Con il comunicato della Direzione Servizi Media del 6 giugno 2022, l’AGCOM ha annunciato che, entro trenta giorni dalla sua pubblicazione, i produttori, le emittenti, le concessionarie di pubblicità e gli altri soggetti interessati che non vi abbiano provveduto devono fare pervenire[1] all’Authority il proprio documento di autoregolamentazione in materia di inserimento di prodotti (c.d. “product placement”) all’interno dei programmi audiovisivi e radiofonici.
Il riferimento fatto nel suddetto comunicato all’art. 48, comma 5 del D. Lgsl. N. 208 dell’8 novembre 2021[2], concerne l’attuazione di una delle disposizioni della Direttiva UE/2018/1808[3], cioè quella riguardante le norme in tema di “inserimento dei prodotti” – per effetto dell’evoluzione del mercato – che sono state modificate rispetto alla precedente disciplina dei cosiddetti AVMS (Audio Video Media Services)[4]. Tale Direttiva ha stabilito la disciplina di coordinamento della legislazione degli Stati Membri dell’Unione Europea riferita a tutti i media audiovisivi, nei quali rientrano sia le emittenti televisive tradizionali che i servizi a richiesta forniti dalle piattaforme digitali.
Indice degli argomenti
Cos’è il product placement
Per comprendere meglio a quali obblighi siano tenuti i soggetti destinatari della norma di legge richiamata dall’AGCOM in materia di product placement, risulta necessario stabilire in che cosa consista questa forma pubblicitaria ormai radicata da numerosi anni nel sistema delle economie più evolute[5].
Una prima definizione “legale” di questo strumento di comunicazione pubblicitaria ci è stata offerta dal legislatore europeo, il quale, all’art. 1 lett. m) della Direttiva 2007/65/CE[6] usa il termine equivalente di “inserimento di prodotti”, stabilendo che con tale locuzione si intenda “ogni forma di comunicazione commerciale audiovisiva che consiste nell’inserire o nel fare riferimento a un prodotto, a un servizio o a un marchio così che appaia all’interno di un programma dietro pagamento o altro compenso”.
Come si evince da questa definizione proveniente da fonte comunitaria europea, il product placement si presenta come una forma di pubblicità connotata prevalentemente dalla presenza visiva di un determinato prodotto o servizio, ovvero di un marchio o di un’insegna o di altri segni distintivi di una determinata impresa, che viene collocata secondo precise strategie di marketing nell’ambito di un’opera audiovisiva destinata allo sfruttamento cinematografico o televisivo ovvero ancora, su una piattaforma digitale in base ad accordi intervenuti fra il produttore dell’opera e il titolare degli inerenti diritti di proprietà intellettuale.
Per la sua collocazione all’interno dei prodotti audiovisivi la natura non intrusiva del product placement viene vista in genere positivamente da parte del pubblico che ne interpreta il contenuto pubblicitario come un contributo alla narrazione dell’idea-racconto dell’opera in cui esso si contestualizza. Per il suo scopo pubblicitario il product placement è quindi una forma di finanziamento delle opere audiovisive che, a fronte di un corrispettivo costituito da una somma di denaro o da altra utilità, garantisce un’esposizione pubblicitaria dei marchi, dei prodotti o dei servizi degli inserzionisti, con una forte alea di risultato in termini di contatti e acquisti ma che può divenire un fattore decisivo per il successo di alcuni prodotti o servizi.
Come poc’anzi osservato, a fronte di una oggettiva difficoltà di determinare il ritorno economico derivante dalla percezione dei marchi che compaiono negli inserimenti pubblicitari sul pubblico e sull’inclinazione di quest’ultimo alla fruizione dei relativi prodotti o servizi, in taluni casi i contraenti dell’accordo di product placement non prevedono la liquidazione di somme di denaro, essendo possibile convenire altre forme di corrispettivo non in numerario a favore del produttore, quali – ad esempio – la partecipazione dell’inserzionista al lancio pubblicitario del film in abbinamento con un determinato marchio o prodotto commerciale, ovvero la fornitura di beni o servizi inerenti alla produzione audiovisiva.
Cosa spinge a investire nel product placement
Quindi, se appare ovvio che l’inserimento di prodotti nelle diverse forme di comunicazione (film, libri, brani musicali, ecc.), possa essere conseguenza logica della presenza estesa e crescente sul mercato di beni e servizi connotati da marchi rinomati che sono entrati a fare parte della nostra vita di ogni giorno, è necessario considerare le finalità che muovono gli investitori ad un ricorso sempre più massiccio a questa strategia di comunicazione commerciale. A riprova di quanto scriviamo risulta che negli Stati Uniti per l’anno 2020 i contratti di product placement abbiano raggiunto un fatturato, per il solo cinema e la televisione, pari a 20 miliardi di dollari[7].
