Il 25 settembre scorso AGCOM ha pubblicato il suo terzo report sull’attuazione del Regolamento UE 2019/1150, noto tra gli addetti ai lavori come “Regolamento Platform-to-Business”.
È ben possibile – e confermato da dati contenuti report AGCOM – che chi legge non ne abbia mai sentito parlare.
Il Regolamento P2B, infatti, a 3 anni dalla sua entrata in vigore, risulta ancora – a differenza dei suoi “fratelli” Digital Services Act e Digital Markets Act, sconosciuto ai più; spesso è sconosciuto anche a soggetti che sono tenuti ad applicarlo o che ne potrebbero invocare le tutele.
L’Autorità lamenta anche che molte delle richieste di tutela ricevute, sebbene invochino l’applicazione del Regolamento P2B, in realtà attengono ad aspetti commerciali ed economici che esulano dall’applicazione del Regolamento.
È bene allora approfittare dell’occasione data dalla pubblicazione del report per fare il punto su quali sono le tutele di questo Regolamento, quai i destinatari e quali gli strumenti di tutela.
Regolamento P2B: obiettivi e applicazione
Il Regolamento P2B è nato con lo scopo di introdurre misure volte a garantire maggiore trasparenza e correttezza nei rapporti tra piattaforme digitali e i loro utenti commerciali: gli utenti commerciali sono i venditori online e le imprese che forniscono servizi attraverso l’intermediazione della piattaforma. Ad esempio, un albergo è “utente commerciale” di una piattaforma che offre servizi di prenotazione per quell’albergo.
Il Regolamento P2B, dunque, si applica – diversamente dal Digital Services Act – alle piattaforme che tramite intermediazione verso i consumatori, offrono agli “utenti commerciali” (persone fisiche o imprese che agiscono nell’ambito di attività commerciali/professionali/artigianali/imprenditoriali) servizi che consentono di facilitare o concludere una transazione con un consumatore.
Ovviamente deve esistere un rapporto contrattuale tra la piattaforma e l’utente commerciale affinché si possa applicare il Regolamento.
Le principali tutele offerte dal regolamento
Le principali tutele offerte dal regolamento riguardano:
- trasparenza nelle condizioni d’uso e modifiche contrattuali: le piattaforme devono fornire termini contrattuali chiari, accessibili e non ambigui, specificando le motivazioni per eventuali sospensioni o restrizioni degli account dei commercianti e le modifiche devono essere comunicate con un preavviso minimo di 15 giorni, consentendo ai venditori di adeguarsi o di risolvere il contratto;
- trasparenza dei sistemi di classificazione e posizionamento: le piattaforme devono spiegare chiaramente agli utenti commerciali i criteri utilizzati per classificare i prodotti o servizi, come ad esempio algoritmi o accordi pubblicitari che influenzano il posizionamento. Pensiamo, ad esempio, ai comparatori di prodotti/servizi;
- informazioni sull’utilizzo dei dati e diritto di accesso: le imprese devono essere informate su come i dati relativi alle loro attività vengono raccolti, utilizzati e condivisi con terze parti.
Il sistema di reclamo e mediazione previsto dal Regolamento P2B
Il Regolamento prevede poi che venga reso disponibile un sistema di reclamo e mediazione: le piattaforme devono prevedere meccanismi interni per la gestione delle controversie e designare mediatori indipendenti attraverso i quali si possa attuare un rapido tentativo di risoluzione dei conflitti.
È inoltre interessante il meccanismo per cui le associazioni e organizzazioni di categoria o che comunque possono dimostrare un legittimo interesse possono adire il giudice nazionale per far rispettare gli obblighi e per il risarcimento dei danni. Questa tutela si affianca a quella svolta dall’AGCOM quale Autorità competente per l’Italia. L’AGCOM ha inoltre, ai sensi della Legge 178/2020, il potere di irrogare sanzioni che vanno dal 2 al 5% del fatturato del soggetto inadempiente; tali sanzioni non possono invece essere irrogate dal Giudice.
