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Portabilità dei dati, l’Antitrust contro Google: così limita i benefici per i consumatori

Il diritto alla portabilità rappresenta un pilastro al fine di rafforzare il controllo degli individui sui dati, incentivando al contempo la concorrenza tra i player del mercato digitale. Google abusa della sua posizione dominante per impedirne l’esercizio? L’AGCM ha aperto un’istruttoria per verificarlo

Pubblicato il 16 Set 2022

Enrico Quaranta

Magistrato - già Capo di Gabinetto AGCM

google

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha annunciato l’avvio di un’istruttoria nei confronti di Google LLC, Google Italy S.r.l., Google Ireland Limited e nonché nei confronti della compagnia madre Alphabet Inc. (di seguito, anche “Google”), al fine di verificare la sussistenza della fattispecie di un relativo abuso di posizione dominante, in violazione dell’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (di seguito, anche “TFUE”), perpetrato attraverso la limitazione del diritto alla portabilità dei dati, garantito dall’art. 20 del Regolamento UE 2016/679 (GDPR); ciò sul presupposto che nei moderni mercati digitali la disponibilità di un numero elevato di dati e la loro rilevanza costituisce una rilevante leva concorrenziale.

Più in particolare, secondo l’Autorità il comportamento di Google da un lato sarebbe in grado di comprimere il diritto alla portabilità dei dati personali e, conseguentemente, di limitare i benefici che i consumatori potrebbero trarre dalla valorizzazione dei loro dati; dall’altro, di limitare la capacità degli operatori alternativi a Google di sviluppare forme innovative di utilizzo dei dati personali.

Big Data, il peccato originario di Google: così ostacola i servizi innovativi e la concorrenza

Il caso

Le censure verso l’azienda di Mountain View sono state mosse dalla società italiana Hoda, la quale ha rappresentato come la condotta di Google si estrinsechi in una restrizione della concorrenza, ostacolando i player sul mercato nello sviluppo di forme innovative di utilizzo dei dati personali.

Secondo quanto prospettato, Google deterrebbe una posizione dominante in diversi mercati, tale da permetterle di acquisire grandi quantità di dati attraverso i servizi erogati; al contempo essa ostacolerebbe l’interoperabilità nella condivisione dei dati presenti nella propria piattaforma con altre e, in particolare, con l’applicazione Weople gestita dalla Hoda, il cui core business è basato proprio sulla disponibilità di un elevato quantitativo di dati e sulla relativa valorizzazione, permettendo agli utenti di monetizzare l’offerta di dati personali, trattati in forma aggregata e anonima.

Nello specifico Hoda consente alle persone fisiche che si iscrivono ad essa di immettere i propri dati in una sorta di conto/cassetta e di beneficiare di un guadagno ogni volta che le imprese richiedono tali dati, in forma statistica, aggregata e anonima, per lo svolgimento della propria attività di targhettizzazione della clientela o per altri fini, come la creazione di database statistici o strumenti di enrichment.

Hoda avrebbe dunque chiesto la realizzazione di un’application programming interface (“API”)[1] per consentire agli utenti di trasmette i dati personali all’account Weople, vedendo tuttavia negata tale possibilità, a fronte dell’imposizione, da parte di Google, dell’utilizzo del servizio Google Takeout[2].

Google avrebbe quindi ostacolato l’interoperabilità dei dati, tenendo una condotta di potenziale abuso della propria posizione dominate ai sensi dell’art. 102 TFUE mediante restrizione della concorrenza nel mercato dell’utilizzo dei dati personali.

Onde verificare la sussistenza di una condotta contraria alla disciplina antitrust, nel provvedimento di avvio dell’istruttoria l’Autorità ha individuato i mercati rilevanti nell’insieme delle attività che consentono a Google di “accumulare, custodire ed elaborare i dati degli utenti finali”. Ha poi evidenziato come Google riesca ottenere il consenso all’utilizzo dei dati degli utenti più facilmente rispetto ad altre piattaforme concorrenti, potendo godere di numerose e varie fonti di consenso, che vanno a costruire sul medesimo soggetto un intero “ecosistema” di dati.

Nessun dubbio poi da parte di AGCM circa la sussistenza del criterio della posizione dominante in capo a Google, nei singoli mercati rilevanti presi di volta in volta in esame, sulla scorta dei dati già raccolti nei casi Google Android, Google Shopping e Google Fitbit, ancora attuali.