Con l’affermarsi di questa tecnica pubblicitaria sono state elaborate diverse forme di product placement da parte degli esperti di marketing in seno ai contenuti che li possono ospitare. Fra di esse ricordiamo:
- lo “screen placement”, che consiste nella forma tipica del piazzamento di prodotti o marchi, in quanto riferita alle opere audiovisive e cinematografiche;
- lo “script placement”, cioè il richiamo verbale a un determinato marchio o prodotto;
- il “plot placement” consistente nel rendere un prodotto o un segno distintivo protagonisti di un’opera[8];
- il “location placement”, consistente nel rappresentare un determinato luogo o territorio per promuoverne la bellezza o singolarità (le Film Commission regionali in Italia si occupano proprio di questo[9]);
- il “virtual placement” o “product placement virtuale”, cioè lo strumento pubblicitario che consente oggi al detentore di un prodotto o di un marchio di inserire tali asset di proprietà intellettuale in un programma o in un film già realizzato; in tal modo il piazzamento del prodotto può essere realizzato attraverso la tecnica digitale anche molti anni dopo che l’opera è stata ultimata, creando una nuova opportunità per il suo sfruttamento come veicolo pubblicitario.
Il branded content
Una diversa forma di “product placement”, o una sua forma evolutiva dello stesso, è quella denominata “branded content”, in cui la promozione di un prodotto è legata a una storia creata appositamente per valorizzare indirettamente le caratteristiche e le qualità di quel marchio o di quel segno distintivo, il quale peraltro conserva una propria autonomia rispetto al prodotto stesso, riuscendo spesso a coinvolgere gli spettatori nella storia, a prescindere dalle sue finalità commerciali[10].
Il difficile approdo del product placement in Italia
Sulla scorta di quanto è stato sopra evidenziato circa le dimensioni e le molteplici forme del suo sfruttamento, si potrebbe arguire che il product placement si sia sviluppato gradatamente nel tempo e quasi spontaneamente nel settore pubblicitario globale, ma non è così. Eccezione fatta per gli Stati Uniti ove esso è nato e dove è stato analizzato scientificamente negli anni ’90[11], trovando da subito uno sviluppo formidabile, il percorso attraverso il quale si è pervenuti all’utilizzazione di questo strumento pubblicitario sia in Italia che nell’Unione Europea, per il tramite di una regolamentazione della materia, è relativamente recente e non è stato privo di ostacoli. Possiamo infatti dire che, almeno fino all’approvazione della Direttiva AVMS nel testo del 2007 e nelle sue versioni di poi succedutesi nel tempo, non esisteva una disciplina applicabile ai media audiovisivi fino al varo nei paesi membri dell’Unione Europea dei provvedimenti di legge di cui ci occupiamo in questo articolo.
I paletti della “vecchia” Legge Cinema
Non sono peraltro mancate eccezioni alla situazione di carenza normativa del product placement in Europa: nel nostro paese, nel vigore della “vecchia” Legge Cinema (L. 1213/1965 modificata con Legge 26/1994 e successivi provvedimenti), l’art. 28 allora vigente vietava implicitamente che i film finanziati dallo Stato potessero ricevere ulteriori contributi dai soggetti privati. Erano pertanto impediti nelle opere finanziate con i fondi governativi tutte le forme di sponsorizzazione o di pubblicità nei film, pena la perdita delle sovvenzioni statali per la produzione e la distribuzione a livello nazionale. Molti anni dopo, il D. Lgsl. N. 28 del 22 gennaio 2004 recante la ”Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche, a norma dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137″ ha derogato ai principi precedentemente in vigore nel settore cinematografico stabilendo, al terzo comma dell’art. 9, che: “per i film che contengono inquadrature di marchi e prodotti, comunque coerenti con il contesto narrativo, è previsto un idoneo avviso che rende nota la partecipazione delle ditte produttrici di detti marchi e prodotti ai costi di produzione del film. Con decreto ministeriale, sentito il Ministero per le attività produttive, sono stabilite le relative modalità tecniche di attuazione”.
La legge Urbani del 2004
Le norme attuative, contenute nel D.M. del 30 luglio 2004, a firma del Ministro Urbani con il titolo: “Ammissibilità del collocamento pianificato di marchi e prodotti” nelle opere cinematografiche, contengono alcune regole peculiari per l’inserimento di prodotti nel settore del cinema. Tale provvedimento ha stabilito, in primo luogo, che la presenza di marchi e prodotti debba essere “palese, veritiera e corretta”[12]: lo stesso decreto precisava poi che l’inserimento di prodotti dovesse “integrarsi nello sviluppo dell’azione, senza costituire interruzione del contesto narrativo”. Inoltre, allo scopo di rendere conoscibile da parte del pubblico la presenza del piazzamento di prodotti e dei segni distintivi degli investitori, la norma prescriveva che l’opera cinematografica dovesse contenere un “avviso” nei titoli di coda, con la specifica indicazione delle ditte inserzioniste. Lo stesso decreto vietava, oltre che la pubblicità dei derivati dal tabacco e dei medicinali in vendita su prescrizione medica, anche quella degli alcolici, per i quali, invece, la successiva normativa comunitaria europea ha posto solo alcune prescrizioni e limitazioni.
