Sta per calare il sipario sull’era dei rider privi di diritti. Ma forse anche su quella in cui i signori degli algoritmi possono orchestrare il lavoro senza alcuna trasparenza sul funzionamento degli stessi.
La Commissione europea ha presentato ufficialmente la proposta di direttiva UE sulla regolarizzazione contrattuale dei rider e lavoratori delle piattaforme digitali (food delivery, trasporto con autista eccetera).
E l’Italia è pronta a recepirla.
La proposta di direttiva contiene parametri chiari per rendere i rider dipendenti subordinati, con stipendio minimo, ferie pagate e contributi pensionistici, e per introdurre il controllo umano degli algoritmi e infine invertire l’onere della prova dell’autonomia del rapporto di lavoro (che andrà in capo alla piattaforma).
“La proposta di direttiva, varata dalla Commissione europea”, ci spiega Michele Forlivesi, consigliere del ministro del Lavoro Andrea Orlando, che Agenda Digitale ha contattato per approfondire, ”è un importantissimo passo che indirizza, nel senso corretto, gli Stati verso un governo del fenomeno del lavoro su piattaforma digitale che, come sappiamo, è molto più ampio del fenomeno evidente dei rider”.
La direttiva UE su rider & co: ecco gli impatti su lavoro e aziende tech
Cos’è la proposta di direttiva UE per i rider
La direttiva europea sulla regolarizzazione contrattuale dei rider riguarda le nuove norme, i parametri per inquadrare i lavoratori delle piattaforme digitali come dipendenti, a prescindere dal contratto.
Secondo le attese della Commissione, le regole proposte riguarderanno un massimo di 4,1 milioni di occupati nella gig economy su 28 milioni di lavoratori, non solo giovani, distribuiti su circa 500 piattaforme, fra cui le più note Uber, Glovo e Deliveroo. “I lavoratori delle piattaforme digitali devono godere dello stesso grado di tutele di cui godono gli altri lavoratori se svolgono lavoro subordinato”, ha dichiarato Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione europea.
La direttiva proposta dalla Commissione Ue intende “migliorare le condizioni dei lavoratori delle piattaforme”, disboscando la giungla della Gig economy, l’economia dei lavori senza regole (non chiamiamoli “lavoretti” dal momento che per molti sono l’unico lavoro).
La proposta di Direttiva europea non solo detta le regole per i rider, ma soprattutto mette la parola fine alla leggenda della falsa autonomia dei rider e dei lavoratori delle piattaforme digitali, anche se Business Europe, la Confindustria europea, insiste a definire i ciclofattorini autonomi per scelta.
Ma Bruxelles ha spiegato che i 5,5 milioni di lavoratori della Gig economy, etichettati come autonomi, dovrebbero essere riclassificati come dipendenti. A contare non è il contratto, bensì la tipologia di lavoro: non possono essere autonomi se i lavoratori non decidono i prezzi dei servizi o non hanno il rischio di impresa.
Inoltre la proposta di direttiva europea prevede di:
- rendere trasparenti gli algoritmi, per evitare l’asimmetria informativa fra piattaforma e lavoro;
- invertire l’onere della prova: sarà il datore di lavoro ovvero la piattaforma a dover dimostrare in tribunale che si tratta di lavoro autonomo.
La direttiva farà sì che i rider avranno diritto a:
- salario minimo, se il Paese ha normativa in materia;
- tutela della salute;
- contrattazione collettiva;
- ferie retribuite;
- indennità di disoccupazione e malattia;
- contributi pensionistici;
- migliore accesso alle tutele contro gli infortuni sul lavoro;
Bruxelles vuole imporre alle aziende di comunicare le informazioni sul personale alle Authority nazionali (obbligo di trasparenza).
La proposta di direttiva europea prevede il seguente iter: discussione, eventuali modifiche, quindi approvazione. Gli Stati membri avranno circa due anni per attuarla.
L’obbligo per le Big Tech
I colossi del Web e delle piattaforme digitali, in futuro, saranno obbligati ad assumere i rider. Ma intanto i lavoratori delle piattaforme del ride hailing e del food delivery guadagnano protezioni e vantaggi.