L’istituto della portabilità dei dati, invero, nella misura in cui permette di facilitare la circolazione dei dati e la mobilità degli utenti, offre agli operatori commerciali l’astratta possibilità di esercitare una pressione concorrenziale su operatori come Google, che fondano la propria dominanza sulla creazione di ecosistemi basati sulla gestione di quantità tendenzialmente illimitate di dati, funzionale solo al proprio modello di business.

D’altro cento l’istituto può offrire agli utenti la possibilità di conseguire il massimo potenziale economico dall’utilizzo dei dati personali, anche attraverso modalità di sfruttamento alternative a quelle attualmente praticate dall’operatore dominante.

In tale ottica, secondo l’AGCM il comportamento di Google risulterebbe in grado di restringere il gioco della concorrenza e di comprimere il diritto alla portabilità regolato dall’art. 20 del Regolamento UE 2016/679, limitando i benefici che i consumatori potrebbero trarre dalla valorizzazione dei dati.[3]

L’Autorità pertanto conclude nell’avvio per la possibile sussistenza delle condotte denunziate come lesive dell’art. 2 TFUE e più segnatamente nel senso che davvero gli ostacoli frapposti da Google all’individuazione di meccanismi di interoperabilità idonei a rendere i dati presenti nella propria piattaforma disponibili a piattaforme alternative, abbiano pregiudicato l’esercizio, da parte dell’utente finale, del diritto alla portabilità dei propri dati, stabilito dal menzionato articolo 20 del GDPR, risolvendosi in un indebito sfruttamento, da parte della stessa Google, dei consumatori finali nella misura in cui determina una limitazione dei benefici che i consumatori potrebbero trarre dalla valorizzazione dei loro dati personali”.

I Big data: cenni

Nel provvedimento in esame, l’Autorità ricorda che la disponibilità di Big Data è essenziale perché da essi dipendono caratteristiche fondamentali del servizio reso, in particolare in termini di innovazione e/o di personalizzazione

Si è già altrove evidenziato, in proposito, che sono proprio i Big Data ad orientare in maniera determinante il mercato della pubblicità digitale, da costituire oggetto di un’indagine conoscitiva pubblicata nel febbraio 2020 dalle tre Autorità interessate[4].

I cosiddetti Big Data si generano, appunto, con l’attività degli utenti nell’ambito di Internet of things.

La loro elaborazione comporta l’organizzazione dei dati acquisiti allo stato grezzo, per cavarne informazioni suscettibili di essere utilizzate per finalità economiche.

La loro interpretazione consiste nel compierne un’analisi approfondita al fine delle conseguenti strategie economiche; analisi da cui cogliere trend di consumo e di comportamento degli utenti ed ottenere informazioni finalizzate ad orientare e/o adattare, rispetto alle preferenze espresse dai propri utenti/clienti, le scelte commerciali o perfino a determinarle[5].

L’AGCM nell’ambito del suo intervento nella riferita indagine ha diviso in tre grandi macrocategorie le aree di impresa in cui possono operare i Big Data:[6] e comunque affermato come l’utilizzo dei dati agisca sulle dinamiche competitive e concorrenziali del mercato.

In particolare, ha rilevato come i vari business fondati sui Big Data caratterizzano fortemente i modelli economici dei servizi digitali, con elevati livelli di concentrazione ed operatori che detengono posizioni di assoluto rilievo in questi mercati.

Ad esempio, il potere di mercato d Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft, di dimensione globale e caratterizzato da servizi che rivestono un ruolo centrale nella vita degli utenti (privati o imprenditori) e nelle transazioni smaterializzate e digitali.

L’abuso di posizione dominante: cenni

Fatte le superiori premesse, prima di analizzare i comportamenti condotti sotto la lente dell’Autorità, occorre definire alcuni aspetti della fattispecie dell’abuso di posizione dominante.

Va qui rammentato come l’elemento normativo fondante la disciplina del controllo in ordine all’abuso di posizione dominante – come menzionato – risiede nell’art. 102 TFUE, da ultimo modificato dall’articolo 2 del trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, all’art. 102, precedentemente contenuto nell’art. 82 CE.