La direttiva Ue AVMS del 2007
In questo ambito disciplinare in cui il legislatore del nostro paese – come sopra accennato – aveva già provveduto a dare un precipuo assetto normativo alla disciplina del product placement in uno specifico settore[13], a livello comunitario europeo la materia ha trovato le prime disposizioni regolatrici solo con l’avvento della Direttiva 2007/65/CE nel testo approvato l’11 dicembre 2007 (“Direttiva AVMS”, primo testo). Il suo art. 3-octies)[14], riprendendo i Recital n. 60) e n. 61), nel vietare le “comunicazioni audiovisive occulte”[15] escludeva che in tale categoria rientrasse l’”inserimento legittimo di prodotti” … “se il telespettatore è adeguatamente informato dell’esistenza dell’inserimento di prodotti”, consentendo invece tale forma promozionale dei marchi nelle opere audiovisive e cinematografiche, così da coprire “ogni forma di comunicazione commerciale audiovisiva che consista nell’includere o nel fare riferimento a un prodotto o a un servizio o a un loro marchio così che appaia in una trasmissione televisiva, dietro pagamento o altro compenso”.
Il già ricordato “considerando” n. 61) della Direttiva AVMS evidenziava altresì l’importanza che il “product placement” venisse assoggettato “alle stesse regole qualitative e alle stesse limitazioni che si applicano alla comunicazione commerciale audiovisiva”, dovendosi quindi dedurre che valessero per questa forma pubblicitaria le medesime regole applicabili alla pubblicità televisiva già presenti nella Direttiva 89/552/CE (nota come “Direttiva Televisione senza Frontiere”)[16].
Dal tenore delle norme della precedente Direttiva, richiamate da quella AVMS, infatti, dobbiamo desumere che anche questa forma di pubblicità, il product placement, non possa essere “clandestina”, cioè non debba ingannare il pubblico circa la sua origine e circa la sua natura di strumento volto a valorizzare marchi e prodotti di soggetti bene identificabili. Inoltre, gli inserimenti di prodotti pubblicitari dovevano possedere le connotazioni di cui agli artt. 11 – 17 della Direttiva 89/552/CE: in base a tali disposizioni, si doveva intendere sin da allora prevenuta alle imprese e ai fornitori di media audiovisivi in generale la pubblicità dei prodotti del tabacco, come pure la promozione della vendita di medicinali prescrivibili su ricetta, sempre fatti salvi gli ulteriori obblighi di legge applicabili di caso in caso ove ne ricorrano le condizioni[17], in quanto stabiliti dalle disposizioni comunitarie europee sopra ricordate e da quelle che andremo in seguito a esaminare[18].
Il Decreto Romani nel 2010
Il testo della Direttiva AVMS nella versione del 2007 è stato recepito in Italia attraverso il varo del “Decreto Romani” (D. Lgsl. 44/2010); esso ha ripreso dal provvedimento del Consiglio e del Parlamento di Bruxelles sia la definizione di product placement[19], sia le regole per gli inserimenti di marchi, prodotti o servizi nei programmi audiovisivi, come si evince dal testo in nota.[20]
Nel triennio successivo alla sua entrata in vigore, la Direttiva AVMS è stata aggiornata e codificata attraverso l’emanazione della Direttiva 2010/13/UE del 10 marzo 2010[21]. Questo provvedimento, nei Recital dal n. 91) al n. 93) e nell’Art. 11 della sua parte dispositiva, fornisce una diversa prospettiva circa l’estensione del product placement nell’ambito della comunicazione pubblicitaria rispetto al testo precedente. Infatti, nel dichiarare nei considerando (n. 91) che tale forma pubblicitaria sia divenuta “una realtà” e che essa debba essere regolata con apposite norme, la Direttiva 2010/13/UE aveva fissato ulteriori vincoli all’inserimento dei prodotti nei media audiovisivi, imponendo la concomitante presenza di alcune condizioni per la liceità del loro impiego. Di tal guisa, la norma dell’Art. 11 del provvedimento dell’anno 2010 ha escluso che il product placement:
a) possa influenzare la programmazione o il contenuto dei programmi incidendo sull’indipendenza del fornitore dei servizi di media audiovisivi;
b) possa incoraggiare l’acquisto dei prodotti per il tramite di specifici riferimenti a tali beni o servizi;
c) possa dare indebito rilievo ai prodotti;
d) possa non essere adeguatamente riconosciuto come tale dagli utenti per l’assenza di elementi di identificazione all’inizio e alla fine della trasmissione e quando il programma riprende dopo un’interruzione pubblicitaria, tali da evitare ogni confusione da parte degli spettatori. Avuto riguardo al requisito di cui alla lett. d) sopra citata, la stessa disposizione precisava alla fine del testo che esso potesse venire meno solo qualora il programma in cui era inserito non fosse stato prodotto o commissionato dal fornitore dei servizi media che lo rendeva disponibile al pubblico o da un’impresa ad esso collegata.
