Self-Preferencing” Bill), introdotto recentemente dai senatori Klobuchar e Grassley, sono, infatti, in via di definizione altri casi a livello europeo in tema di self-preferencing, come Google Android, attualmente pendente dinnanzi al Tribunale dell’Unione Europea, e Google Search (Shopping), la cui sanzione (confermata dal Tribunale) è stata di recente appellata dinanzi alla Corte di Giustizia.
  • Terzo, la decisione anticipa e conferma che regolazione e concorrenza sono co-essenziali nell’iniettare germi di concorrenza, contendibilità e correttezza negli ecosistemi digitali. Un analogo caso “domestico”, infatti, potrebbe essere avviato e concluso nel vigore delle attese norme sui mercati digitali (DMA), perché le nuove regole informeranno i mercati digitali e quelle antitrust continueranno a garantirne il funzionamento concorrenziale sia a livello UE sia a livello nazionale. Tenuto conto che regolazione e concorrenza sui mercati digitali non si ostacolano, ma si alimentano reciprocamente, dall’applicazione parallela delle norme ex ante del DMA e quelle ex post antitrust, a guadagnarci sarà il mercato interno dei dati, fondamentale nella costruzione della autonomia strategica europea.

*Questo articolo è parte della rubrica “Innovation Policy: Quo vadis?” a cura dell’ICPC-Innovation, Regulation and Competition Policy Centre

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