Ai fini dell’applicazione dell’art. 102 TFUE, la posizione dominante consiste in una situazione di potere economico grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare il persistere di una concorrenza effettiva nei mercati rilevanti e di agire in maniera significativamente indipendente rispetto ai suoi concorrenti, ai suoi clienti e, in ultima analisi, ai consumatori.

Tale norma proibisce ad una o più imprese che ricoprono una posizione dominante nel mercato interno, o su una parte sostanziale dello stesso, di trarre un indebito vantaggio dallo sfruttamento abusivo di tale posizione.

Determinante, dunque, non è la posizione dominante, di per sé non proibita e che rappresenta esclusivamente un elemento necessario ma da solo non sufficiente ai fini della configurabilità della fattispecie, quanto l’abuso, ossia l’effetto distorsivo sulle normali dinamiche del mercato interno.

Elementi, dunque, necessari e cumulativi tra di loro che devono concretizzarsi affinché possa delinearsi la fattispecie sussunta nella norma in esame sono:

  • un’impresa o associazioni di imprese;
  • una posizione dominante nel mercato interno o su una sua parte sostanziale;
  • un abuso di tale posizione;
  • che tale comportamento abbia l’effetto di influenzare il mercato comune.

In linea generale, comunque, affinché si verifichi l’effetto distorsivo del mercato attraverso un comportamento anticoncorrenziale nel commercio, non è necessario che vi sia un effettivo scambio di prodotti e servizi da un paese membro all’altro, ma è sufficiente che si creino delle condizioni ostative o fortemente limitative della concorrenza entro i confini nazionali di uno Stato membro, tali da restringere sostanzialmente o addirittura impedire la competizione in quello spazio che è pur sempre area del Mercato comune europeo.

Posto dunque che la posizione di dominanza di per sé non è proibita, ma è l’abuso di tale posizione ad essere oggetto di divieto nella lettera dell’art. 102 del TFUE, il quale indica tra le pratiche abusive anche ostacoli o limitazioni nella produzione o nello sviluppo in danno ai consumatori.

La fattispecie concreta

Venendo al caso di specie, l’Autorità ha anzitutto rilevato che l’offerta agli utenti e la molteplicità dei servizi che compongono l’ecosistema di Google[7], permette a quest’ultima di acquisire una quantità di dati tale da consentire una profilazione degli utenti massimamente qualificata.

Al fine di verificare la sussistenza di una condotta contraria al detto normativo antitrust, l’AGCM ha indirizzato la propria attenzione verso il complesso ruolo che i dati volgono nell’ecosistema sviluppato da Google e la valorizzazione degli stessi nei mercati della pubblicità online che rappresentano l’elemento fondante della posizione dominante detenuta dall’operatore.

I mercati rilevanti, come premesso, sono stati dunque individuati a partire dall’insieme di attività che consentono a Google di accumulare, custodire ed elaborare i dati degli utenti finali, considerando, quale ulteriore fattore, la capacità di quest’ultima di ottenere il consenso degli utenti più facilmente rispetto ad altre piattaforme di utenti identificato come default behaviour.[8]

In questo panorama, AGCM ha concluso che gli ostacoli posti da Google all’individuazione di meccanismi di interoperabilità al fine di rendere disponibili i dati presenti nelle proprie piattaforme a player alternativi, pregiudicano l’esercizio del diritto alla portabilità dei dati personali, garantito dall’art. 20 GDPR (di cui si dirà a breve), con un indebito sfruttamento, da parte della stessa Google, dei consumatori finali nella misura in cui determina una limitazione dei benefici che i consumatori potrebbero trarre dalla valorizzazione dei loro dati personali.

Per altro verso, che in tal modo Google riesce a preservare la propria posizione nello sfruttamento commerciale della mole dei dati personali resi a essa disponibili attraverso la posizione detenuta su una varietà di mercati digitali con beneficio esclusivo di tutte le attività da essa svolte e che si basano sull’utilizzo massivo degli stessi, così ostacolando lo sviluppo di modalità alternative di valorizzazione dei dati e dunque l’esplicarsi di una concorrenza basata sul merito, ottenendone un indubbio vantaggio commerciale.