Le procedure di autoregolamentazione e di co-regolamentazione nella modifica della Direttiva AVMS
Sulla scorta di queste norme sovranazionali, la disciplina legislativa interna italiana è rimasta pressoché invariata nel testo contenuto nel TUSMAR[22] fino all’attuazione della Direttiva UE/2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018, recante “modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri, concernente il testo unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato”.
Questo provvedimento comunitario di modifica della Direttiva AVMS nel testo dell’anno 2010, nel collocare i media audiovisivi nell’attuale perimetro comprensivo delle piattaforme digitali di condivisione[23] e dei contenuti audiovisivi generati dagli utenti (Recital 1 – 7), evidenzia con maggiore enfasi rispetto al testo del 2010, il fatto che la migliore tutela degli utenti possa derivare dalla presenza, nel contesto dei nuovi media audiovisivi, di procedure di autoregolamentazione e di co-regolamentazione, come complemento dei meccanismi legislativi, giudiziari e amministrativi in materia, poiché la co-regolamentazione rappresenta un collegamento, seppure nella forma minimale, vis-a-vis all’autoregolamentazione e alle disposizioni nazionali di ciascuno Stato membro (Recital 13, 14, 53 e 54).
Questi principi, volti a disciplinare l’intera materia dei servizi media, sono stati ripresi e sviluppati all’Art. 4-bis, introdotto nel testo della Direttiva AVMS del 2018, ove si prescrive che gli Stati Membri (e la Commissione) debbano incoraggiare il ricorso alla co-regolamentazione e alla promozione dell’autoregolamentazione, tramite codici di condotta a livello nazionale e a livello comunitario europeo nel settore dei media audiovisivi, incluse le piattaforme digitali, tanto che tali codici, connotati dai principi di sussidiarietà e proporzionalità devono:
- essere concepiti in modo da essere ampiamente accettati dai principali soggetti interessati negli Stati membri;
- devono stabilire chiaramente e senza ambiguità i loro obiettivi,
- debbono fornire un monitoraggio e una valutazione regolari, trasparenti e indipendenti degli obiettivi fissati; e
- devono prevedere un’applicazione effettiva, comprensiva altresì di sanzioni effettive e proporzionate.
In riferimento al product placement, il cui trattamento rientra fra quello più generale delle “comunicazioni commerciali audiovisive” (Artt. 9 – 15 del recente provvedimento comunitario, modificativi della Direttiva AVMS nei testi precedenti), il legislatore europeo osserva anzitutto che la liberalizzazione dell’inserimento dei prodotti / marchi nei contenuti audiovisivi “non ha portato alla diffusione prevista” nell’Unione Europea di questo forma pubblicitaria audiovisiva.
Inserimento dei prodotti e influencer
Per questa ragione, la Direttiva suggerisce che l’inserimento dei prodotti dovrebbe essere consentito in tutti i servizi media audiovisivi, incluse le piattaforme digitali (Considerando n. 33 e Art. 11), con l’eccezione dei notiziari, dei programmi di attualità, di quelli destinati ai consumatori, nonché ai programmi religiosi e a quelli per i bambini (Considerando n. 34 a Art. 11).
Il nuovo testo della Direttiva AVMS ha quindi incluso nella definizione di “product placement” anche l’inserimento di marchi e prodotti che abbia luogo nei contenuti audiovisivi creati dagli utenti e in quelli oggetto di condivisione, con l’intento di estendere le regole applicabili in materia alle iniziative pubblicitarie dei c.d. “influencer”.
L’ampliamento dell’ambito della normativa comunitaria in tema di comunicazione pubblicitaria verso le piattaforme digitali e nei confronti degli user generated contents, ha portato la Direttiva a comprendere nel suo testo in vigore una serie di prescrizioni riguardanti il contenuto dei messaggi pubblicitari, eliminando il precedente Art. 12,[24] che è stato sostituito dalla lett. g) del nuovo Art. 9,[25] e rimarcando l’importanza che i messaggi pubblicitari siano rispettosi dell’ambiente, della salute e della sicurezza delle persone, allo stesso tempo stigmatizzando qualsiasi invito all’uso “smodato” di bevande alcoliche. La stessa Direttiva UE/2018/1808 vieta ogni forma di discriminazione basata sulle idee, sulle opinioni, sul sesso, sulla razza, sulle disabilità, sulla religione, confermando il preesistente divieto della promozione dei prodotti da fumo, nei quali ora rientrano anche le sigarette elettroniche e le loro ricariche.
L’attuazione in Italia al nuovo testo della Direttiva AVMS
In apertura di questo articolo si è evidenziato il fatto che il nostro paese ha dato attuazione al nuovo testo della Direttiva AVMS con il decreto legislativo N. 208 dell’8 novembre 2021. Va qui brevemente evidenziato che tale normativa non si è limitata a riprendere fedelmente le modifiche indicate dal legislatore europeo, adeguando la nostra disciplina dei servizi media audiovisivi ai principi ispiratori del testo comunitario, ma essa ha introdotto una serie di ulteriori disposizioni che sono nodali per i servizi di media audiovisivi e per l’emittenza radiofonica e televisiva del nostro paese: esse sono state realizzate con il provvedimento sopra citato attraverso l’aggiornamento del TUSMAR.
