Con qualche giorno di anticipo sul pacchetto europeo di proposte per regolamentare le Big tech, che Thierry Breton e Margrethe Vestager riveleranno il 15 dicembre, la Digital Markets Taskforce inglese ha pubblicato le proprie proposte, in risposta alla richiesta del Governo dello scorso marzo.
Si tratta, quindi, per livello di dettaglio degli interventi richiesti, della prima cornice regolatoria, a livello mondiale, sui temi che in questi ultimi anni hanno interessato gli studi di esperti, istituzioni e autorità indipendenti.
Sulla base dei documenti posti in consultazioni negli scorsi mesi, è peraltro ragionevole ipotizzare che molte delle proposte avanzate nel Regno Unito condividano un impianto generale con l’Unione Europea. Naturalmente qui, dall’altro lato del mercato, non ci sono operatori nazionali, ma piattaforme globali in cerca di uno standard regolatorio che solo una dimensione come quella della Unione europea può imporre al mondo come già avvenuto con il Gdpr. D’altra parte, da sempre, anche per ragioni storiche di primogenitura, anche sul ruolo delle authorities, le riforme regolatorie e le politiche della concorrenza introdotte nel Regno Unito hanno agito da apripista per altre istituzioni in Europa.
La proposta inglese
La proposta inglese è stata formulata congiuntamente dall’antitrust (CMA), il regolatore delle comunicazioni (OFCOM) e quello dei dati personali (ICO), in questo seguendo un approccio simile a quello che, unilateralmente, adottarono qualche anno fa le corrispondenti autorità italiane (Agcm, Agcom e Garante Privacy) con una indagine congiunta sui Big Data, le cui proposte di policy non sono state tuttavia ancora discusse da legislatore.
Piattaforme digitali e Strategic Market Status
Si prevede, innanzitutto, la costituzione di una unità nuova (Digital Markets Unit) che abbia caratteristiche trasversali alle competenze settoriali dei diversi regolatori e che possa formulare regole nuove per le grandi piattaforme online dotate di Strategic Market Status (SMS). Si introduce qui un concetto innovativo e molto interessante, che aggiorna la ‘vecchia’ nozione di “significativo potere di mercato” (SMP), storicamente associata ai soggetti tipicamente regolati nelle industrie a rete di pubblica utilità, discostandosene su alcuni punti importanti.
Dal momento che in molte transazioni digitali, intermediate dalle grandi piattaforme online, diventa difficile stabilire con precisione i confini del “mercato rilevante” sul quale misurare poi il potere delle imprese, si misura la posizione strategica rivestita dalla piattaforma su una specifica attività digitale, sulla base di un test che tiene conto:
- della dimensione dell’impresa nell’esercitare un potere di mercato sull’attività;
- della capacità dell’attività di agire come punto di accesso necessitato per altri servizi;
- della capacità di estendere il potere di mercato ad altre attività;
- della capacità di determinare le regole del gioco e il vantaggio competitivo;
- della natura dell’impatto dell’attività su mercati che possano avere rilevanza sociale o culturale (come, ad esempio, nel campo dell’informazione).
La nuova regolazione si concretizzerà in un codice di condotta che includerà principi orizzontali ma anche regole più focalizzate su specifici mercati o attività.
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Le innovazioni della proposta inglese
Se una piattaforma ha uno Strategic Market Status essa è poi soggetta ad una regolazione espressa in uno specifico codice di condotta volta a prevenire il libero gioco della concorrenza; ad una serie di misure orizzontali pro-competitive (in merito alla portabilità dei dati, alla interoperabilità dei servizi, e all’accesso a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie (FRAND) ai dati ritenuti strategici per l’innovazione e a concorrenza).
Si tratta, come si vede, di uno schema logico che ripropone i temi classici dell’accesso e della regolazione pro-concorrenziale, innovando tuttavia sui temi della posizione dell’impresa sul mercato di riferimento, da un lato, e sui temi dell’accesso inteso non più con riferimento a reti o infrastrutture essenziali ma al ruolo, centrale e strategico, dell’economia del dato e degli algoritmi, cioè dei nuovi fattori che determinano oggi il vantaggio competitivo nelle transazioni digitali. Qui, assume rilevanza anche un nuovo modo di concepire il consumatore e la trasparenza e modalità (framing) dello spazio (digitale) nel quale riceve le informazioni e soprattutto esercita scelte consapevoli. La proposta riformula poi anche le regole per la notifica e la valutazione delle operazioni di concentrazione che coinvolgano imprese dotate di SMS, di nuovo ponendo particolare attenzione al potere economico dinamico e al ruolo dei dati.
Nel complesso si tratta di un nuovo approccio che appare avere molto in comune con il nuovo standard che l’Unione europea si appresta a proporre. Anche laddove si raccomanda di amplificare i poteri per il contrasto a quei “contenuti illegali” (incluse le strategie di disinformazione) che possano danneggiare imprese e consumatori. Tra i rimedi previsti, si considera la separazione societaria e contabile, ma non quella proprietaria.
Conclusioni
Insomma, la risposta che sembra provenire da più parti sembra convergere non tanto su un nuovo diritto antitrust, ma su una nuova forma di regolamentazione ex-ante capace da un lato di dare certezze giuridiche a un mercato in rapido movimento, dall’altro di accompagnare processi dinamici e innovativi attraverso approcci e competenze intra-settoriali e interdisciplinari. Un processo che richiederà, tuttavia, anche una certa capacità di innovazione nel design istituzionale che spesso si è rivelato più lento e vischioso dei fenomeni che intendeva governare.
In Italia, le tre autorità (Agcm, Agcom e Privacy) si erano mosse insieme in una iniziativa volontaria e unilaterale, cui purtroppo non è seguita un’azione legislativa. Analogamente, ad avviso di chi scrive, si è sprecata l’occasione di una riforma per convergenza tra Agcom e Garante Privacy, graduale e pienamente rispettosa delle autonome prerogative, in occasione del rinnovo delle due autorità, avvenuto peraltro dopo oltre un anno dalla naturale scadenza.
Non resta che aspettare il Digital Services Act e il Digital Market Act che definiranno il nuovo standard regolatorio e il design istituzionale più efficace per perseguirlo.