La questione dell’interoperabilità come strumento per assicurare mercati digitali contendibili era già stata affrontata dall’Autorità nel caso Android Auto (Google/Enel X Italia) dove, sebbene sotto diverso profilo giuridico, Enel aveva chiesto al colosso di Mountain View di consentire l’interoperabilità di JuicePass con Android Auto, una funzionalità dell’omonimo sistema operativo (di proprietà di Google) che permette l’utilizzo di app alla guida in modo sicuro attraverso i sistemi di infotainment delle auto.

In più occasioni, tuttavia, Google aveva negato il proprio consenso all’operazione con l’obiettivo, secondo l’AGCM, di garantire l’egemonia dell’app di navigazione Google Maps.

Nella condotta appena richiamato è emerso il ruolo di gatekeeper ricoperto da Google e di conseguenza, l’ostacolo posto all’interoperabilità, ha assunto rilievo ai sensi della normativa antitrust in termini di condotta escludente omissiva di tipo discriminatorio; tuttavia, quel rileva in entrambi i casi è il dinamismo e l’elevato grado di innovazione del mercato, con il concreto rischio dell’estromissione di un concorrente dal mercato.

Tuttavia, come visto, la fattispecie oggetto di indagine dell’Autorità è strettamente connessa ad un ulteriore violazione, che sfocia nella materia della protezione dei dati personali e, precisamente, il diritto alla portabilità dei dati e l’interoperabilità dei sistemi.

Il diritto alla portabilità e l’interoperabilità

Gli aspetti di maggior interesse afferenti al caso oggetto di istruttoria concernono la normativa in materia di protezione dei dati personali, con particolare riferimento all’art. 20 che attribuisce all’interessato il diritto alla portabilità dei dati.

L’istituto nasce nel mercato delle telecomunicazioni con lo scopo di consentire all’utente di variare operatore portando con sé i propri dati e garantendo in tal modo una continuità di servizio.

In tal modo, il legislatore europeo ha voluto contrastare il fenomeno del lock-in tecnologico, promuovendo la condivisione di dati personali tra titolari del trattamento[9] e l’innovazione tecnologica, nel pieno rispetto dell’interessato.

La stessa AGCM ha riferito come l’istituto della portabilità dei dati, nella misura in cui permette di facilitare la circolazione dei dati e la mobilità degli utenti, offre ad operatori alternativi la possibilità di esercitare una pressione concorrenziale su operatori come Google, che fondano la propria dominanza sulla creazione di ecosistemi basati sulla gestione di quantità tendenzialmente illimitate di dati, funzionale solo al proprio modello di business. Inoltre, il diritto alla portabilità, se accompagnato da effettivi meccanismi di interoperabilità, può offrire agli utenti la possibilità di conseguire il massimo potenziale economico dall’utilizzo dei dati personali, anche attraverso modalità di sfruttamento alternative a quelle attualmente praticate dall’operatore dominante.

La condivisione dei dati rappresenta senz’altro una posizione preminente nelle moderne economie digitali.

L’accesso alle moderne tecniche di analisi e raccolta dei dati risultano imprescindibili con risultanti in termini di ottimizzazione dei processi decisionali, in modo da erogare servizi e offrire prodotti sempre più in linea con i bisogni dei consumatori.

La libera circolazione dei dati assume, dunque, un ruolo precipuo per l’innovazione, e per lo sviluppo di innovazioni quali l’artificial intelligence e l’internet of things (di seguito, anche “IoT”)[10], o anche di tecnologie quali machine learning e deep learning.

Tali tecnologie sono basate su modelli di comportamento basate sull’analisi di dataset, la cui presenza di big data diviene fondamentale per lo sviluppo e per il funzionamento stesso.

Il processo tecnologico impone dunque un continuo accesso ai dati a prescindere dalla fonte che li ha generati o del soggetto che li sta trattando.

Appare dunque evidente che, in siffatto contesto, l’interoperabilità e la condivisione di informazioni, costituiscono priorità sia sotto il profilo normativo che fattuale.

A tale proposito, il Considerando 68 del GDPR chiarisce che, l’obbligo per i titolari di fornire i dati in un formato strutturato, di uso comune e leggibile dai dispositivi automatici, si esplica nell’esigenza per le aziende di sviluppare formati interoperabili che consentano la portabilità dei dati.