Fra le norme di maggiore rilievo che vanno segnalate nel presente contesto, vanno evidenziate quelle che riguardano: le funzioni dell’AGCOM in materia di servizi media audiovisivi (Art. 9 e Art. 56), la tutela dei diritti fondamentali delle persone nella stessa materia (Art. 29 e Art. 30), l’accessibilità che va garantita agli utenti non parimenti abili (Art. 31), la tutela del diritto d’autore estesa alle piattaforme digitali anche per quanto riguarda le “windows” cinematografiche (Art. 32), la tutela dei minori nella programmazione audiovisiva (Art. 37 e Art. 38), i valori dello sport (Art. 39), le disposizioni applicabili ai servizi delle piattaforme per la condivisione dei video (Art. 41 e Art. 42), le disposizioni sulla pubblicità, le sponsorizzazioni e l’inserimento di prodotti (Artt. 43 – 49). Anche il product placement è stato incluso nella nuova disciplina alla lettera uu) delle definizioni contenute all’Art. 3[26] e all’Art. 48 riportato nel suo testo nella nota 2.
Si tratta quindi di un assetto normativo efficace e razionale che si colloca in una logica di riordino di una materia vasta, quella delle telecomunicazioni, che include ogni settore dei media, incluso il servizio televisivo pubblico, le concessioni, gli impianti di radiodiffusione oltre alle competenze attribuite agli organi statali e alle autorità indipendenti coinvolte nella gestione delle diverse discipline.
Il documento di autoregolamentazione
Ritornando brevemente al tema di cui è stato offerto un breve contributo in apertura di questo lavoro, il documento di autoregolamentazione prescritto dal quinto comma dell’Art. 48 del decreto legislativo 208/2021 che, una volta predisposto, va trasmesso dagli interessati all’AGCOM, deve contenere gli elementi atti a confermare, da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi indicati nella Comunicazione dell’Authority sulle Comunicazioni dello scorso 6 giugno 2022, i loro impegni verso il mercato e gli utenti. Si pone in tal senso quali debbano essere i termini che debbano necessariamente connotare l’elaborato da trasmettere all’Autorità. Andrà chiarito cioè se esso debba enunciare i principi seguiti dai fornitori dei servizi di media nell’effettuare il product placement, contenere gli impegni di adeguamento e di conformità alle norme del più volte ricordato decreto legislativo, illustrare le modalità con cui il fornitore intende effettuare gli inserimenti pubblicitari, segnalandone la presenza in video secondo le disposizioni vigenti e, se in tali prescrizioni, rientri anche la specifica del numero massimo di prodotti o servizi che si intendono inserire nei programmi.
Ovviamente, sulla base dei documenti ricevuti, l’AGCOM svolgerà le iniziative di controllo previste, fornendo indicazioni circa le integrazioni o le modifiche che andranno apportate ai codici di autoregolamentazione, avvalendosi – ove ne sia il caso – dell’”Osservatorio sul Product Placement” che era stato istituito con Delibera AGCOM n. 19/11/CSP[27] del 23 febbraio 2011, in base all’allora vigente Art. 40-bis del TUSMAR, che si prevede verrà nuovamente attivato sulla scorta delle norme vigenti.
Note
- Il termine, meramente ordinatorio, per l’invio del documento di autoregolamentazione, era quello del 6 luglio 2022. ↑
- Questo è il testo dell’Art. 48 del decreto legislativo 208/2021 recante il “Testo unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato” – Attuazione della direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, recante modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri, concernente il testo unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato.Inserimento di prodotti1. Nei programmi prodotti fino al 19 dicembre 2009, l’inserimento di prodotti è consentito nelle opere cinematografiche, in film e serie, prodotti per i servizi di media audiovisivi, in programmi sportivi e in programmi di intrattenimento leggero, con esclusione dei programmi per bambini. L’inserimento può avvenire sia dietro corrispettivo monetario ovvero dietro fornitura gratuita di determinati beni e servizi, quali aiuti alla produzione e premi, in vista della loro inclusione all’interno di un programma.2. Nei programmi prodotti dopo il 19 dicembre 2009, l’inserimento di prodotti è consentito in tutti i servizi di media audiovisivi, fatta eccezione per i notiziari e i programmi di attualità, i programmi per i consumatori, i programmi religiosi e i programmi per bambini.