I nodi della trasparenza contrattuale
Sul fronte della trasparenza contrattuale, il Rapporto AGCOM evidenzia come molte piattaforme rendano ancora oggi disponibili i propri termini e condizioni per gli utenti commerciali mediante la consultazione di sezioni “generiche” del sito, quali quelle sui documenti legali o assistenza clienti: in sostanza i termini e condizioni – che nel 20% dei casi non sono nemmeno in Italiano – vanno cercati e trovati dall’utente, tra centinaia di documenti diversi.
Il Rapporto evidenzia altresì che il 20% delle piattaforme non ha ancora modificato/integrato i propri Termini e Condizioni con i contenuti previsti dal Regolamento. È interessante che l’Autorità rilevi come anche in molti casi di intervenute modifiche vi sia “margine di miglioramento”: tra gli elementi che l’Autorità rileva ancora mancanti o comunque non completamente conformi vi sono, ad esempio, le informazioni sui principali parametri di posizionamento delle offerte e sulla possibilità di influire sul posizionamento stesso; anche sulle modalità di accesso ai dati detenuti dalla piattaforma l’adeguamento non è avvenuto in maniera soddisfacente.
L’obbligo del trattamento differenziato
Forti criticità vengono poi rilevate sul tema del cosiddetto “trattamento differenziato”: è uno degli obblighi più interessanti e riguarda la trasparenza su differenze di trattamento tra offerte, dati, prodotti e servizi di imprese controllate dalla piattaforma, rispetto a quelle di utenti commerciali indipendenti dalla stessa; se si pensa a sistemi come quelli oggetto del caso UE “Google Shopping”, nel quale – recentemente – Google è stata condannata anche in appello proprio per un sistema di trattamenti differenziati tra inserzioni dei propri inserzionisti, rispetto a quelle di comparatori indipendenti, si capisce la rilevanza del tema, sia in termini di tutela della concorrenza, sia in termini di tutela del consumatore. Al riguardo l’Autorità nota come le informazioni che vengono rese sui criteri di posizionamento e sui sistemi di trattamento differenziato siano generiche e prive di descrizioni dettagliate e differenziate rispetto a ciascun servizio offerto. Colpisce che solo la metà dei soggetti esaminati da AGCOM dichiara di non effettuare trattamento differenziato.
È inevitabile auspicare che il Regolamento P2B assuma il posto che merita nel sistema di tutela dei consumatori e delle imprese UE uscendo dal cono d’ombra dei suoi fratelli DSA e DMA anche grazie a una più incisiva azione di AGCOM a tutela del medesimo (e, probabilmente, a un maggiore coraggio delle imprese di presentare esposti in caso di violazione).
I motivi della scarsa notorietà del Regolamento P2B
La scarsa notorietà del Regolamento è probabilmente la causa dei pochi casi di tutela del medesimo visti sinora; essa deriva forse proprio dal fatto che gli ambiti di tutela sono in parte sovrapposti tra questi Regolamenti. Deve però essere riconosciuta una differenza importante: mentre il DSA tutela i consumatori, il Regolamento P2B è rivolto alla tutela delle imprese che fruiscono dei servizi delle piattaforme. A differenza del DMA, che viene applicato centralmente dalla Commissione UE e che riguarda solo e soltanto i c.d. “gatekeepers” espressamente designati (Google, Google Shopping, Amazon, Microsoft, Meta, Apple, Samsung, Booking e TikTok), il Regolamento P2B è vigilato da una Autorità nazionale -che ha certamente maggiore sensibilità rispetto ai problemi di mercato delle imprese italiane – e riguarda qualsiasi piattaforma di intermediazione, anche se non designata dalla Commissione UE. Le sue tutele coprono dunque una gamma molto maggiore di relazioni e di possibili illeciti.
Non risultano a oggi procedimenti sanzionatori di Agcom in applicazione del Regolamento (o quanto meno non sono a oggi pubblici) ma, alla luce dei rilievi contenuti nel rapporto 2024, che dimostrano che l’Autorità ha un quadro completo e accurato della situazione – sembra veramente che vi siano tutti i presupposti affinché l’Autorità possa presto iniziare azioni specifiche di tutela sulla base dello stesso.