Tuttavia, il medesimo considerando chiarisce che il diritto dell’interessato di trasmettere o ricevere dati personali che lo riguardano, non dovrebbe comportare l’obbligo per i titolari del trattamento di adottare o mantenere sistemi di trattamento tecnicamente compatibili.

D’altronde, lo stesso art. 20, comma 2, GDPR individua un limite laddove prevede che nell’esercitare i propri diritti relativamente alla portabilità dei dati a norma del paragrafo 1, l’interessato ha il diritto di ottenere la trasmissione diretta dei dati personali da un titolare del trattamento all’altro, se tecnicamente fattibile.

Per cui, pretendere un’interoperabilità senza soluzione di continuità, equivarrebbe, d’altra parte, a legittimare operazioni di svuotamento del valore di sistemi tecnologici, programmi di compliance, investimenti tecnologici e, più in generale, sforzi economici da parte dei titolari di volta in volta targettizzati. Viene in mente la favola della cicala e della formica, se non fosse che nel caso in esame quest’ultima rischia di ritrovarsi senza provviste, dovendole cedere per intero, dopo tanta fatica, alla cicala.

In tale contesto, tuttavia gli operatori privati che detengono una mole significativa di dati impediscono a parti terze di accedervi in modo agevole, ostacolando sia l’innovazione che il processo competitivo.

Assumono dunque primaria importanza le API che, se sicure, standardizzate e aperte agevolerebbero la condivisione degli stessi.

Sotto il profilo antitrust, tuttavia, non può non considerarsi come il diritto alla portabilità integra uno strumento di base volto a garantire l’interoperabilità tra i player assicurando la libertà di iniziativa economica e promuovendone la concorrenza.

Fulcro della normativa privacy è sicuramente la persona fisica nella veste di interessato ed è questo che deve in primo luogo poter beneficiare degli effetti diretti della portabilità.

Ad ogni modo la portata del fenomeno, ormai evidente, deve tener conto di tutti gli elementi e gli effetti che lo stesso produce nell’era digitale.

In quest’ottica, deve quindi tenersi conto degli effetti fortemente distorsivi che un utilizzo eccessivo, massivo ma abusivo di questo diritto da parte degli intermediari sia in grado di produrre sul mercato dei dati.

Più segnatamente, deve evidenziarsi come un uso alterato ed ambiguo della posizione dominante generata dalla disponibilità di una gran mole dati, possa generare un indubbio vantaggio commerciale per determinati player che godano nel relativo sfruttamento commerciale e, quindi, integrare condotte che – ai fini antitrust – vadano adeguatamente valutate e sanzionate.

Conclusioni

L’accesso ai dati si rivela sempre più essenziale per l’innovazione tecnologica e digitale, nonché per garantire le logiche della concorrenza, con una necessità sempre maggior di condividere e trasferire informazioni omogenee attraverso interfacce standardizzate e interoperabili. Il diritto alla portabilità rappresenta senz’altro un pilastro al fine di rafforzare il controllo degli individui sui dati, incentivando al contempo la concorrenza tra i player del mercato digitale.

In tale contesto la portabilità dei dati assume una duplice valenza: offrire ad operatori di esercitare una pressione concorrenziale sui grandi operatori e sugli ecosistemi basati sulla gestione dei big data e dall’altro, offrire agli utenti il massimo potenziale economico dall’utilizzo dei dati personali.

Occorrerà dunque attendere gli esiti dell’istruttoria sulla condotta tenuta da Google ed i provvedimenti che saranno del caso adottati dall’Autorità per la rimozione degli ostacoli eventualmente riscontrati alle dinamiche concorrenziali, in funzione della dell’interoperabilità dei sistemi (laddove tecnicamente possibile e in grado di offrire un concreto vantaggio e non una maggiore complessità o pregiudizio per l’utente), della tutela dell’innovazione e della garanzia pro concorrenziale dei diversi modelli di business; d’altro canto, in funzione di un’offerta di servizi in grado di assicurare un complessivo beneficio per il consumatore.