3. I programmi che contengono l’inserimento di prodotti devono rispettare le seguenti disposizioni:
a) il loro contenuto e l’organizzazione all’interno di un palinsesto, nel caso di trasmissioni televisive, o all’interno di un catalogo, nel caso di servizi di media audiovisivi a richiesta, non sono in alcun caso influenzati in modo da compromettere la responsabilità e l’indipendenza editoriale del fornitore di servizi di media;
b) non incoraggiano direttamente l’acquisto o la locazione di beni o servizi, in particolare facendo specifici riferimenti promozionali a tali beni o servizi;
c) non danno indebito rilievo ai prodotti in questione;
d) i telespettatori sono chiaramente informati dell’inserimento di prodotti tramite apposita identificazione all’inizio e alla fine della trasmissione e quando il programma riprende dopo un’interruzione pubblicitaria, per evitare ogni possibile confusione da parte del telespettatore.
4. È vietato l’inserimento di:
a) sigarette e altri prodotti a base di tabacco o contenenti nicotina, come pure le sigarette elettroniche e i contenitori di liquido di ricarica, o prodotti di imprese la cui attività principale è la produzione o la vendita di tali prodotti;
b) specifici medicinali, dispositivi medici di cui al Regolamento (UE) n. 2017/745 o cure mediche che si possono ottenere esclusivamente su prescrizione nell’ambito del territorio italiano. Resta salva la previsione di cui all’art. 115, comma 5, decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219;
5. I produttori, le emittenti, le concessionarie di pubblicità e gli altri soggetti interessati, adottano, con procedure di auto-regolamentazione, la disciplina applicativa delle regole generali enunciate nei commi precedenti. Le procedure di autoregolamentazione sono comunicate all’Autorità che ne verifica l’attuazione. ↑
- Direttiva del 14 novembre 2018, recante “modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi, in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato”. ↑
- Con tale termine viene indicata la Direttiva 2010/13/UE del 10 marzo 2010 relativa al “coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi”. Tale normativa rappresenta il testo aggiornato e codificato delle precedenti Direttive 89/552/CE del 3 ottobre 1989, poi integrata con la Direttiva 97/36/CE del 30 giugno 1997, nonché della Direttiva 2007/65/CE dell’11 dicembre 2007 (vedi infra nel testo). ↑
- L’uso del termine “product placement”, noto anche come “embedded marketing”, risale agli anni ’90 e viene ricondotto alla derivazione della più ampia accezione di “sponsored (or unsponsored) word of author advertising” riferita all’uso da parte egli autori delle diverse forme d’arte di cui essi sono creatori al fine di renderle veicolo pubblicitario di prodotti commerciali. Si ricordano in proposito utilizzazioni di marchi commerciali risalenti al secolo diciannovesimo. Ci riferiamo, ad esempio, a Jules Verne, il quale inserì il nome di alcune compagnie di trasporto nel suo libro “Il giro del mondo in 80 giorni” (del 1873), come pure vi è la riproduzione di beni di marca nei capolavori di noti artisti della pittura come Edouard Manet, il quale nell’opera “Un bar alle Folies Bergère” (1882) ha riprodotto nel quadro alcune bottiglie di champagne e di vino dalle quali è possibile intuire la provenienza dai relativi produttori. Molti anni dopo, nel 1933, la Coca-Cola investì oltre 500,000 U.S.$ dell’epoca perché la MGM ponesse il marchio della bibita sugli schermi dei cinema da essa controllati.Gli esempi più recenti di product placement sono numerosissimi: ricordiamo che nel film “MIB” (“Man in Black”, 1997 U.S.A.) gli occhiali neri dei protagonisti erano costituiti da un modello di Ray-Ban divenuto all’epoca di gran moda fra i giovani; allo stesso modo, la BMW Z3 di 007 venne lanciata negli Stati Uniti attraverso il film “Il mondo non basta” (1999, U.S.A.), ma sin dall’inizio di questa esperienza pubblicitaria non sono mancati i prodotti dei grandi stilisti italiani anche in questo settore del mercato. Fra i molti brand di alta moda promossi con successo anche attraverso il cinema, ricordiamo gli abiti di Giorgio Armani indossati da Richard Gere in “American Gigolo” (1980 U.S.A.). ↑
- La Direttiva è stata implementata nel nostro Paese a seguito dell’approvazione della L. 7 luglio 2009, n. 88 recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità Europea – Legge comunitaria 2008”. La Relazione Illustrativa del 17 dicembre 2009 precisa che “Uno dei motivi fondamentali per i quali si è reso necessario revisionare la direttiva (TSF) è stata l’esigenza di tenere conto di tutti i nuovi servizi audiovisivi sviluppati negli anni recenti che sono in concorrenza con i servizi televisivi tradizionali”. La medesima Relazione Illustrativa riporta nel secondo paragrafo il riferimento all’”inserimento di prodotti”, ricordando che in caso di violazioni alle norme di riferimento trovano applicazione le sanzioni previste dall’Art. 51 (Sanzioni di competenza dell’Autorità) del TUSMAR al tempo in vigore. ↑
