platform worker

Regolare il lavoro autonomo ai tempi delle piattaforme: la UE prova con gli “accordi collettivi”

La Ue ha emesso degli orientamenti per gli accordi collettivi degli autonomi che subiscono lo strapotere delle piattaforme digitali: la finalità è migliorare le condizioni per la trattativa. Un intervento rilevante per la certezza del diritto, ma che introduce la necessità di riflettere sui nuovi paradigmi socio-economici

Pubblicato il 04 Ott 2022

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

Photo by Paolo Feser on Unsplash

Il lavoro dei cosiddetti platform workers, ossia dei soggetti dipendenti di fatto da una multinazionale che vende i propri servizi tramite app, sarà verosimilmente regolato con una direttiva europea (proposta già nel dicembre 2021 e attualmente in fase di approvazione). Per gli altri lavoratori autonomi, sostanzialmente soggetti allo strapotere contrattuale degli stessi soggetti, mancano tutele: la UE prova a percorrere la strada degli “accordi collettivi”.

Per una gig economy etica serve un codice di condotta: i nodi da affrontare

Gig economy la Ue apripista nella tutela dei lavoratori subordinati alle app

L’Unione europea è, da anni, impegnata in modo significativo nella regolamentazione del mondo digitale in generale: dal GDPR ai vari Digital Acts, la UE è stata apripista nella tutela dei soggetti su cui impatta maggiormente l’industrializzazione digitale.

In primo luogo, gli utenti (consumatori in genere), poi i lavoratori subordinati delle “app”: questo è stato il processo di graduale regolamentazione.

I casi dei rider, in Italia ma anche in tutta Europa, hanno portato alla luce un fenomeno esploso nel periodo pandemico: l’assoluta dipendenza del consumatore dal mezzo digitale per scegliere e ottenere comodamente prodotti e servizi.

La posizione dominante dei soggetti che possono arrivare più facilmente negli app stores è talmente palese che la stessa UE ha dovuto prendere atto di come i paradigmi del lavoro dipendente siano stati stravolti dalle fondamenta.

Per quanto non servisse la rivoluzione digitale per inventare il ciclo-fattorino, nella storia la dipendenza tra consumatore finale e soggetto che gestisce marketing e logistica non è mai stata così impattante sul piano dei rapporti economici.

Per questa ragione, la Commissione europea ha dovuto prendere anche atto che oltre ai consumatori e ai dipendenti – di fatto o di diritto – ci sono anche lavoratori autonomi che soffrono in modo sempre più diretto lo strapotere delle piattaforme.

Applicazione del diritto della concorrenza agli accordi collettivi per i lavoratori autonomi individuali

La Commissione europea ha emesso degli orientamenti per gli accordi collettivi degli autonomi: la finalità è consentire un miglioramento delle condizioni per la trattativa con le piattaforme digitali.

Gli accordi collettivi potranno riguardare solo alcune categorie di autonomi, ossia quelli che esercitano la propria attività in modo individuale e che non impiegano altre persone e che possono, sostanzialmente, essere equiparati a lavoratori subordinati.

Nel gergo nazionale indentificheremmo questi soggetti come “false partite iva”, dato che i requisiti per non essere soggetti alle regole della concorrenza sono: prestare i propri servizi esclusivamente o prevalentemente per una sola impresa; lavorare fianco a fianco con i lavoratori subordinati; fornire servizi a una piattaforma di lavoro digitale o attraverso una tale piattaforma.

È del tutto evidente che un soggetto che opera in questo modo non è dipendente solo per alcune, specifiche, ragioni di diritto: non è soggetto a un potere disciplinare – legislativamente regolato – del datore di lavoro; non ha – o non dovrebbe avere – un orario di lavoro; non è retribuito con uno “stipendio” ma con un compenso.

In questo contesto, l’ultima voce viene compressa dallo strapotere del committente, unico o prevalente che sia.

L’intervento della Commissione europea è rilevante in termini di certezza del diritto: l’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), infatti, vieta alle imprese le aggregazioni finalizzate a fare “cartello” per ottenere posizioni contrattualmente dominanti o più solide.

Dato che la negoziazione collettiva dei gig workers autonomi poteva ricadere nel divieto di aggregazione, la Commissione è intervenuta impostando gli orientamenti per gli accordi collettivi, all’interno dei quali la contrattazione aggregata sarà, invece, possibile.

I liberi professionisti

L’intervento della Commissione non incide minimamente sul lavoro autonomo dei liberi professionisti iscritti a un albo, a un registro o simili.

Questi ultimi, per diritto dell’Unione, sono equiparati alle PMI e seguono il relativo regime.

Va detto che anche questo settore non tarderà a risentire della gig economy e dell’everything as a service: i servizi professionali base potranno essere svolti tramite app ed Ai in breve tempo.

Dichiarazione dei redditi, buste paga o contestazioni di multa: a oggi il professionista è necessario solo per la carenza di infrastrutture idonee a sostituirlo sul mercato.

Da qui l’esigenza di innovare e rivedere in profondità il senso delle professioni, oltre che dei relativi organi di governo e dei rispettivi regimi previdenziali.

Conclusioni

Un altro step nella regolamentazione, anche ipertrofica, che la UE pone nel contesto digitale è stato fatto.

I paradigmi socio-economici alla base delle decisioni dell’UE sono di matrice tradizionale e vengono calati in un contesto del tutto nuovo.

La novità, tuttavia, è più nella veste esterna e nella pervasività dei mezzi impiegati – le app – che nella sostanza dei rapporti sociali: in questo una sana analisi con categorie di matrice marxiste potrebbe anche portare sorprese.

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