Anche in Italia si comincia a discutere degli aspetti legali degli eSport. Una questione tutt’altro che facile da dirimere, con molteplici aspetti da considerare. Il nostro Paese potrebbe però sfruttare a suo vantaggio il ritardo nell’affrontare il problema.
eSport in Italia: come promuoverne lo sviluppo (senza nuove norme)
eSport, business in crescita: come regolarlo?
La situazione è la seguente. Mentre gli eSport sono un business in crescita anche in Italia, fino a poco tempo fa non si è avuto praticamente alcun dibattito legale e pochissime iniziative, con poca attenzione da parte delle istituzioni (come il Parlamento, il Governo nonché altre autorità/entità). Oggi che il dibattito sugli eSports è diventato di moda, manca ancora una regolamentazione espressa in materia, e la maggior parte delle attività attualmente svolte devono rispettare regole dettate per altri tipi di business e attività, principalmente per lo sport, cui la maggior parte degli interpreti tende ad equiparare gli eSport. Tuttavia, visto che l’Italia è ai nastri di partenza per quanto riguarda la riflessione sulla disciplina giuridica, con i pro e contro che derivano dall’essere in questo momento una pagina sostanzialmente bianca, sarebbe utile sfruttare questo momento per porsi una domanda essenziale, ossia come sia meglio procedere.
Cosa accadrebbe se gli eSport fossero considerati sport
In particolare, occorre chiedersi che cosa accadrebbe davvero se gli eSports fossero considerati sport secondo la legge italiana, e successivamente esplorare se siano possibili diverse soluzioni (cioè una disciplina dedicata che copra specificamente gli eSport e tenga conto delle loro caratteristiche particolari). La questione non appare di facile soluzione, ma si può partire da un dato incontrovertibile, ossia che gli eSport si presentano come una categoria ibrida, a metà fra l’evento sportivo e la performance artistica. Per quanto concerne il profilo sportivo, è intuitiva la vicinanza dell’eSport, sotto alcuni aspetti, alla gara sportiva: si hanno infatti giocatori, raccolti in team, che si sfidano in arene – sia dal vivo che in digitale – con un pubblico di fan che assiste in presenza e/o da remoto. È tuttavia altrettanto vero che la performance del player, messa a confronto con quella sportiva tradizionale, coinvolge in misura minore le prestazioni fisiche, trattandosi di interagire con un dispositivo elettronico. Proprio per questa ragione vi sono state e tuttora vi sono resistenze a riconoscere la qualifica di sport agli eSport; e in ogni caso si suggerisce di introdurre distinzioni fra i diversi eSports, in particolare fra quelli che si basano su di un videogioco sportivo, e quelli che invece hanno una natura completamente diversa.
Per quanto invece concerne i profili di assimilabilità alla performance artistica, vi è un primo dato innegabile, che consiste appunto nel necessario uso da parte degli eSports di un’opera dell’ingegno (il videogioco), la quale è controllata dal relativo titolare. Quest’ultimo è astrattamente libero di impedirne l’uso, modificarne il contenuto, non procedere ad aggiornamenti, etc., con evidenti effetti importanti sullo svolgimento delle competizioni, ben diversamente da quanto avviene nelle discipline sportive classiche, essendo noto che le regole dell’evento sportivo in quanto tale non sono protette dal diritto d’autore. A ciò si aggiunge la disciplina – presente in Italia – dei diritti audiovisivi sportivi, ossia i diritti che competono all’organizzatore della competizione relativamente alla trasmissione dell’evento: nel caso degli eSports manca del tutto una regolamentazione che possa dirimere eventuali controversie, con conseguente necessario riferimento all’autonomia contrattuale delle parti. Gli aspetti ora indicati evidenziano che una semplice assimilazione degli eSports agli sport non sia allo stato né possibile né probabilmente auspicabile. Senza considerare, poi, che nel settore degli sport vi sono alcuni aspetti pubblicistici che incidono nella regolamentazione del settore e delle entità che in esso operano, e che non paiono completamente compatibili con un ambito nuovo e dalle dinamiche in larga parte diverse come quello degli eSports: si pensi alla disciplina delle Federazioni e delle associazioni sportive, alla regolamentazione degli atleti, etc.
Il business degli eSport
Secondo l’ultimo rapporto sugli eSports in Italia di IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association), l’associazione di categoria dell’industria del videogioco in Italia, ogni giorno 466.000 persone dichiarano di seguire un evento esports (avid fan). Si tratta di un dato in crescita del 33% rispetto alla rilevazione precedente.
Il bacino si espande a circa 1.410.000 persone se si considerano anche coloro che dichiarano di seguire un evento esports non ogni giorno, ma più volte durante la settimana (esports fan), dato che complessivamente è cresciuto del 22% su base annua. I fan dedicano in media 6,5 ore alla settimana agli esports, un quantitativo di tempo in crescita del 35% rispetto all’anno precedente e ormai prossimo al consumo orario settimanale televisivo (circa 7,6 ore). Questi dati dimostrano la crescita esponenziale del settore, e ne sottolineano quindi l’importanza sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista culturale. Vi sono Paesi che puntano molto sugli eSports, come la Corea del Sud, dove da tempo sono nati team di giocatori di eccellenza, e vengono organizzati grandi eventi, per i quali si realizzano anche stadi ad hoc. Nella scia vi sono anche Cina, Stati Uniti e diversi Paesi del Nord Europa. Oltre a fattori culturali e sociali (come, ad esempio, una pervasiva diffusione della cultura del videogioco in Sud Corea o in Giappone), giocano un ruolo indubbiamente importante nella spinta verso la crescita del settore anche elementi economici legati agli investimenti, nonché aspetti legali di regolamentazione del settore.
Le regole che potrebbero essere applicate per gestire gli eSport
Vi è da chiedersi allora se non sia più consigliabile gestire gli eSports, per quanto possibile, sulla base dell’applicazione delle leggi generali già presenti nell’ordinamento, fra cui in particolare quelle sul diritto commerciale, il diritto del lavoro, la legislazione fiscale, la legislazione sulla tutela dei consumatori, il diritto della concorrenza, il diritto sulla protezione dei dati, con un’attenzione particolare al diritto della proprietà intellettuale e industriale e a quello del commercio elettronico. In questo modo si potrebbe modulare quest’attività secondo regole consolidate e testate da tempo sulla maggior parte delle attività economiche. In via residuale, e ove necessario, si potrebbe poi valutare di introdurre, anziché una regolamentazione completa formata sull’esempio della normativa sportiva, una disciplina più settoriale che si focalizzi sulla promozione del settore degli eSports e sulla rimozione degli ostacoli al suo sviluppo (come in particolare in questo momento le non chiare previsioni in materia di manifestazioni a premio), ferma restando la necessaria tutela di diritti importanti, come ad esempio quelli dei minori. Si tratta peraltro, come detto, in larga parte di protezioni già esistenti, e particolarmente forti nel settore del diritto d’autore, che da tempo disciplina e classifica i contenuti e la loro accessibilità alle diverse tipologie di consumatori. Ancora, si dovrebbe valutare di lasciare un consistente spazio alla regolamentazione autodisciplinare da parte dell’industria, come avviene già da tempo in diversi settori, come ad esempio in particolare nell’autodisciplina pubblicitaria e poi di nuovo – in particolare – nel settore dei videogiochi ove, con riferimento alla tutela dei minori, si è introdotto un sistema di autoregolamentazione (il PEGi) basato sull’introduzione e l’applicazione di classificatori (che informano i consumatori circa i contenuti dei videogiochi consigliando quindi l’accesso a seconda dell’età).