- “Anatomy of a Product Placement – As consumers skip ads and streaming content balloons, brands aim to be everywhere all at once” pubblicato sul NYT del 22 giugno 2022, a firma di Sophie Aigney https://www.nytimes.com/interactive/2022/06/23/arts/product-placement.html ↑
- Nel caso del film “Un maggiolino tutto matto” (1968, U.S.A.) la famosa Volkswagen “maggiolino” divenne essa stessa protagonista della sceneggiatura e della produzione del film. ↑
- Questo il documento pubblicato dal Senato della Repubblica con il titolo: “Il sistema italiano delle Film Commission: L’audiovisivo delle Regioni” (2015) itahttps://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/dossier/file_internets/000/001/547/Italian_film_commissions.pdf ↑
- È il caso di “The Lego Movie” https://www.imdb.com/title/tt1490017/. Questo film lungometraggio (2014, U.S.A. prodotto da Vertigo Entertainment in associazione con Waner Bros.) rappresenta il più elevato livello di “branded content” finora raggiunto, riscontrando al contempo un enorme consenso di critica e pubblico, tanto da farlo rientrare nel novero del c.d. “branded entertainment”. Si veda, in merito al contenuto del film questo commento: https://medium.com/the-mission/5-reasons-the-lego-movie-is-the-greatest-branded-content-ever-f73fd444bb0e ↑
- “The evolution of Product Placement in Film” di Alex Walton, Elon University (2010) https://eloncdn.blob.core.windows.net/eu3/sites/153/2017/06/07WaltonEJSpring10.pdf ↑
- Ciò in conformità al Decreto Legislativo 25 gennaio 1992, N. 74, recante “Attuazione della Direttiva 84/450/CE in materia di pubblicità ingannevole”. ↑
- Va ricordato che in ambito televisivo la L. 223/1990 (c.d. Legge Mammì) aveva fortemente ridotto le possibilità di ricorrere al product placement televisivo con l’introduzione all’art. 8, in linea con le indicazioni della Direttiva 552/89/CE, attraverso la seguente norma contenuta nel suo secondo comma: “La pubblicità televisiva e radiofonica deve essere riconoscibile come tale ed essere distinta dal resto dei programmi con mezzi ottici o acustici di evidente percezione”. ↑
- Questo il contenuto dell’Articolo 3-octies della Direttiva 2007/65/CE1. È vietato l’inserimento di prodotti.2. In deroga al paragrafo 1, l’inserimento di prodotti è ammissibile, a meno che lo Stato membro decida altrimenti:- nelle opere cinematografiche, in film e serie, prodotti per i servizi di media audiovisivi, in programmi sportivi e in programmi di intrattenimento leggero, o
– dove non ci sia pagamento ma soltanto fornitura gratuita di determinati beni o servizi, quali aiuti alla produzione e premi, in vista della loro inclusione all’interno di un programma.
La deroga di cui al primo trattino non si applica ai programmi per bambini.
I programmi che contengono inserimento di prodotti rispettano almeno tutte le seguenti prescrizioni:
a) il loro contenuto e, nel caso di trasmissioni televisive, la loro programmazione non sono in alcun caso influenzati in modo da compromettere la responsabilità e l’indipendenza editoriale del fornitore di servizi di media;
b) non incoraggiano direttamente l’acquisto o la locazione di beni o servizi, in particolare facendo specifici riferimenti promozionali a tali beni o servizi;
c) non danno indebito rilievo ai prodotti in questione;
d) i telespettatori sono chiaramente informati dell’esistenza dell’inserimento di prodotti. I programmi che contengono inserimento di prodotti sono adeguatamente identificati all’inizio e alla fine della trasmissione e quando il programma riprende dopo un’interruzione pubblicitaria, per evitare ogni possibile confusione da parte del telespettatore.
In via eccezionale gli Stati membri possono scegliere di disapplicare le prescrizioni di cui alla lettera d), a condizione che il programma in questione non sia stato prodotto né commissionato dal fornitore di servizi di media stesso o da un’impresa legata al fornitore di servizi di media.
3. In ogni caso i programmi non contengono inserimento di:
– prodotti a base di tabacco o sigarette, né prodotti di imprese la cui attività principale è costituita dalla produzione o dalla vendita di sigarette o altri prodotti a base di tabacco, o
– specifici medicinali o cure mediche che si possono ottenere esclusivamente su prescrizione nello Stato membro che esercita la sua giurisdizione sul fornitore di servizi di media. ↑
- Rimane sempre e comunque vietata la pubblicità c.d. “subliminale” (Art. 12 Direttiva 97/36/CE). ↑
- La Direttiva è entrata in vigore il 3 ottobre 1991 e successivamente modificata con la Direttiva 97/36/CE del 30 giugno 1997. ↑
- Per la pubblicità degli alcolici, valgono le regole di cui all’Art. 11, par. 9, del D. Lgsl. 44/2010. ↑
- Fra i vincoli imposti dalla Direttiva Televisioni Senza Frontiere ai soggetti che eserciscono i media audiovisivi vi sono quelli concernenti i contenuti dei programmi diffusi, i quali non devono:- includere contenuti illeciti, osceni o diffamatori;- pregiudicare il rispetto della dignità umana;- includere immagini o frasi volte alla discriminazione per motivi di razza, religione, sesso o nazionalità.