Come ci ha illustrato Michele Forlivesi, la proposta di Direttiva europea “cerca di dare un quadro univoco e condiviso sulle condizioni di lavoro a livello europeo, andando a consolidare quello che è il portato della giurisprudenza più recente che in quasi tutta Europa è arrivata a definire e a riconoscere lo stato di lavoratori dipendenti dei rider e in generale di molti dei lavoratori digitali, sulla base della pervasività delle tecnologie digitali che annullano di fatto ogni margine di autonomia rispetto ai profili organizzativi e di determinazione delle prestazioni. Ovviamente”, sottolinea Forlivesi, “l’accesso alla subordinazione rimane il veicolo principale con cui si garantiscono le tutele – in materia di salario, salute e sicurezza e tutto l’apparato normativo previsto dalla legislazione nazionale ed europee”.
La trasparenza dell’algoritmo
Il ministero del Lavoro sta già lavorando sull’utilizzo degli algoritmi che giudicano le prestazioni dei rider, ipotecandone la carriera.
Grazie all’intervento dell’Europa in tema di trasparenza dell’algoritmo, i lavoratori saranno in grado di conoscere i parametri di valutazione, quei criteri che non solo condizionano la “carriera” di rider e lavoratori delle piattaforme digitali, ma che anche rappresentano la principale causa dello sfruttamento.
All’articolo 6 la Commissione europea invita alla massima trasparenza sull’uso e sulle modalità di impiego di algoritmi sui posti di lavoro. Gli articoli 7 e 8, rispettivamente, esplicitano l’esigenza di un controllo umano sui processi decisionali automatizzati e affermano il diritto del lavoratore a discutere decisioni automatizzate rilevanti con una persona selezionata dalla piattaforma a chiarire ogni questione relativa all’utilizzo dell’algoritmo.
L’articolo 9 dà alle organizzazioni sindacali il diritto di conoscere la struttura dell’algoritmo, mentre i successivi offrono agli uffici statali competenti la possibilità di accedere alle strutture algoritmiche.
Direttiva UE: il quadro italiano
L’Italia ha fretta di recepire le Direttive europee. “Nell’ordinamento italiano, in particolare, avevamo già una norma anti-elusiva che portava, in caso di etero-organizzazione, alle tutele e alla disciplina del lavoro subordinato che è l’Articolo 2 e, certamente, bisognerà trovare il modo per presumere un ingresso di questi lavoratori dentro il lavoro subordinato o tramite l’Articolo 2 o mediante la subordinazione”, commenta Michele Forlivesi: “I presupposti e le condizioni che dà la Direttiva in materia di presunzione legale si avvicinano molto appunto ai criteri della etero-organizzazione, e quindi certamente ci sono ampi margini del nostro ordinamento per recepirla rapidamente”.
Ma proprio parlando del panorama italiano, Forlivesi mette l’accento su uno dei punti principali della proposta di direttiva europea: “Parte importantissima della Direttiva è quella sulla trasparenza dell’algoritmo, e in generale sulla trasparenza dei meccanismi di algoritmo e management all’interno del lavoro che caratterizzano non solo nuove forme di lavoro su piattaforma, ma anche di lavoro subordinato.
Ed è proprio su questi aspetti che il governo italiano intende fare immediatamente un passo avanti, anticipando anche l’adozione definitiva della Direttiva, sfruttando il veicolo del recepimento della direttiva Trasparenza, quella varata dalla Commissione europea nel 2019 e che gli Stati devono recepire entro l’estate: proprio a inizio anno è prevista un’accelerazione su questo tema e l’adozione della Direttiva.
Quindi, la traccia su cui il governo si sta muovendo è quella di recepire il portato della nuova direttiva Piattaforme, anticipando i tempi per quanto riguarda la trasparenza dell’algoritmo nella Direttiva Trasparenza e poi fare un intervento più strutturale che colga l’invito sulla regolamentazione dello stato giuridico e sulla presunzione di lavoro dipendente o comunque di accesso al lavoro dipendente mediante un provvedimento successivo”.
Salario minimo anche in Italia
Infine, il consigliere del ministro del Lavoro Andrea Orlando ci illustra la roadmap del salario minimo in Italia: “Per quanto riguarda la direttiva sul salario minimo, siamo soddisfatti del compromesso raggiunto dalla Commissione UE, chiaramente il grado di ambizione, rispetto alla proposta originaria, è diminuito, ma ci sono gli spazi per avanzamenti anche nell’ordinamento italiano.