Note

  1. In un programma informatico con il termine API si indica un insieme di procedure (in genere raggruppate per strumenti specifici) atte a risolvere uno specifico problema di comunicazione tra diversi computer o tra diversi software o tra diversi componenti di software.
  2. Google Takeout, noto anche come Download Your Data, è un servizio che consente agli utenti dei servizi Google (quali YouTube o Gmail) di esportare i propri dati in un archivio scaricabile.
  3. Afferma l’Autorità, “in questo contesto assume particolare rilievo il pervasivo e complesso ruolo che i dati volgono nell’ecosistema sviluppato da Google, in cui l’offerta agli utenti di una gamma di servizi pressoché idonea a soddisfare le diverse esigenze che il singolo individuo ricerca nell’interazione con Internet alimenta l’acquisizione di rilevati quantità di dati”. “Mentre allo stato”, continua l’Autorità, “i dati acquisiti da Google vengono dallo stesso valorizzati nei mercati della pubblicità on-line, nei quali in particolare rappresentano l’elemento fondante della posizione dominante dell’operatore, in prospettiva l’applicazione in chiave pro-concorrenziale dell’istituto normativo della portabilità dei dati disciplinata dall’articolo 20 del GDPR apre agli utenti la possibilità di usufruire di diverse e ulteriori modalità di valorizzazione degli stessi. In particolare, in Italia l’attività di Hoda, ove non ostacolata da Google, potrebbe introdurre forme innovative di trattamento dei dati”.
  4. Il 30 maggio 2017 l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni , con delibera n. 217/17/CONS recante “Avvio di un’indagine conoscitiva sui big data”, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con provvedimento n. 26620 del 30 maggio 2017 “IC53 – Big Data”, e il Garante per la protezione dei dati personali – sulla base delle determinazioni adottate nell’adunanza collegiale dell’11 maggio 2017, hanno avviato congiuntamente una Indagine conoscitiva volta ad approfondire la conoscenza degli effetti prodotti dal fenomeno dei Big Data e analizzarne le conseguenze in relazione all’attuale contesto economico-politico-sociale e al quadro di regole in vigore.
  5. Sul tema, V. G. Colangelo, “Big data, piattaforme digitali e antitrust”, Il Mulino editore, 2019, https://www.rivisteweb.it
  6. Segnatamente:1) mercati in cui l’utilizzo dei Big Data ha un rilievo di tipo organizzativo interno all’azienda, per la fornitura del bene/servizio; 2) mercati in cui l’utilizzo dei Big Data può incidere sull’offerta, nei settori caratterizzati da elevate asimmetrie informative e dallo svolgimento di attività di distribuzione/intermediazione (qui gli scopi di utilizzo vanno dal design di prodotti e servizi, al marketing, al customer care); 3) mercati in cui l’utilizzo dei Big Data è assolutamente rilevante giacché da esso dipendono le caratteristiche fondamentali del bene/servizio da offrire, in termini di innovazione e/o di personalizzazione.
  7. Il principale servizio offerto da Google è il servizio di ricerca Google Search, al quale si è affiancata una vasta gamma di servizi che comprende il browser proprietario Google Chrome, la gestione dei pagamenti attraverso Google Wallet, lo store per l’acquisto di musica, film, libri e applicazioni Google Play, il sistema di posta elettronica Gmail, la piattaforma di videosharing e streaming musicale YouTube, i programmi per la produttività Google Docs, il servizio di traduzione Google Translation, l’archiviazione cloud con Google Drive, il servizio di gestione foto Google Foto, il sistema di navigazione Google Maps, l’assistente virtuale Google Assistant, nonché i dispositivi indossabili da questa distribuiti su mercato.
  8. Oltre alle numerose fonti di raccolta del consenso degli utenti, assume rilievo la circostanza per cui il consumatore tende a prestare il proprio consenso rapidamente per ottenere la disponibilità del servizio a fronte del rilascio di un’autorizzazione al trattamento di dati destinati a Google.
  9. Ai sensi dell’art. 4, par. 1, n. 7, GDPR, Il titolare del trattamento (noto anche come data controller) è la persona fisica o giuridica, ‘autorità pubblica, il servizio o altro organismo che, singolarmente o insieme ad altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali.
  10. L’espressione internet of things (letteralmente internet delle cose) indica il processo di connessione a internet di oggetti fisici, utilizzati anche nell’ambito della domotica, che acquisiscono una propria identità digitale, di ricevere e trasferire dati su reti wireless, comunicando con altri oggetti nella stessa rete, anche in maniera automatica, al fine di fornire il servizio all’utente.

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