– essere offensivi per le convinzioni religiose o politiche del pubblico;
– indurre a comportamenti lesivi della salute o dell’incolumità personale;
– incoraggiare comportamenti lesivi della tutela dell’ambiente;
– includere qualsiasi contenuto che possa compromettere gravemente lo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori (sul punto, si legga l’Art. 34 del D. Lgsl. 44/2010 e l’art. 36-bis del Testo Unico dei Media audiovisivi D. Lgsl. 177/2005 nella versione in vigore fino all’introduzione del D. Legsl. 208/2021). ↑
- Art. 4, par.1, lett. ll) che definisce l’”inserimento di prodotti”, come “ogni forma di comunicazione commerciale audiovisiva che consiste nell’inserire o nel fare riferimento a un prodotto, a un servizio o a un marchio così che appaia all’interno di un programma dietro pagamento o altro compenso”. ↑
- Art. 15 – Inserimento di prodotti:1. Dopo l’articolo 40 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (TUSMAR), è inserito il seguente:“Art. 40-bis (Inserimento di prodotti). – 1. L’inserimento di prodotti è consentito nelle opere cinematografiche, in film e serie, prodotti per i servizi di media audiovisivi, in programmi sportivi e in programmi di intrattenimento leggero, con esclusione dei programmi per bambini. L’inserimento può avvenire sia dietro corrispettivo monetario ovvero dietro fornitura gratuita di determinati beni e servizi, quali aiuti alla produzione e premi, in vista della loro inclusione all’interno di un programma. 2. I programmi nei quali sono inseriti prodotti devono essere conformi ai seguenti requisiti:
a) il loro contenuto e, nel caso di trasmissioni televisive, la loro programmazione non devono essere in alcun caso influenzati in modo da compromettere la responsabilità e l’indipendenza editoriale del fornitore di servizi di media;
b) non incoraggiano direttamente l’acquisto o la locazione di beni o servizi, in particolare facendo specifici riferimenti promozionali a tali beni o servizi;
c) non danno indebito rilievo ai prodotti in questione.
3. Qualora il programma nel quale sono inseriti prodotti viene prodotto ovvero commissionato dal fornitore di servizi di media audiovisivi ovvero da società da esso controllata i telespettatori devono essere chiaramente informati dell’esistenza dell’inserimento di prodotti medianti avvisi all’inizio e alla fine della trasmissione, nonché alla ripresa dopo un’interruzione pubblicitaria.
4. E’ vietato l’inserimento di prodotti a base di tabacco o di sigarette, ovvero di prodotti di imprese la cui principale attività è costituita dalla produzione o vendita di prodotti a base di tabacco. E’ altresì vietato l’inserimento di prodotti medicinali o di cure mediche che si possono ottenere esclusivamente su prescrizione.
5. I produttori, le emittenti, anche analogiche, le concessionarie di pubblicità e gli altri soggetti interessati, adottano, con procedure di auto-regolamentazione, la disciplina applicativa dei principi enunciati nei commi precedenti. Le procedure di auto-regolamentazione sono comunicate all’Autorità che ne verifica l’attuazione.”.
2. Le disposizioni del presente articolo si applicano unicamente ai programmi prodotti successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. ↑
- La normativa comunitaria regola ancora una volta il “coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (Direttiva sui servizi di media audiovisivi)”. ↑
- Testo unico della radiotelevisione di cui al Decreto legislativo, 31/07/2005 n° 177. ↑
- Sulle piattaforme di condivisione in ambito digitale, si legga anche: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/diritto-d-autore-le-nuove-regole-file-sharing/ ↑
- Questa la norma soppressa: “Gli Stati membri adottano le misure atte a garantire che i servizi di media audiovisivi a richiesta forniti da un fornitore di servizi di media soggetto alla loro giurisdizione che potrebbero nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori siano messi a disposizione del pubblico solo in maniera tale da escludere che i minori vedano o ascoltino normalmente tali servizi di media audiovisivi a richiesta”. ↑
- La lett. g) dell’Art. 9 recita: “le comunicazioni commerciali audiovisive non arrecano pregiudizio fisico o morale ai minori. Non esortano pertanto direttamente i minori ad acquistare o prendere in locazione un prodotto o un servizio sfruttando la loro inesperienza o credulità, né li incoraggiano direttamente a persuadere i loro genitori o altri ad acquistare i beni o i servizi pubblicizzati, né sfruttano la particolare fiducia che i minori ripongono nei genitori, negli insegnanti o in altre persone, né mostrano senza motivo minori che si trovano in situazioni pericolose”. ↑
- Questa la definizione: “inserimento di prodotti»: ogni forma di comunicazione commerciale audiovisiva che consiste nell’inserire o nel fare riferimento a un prodotto, a un servizio o al relativo marchio così che appaia all’interno di un programma o di un video generato dall’utente dietro pagamento o altro compenso” ↑
- Rileva ai fini dell’esame della materia anche l’Allegato “A” a questa Delibera che contiene alcune prescrizioni in materia di product placement. ↑