Il punto più importante su cui è necessario far ripartire il dibattito è quello della promozione e valorizzazione della contrattazione collettiva, che nel nostro ordinamento significa ragionare sulla selezione della contrattazione collettiva di qualità e quindi della buona contrattazione che è quella fatta dai Sindacati maggiormente rappresentativi che sono gli unici in grado di garantire una retribuzione proporzionata e sufficiente in linea con quello che è l’Art. 36 della Costituzione.
E quindi nel nostro ordinamento, un qualunque ragionamento sul salario minimo non può che fare i conti con un dialogo molto forte ed ampio e, in sostanza, non può che ripartire da un tavolo che tenga insieme questione salariale e rappresentatività delle parti sociali. Credo che su queste direttrici ripartirà anche il dibattito interno e si troverà sicuramente una soluzione. Del resto, l’ordinamento tedesco è un esempio perché tiene insieme sia un livello di tutela salariale previsto dalla Legge che una contrattazione collettiva in Germania. Dunque, partendo dalla contrattazione, si può certamente arrivare anche in Italia a una disciplina coerente col nostro ordinamento sul salario minimo”, conclude Forlivesi.
Vantaggi e rischi per i rider
L’accesso alle tutele è il principale vantaggio per i rider e i lavoratori delle piattaforme digitali, oltre all’opportunità in futuro di poter ricevere un aumento delle entrate fino a 1800 euro all’anno.
I rider corrono però due rischi:
- quello di perdere il lavoro, se le piattaforme lasciassero i Paesi in cui il recepimento della Direttiva risultassero eccessivamente penalizzante (i costi per le aziende potrebbero salire di circa 4,5 miliardi l’anno);
- i rider assunti come dipendenti potrebbero essere pochi rispetto alle previsioni e con paghe inferiori alle precedenti retribuzioni.
Cosa succede in Europa
Il commissario europeo per l’Occupazione Nicholas Schmidt assicura che “nessuno sta cercando di uccidere, fermare od ostacolare lo sviluppo dell’economia delle piattaforme”, ma che le regole servono per preservare “gli standard lavorativi e sociali che sono stati istituiti nell’Unione europea” anche nell’era della Gig economy.
Jitse Groen, Ceo di Just Eat, la maggiore società europea di consegna di pasti a domicilio, ha dichiarato di accogliere la proposta di direttiva europea. Invece, secondo lo studio Copenhagen Economics, commissionato Delivery Platforms Europe, una lobby che riunisce anche Uber, Deliveroo e Glovo, la direttiva potrebbe causare la perdita fino a 250mila posti di lavoro fra rider e conducenti.
In Spagna la Ley Riders ha ricevuto aspre critiche sia dai sindacati (si sono sentiti esclusi dalle discussioni) che dalle piattaforme (che potrebbero dare l’addio al mercato spagnolo). Ma contestazioni sono giunte da gli stessi rider: perché, da assunti, hanno guadagnato meno che da autonomi.
In Olanda il sindacato FNV, che ha vinto battaglie legali contro Uber e Deliveroo sulla questione del trattamento dei lavoratori, ha sottolineato come le aziende possano facilmente bypassare i cinque parametri, previsti dalle regole europee per valutare se si tratti di lavoratori autonomi o dipendenti: “Il loro intero modello di business”, riporta il sindacato olandese, è fondato sull'”evitare i costi di occupazione”.
In tema di salario minimo, in Germania il nuovo governo di Olaf Scholz, in base al contratto di governo, prevede che il salario minimo salga a 12 euro, in aumento rispetto ai 9.60 euro lordi attuali.
Conclusioni
La Commissione mette a segno un risultato importante per i diritti dei cittadini europei. Tuttavia bisogna capire se la concorrenza riuscirà a farsi carico dei costi dell’aumento delle tutele, senza andare fuori mercato, o se i diritti lavoratori della Gig economy provocherà un incremento dei costi dei servizi e se la direttiva si tradurrà in un modello funzionante, evitando alcuni aspetti fallimentari della normativa spagnola.
I criteri di trasparenza dell’algoritmo potrebbero inoltre scardinare i meccanismi di efficienza / sfruttamento del Big Tech.
Infine, bisogna vedere se la proposta non inneschi una nuova stagione di contrattazione collettiva a livello nazionale o europeo, che anticiperebbe la necessità di una normativa comunitaria. In questo caso, parti sociali e datori di lavoro potrebbero sedersi intorno a un tavolo per trovare accordi su tutele, salario minimo, regole e diritti per i Gig worker. L’Europa ha dato il via alle danze, ora tocca a tutti gli stakeholder assumersi le proprie responsabilità.