le nuove regole ue

Ridare all’Europa controllo su algoritmi ed economia digitale: i fini delle norme Dsa e Dma

Restituire all’Europa, ai cittadini e alla democrazia un controllo sugli algoritmi e sui loro signori, le big tech come Amazon, Apple, Facebook, Google. Per assicurare un futuro economico al Continente e una tutela ai diritti fondamentali. Ecco perché il Digital Services Act e il Digital Markets Act sono fondamentali

Pubblicato il 16 Dic 2020

Barbara Calderini

Legal Specialist - Data Protection Officer

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La Commissione europea ha presentato ieri il proprio disegno normativo per rendere “l’Europa adeguata all’era digitale”. Solo poche ore prima, invece, il mondo si ritrovava in preda al panico nel giorno del “Google down”, durato solo un’ora ma conferma di come le nostre vite e società sono dipendenti dal big tech. E in particolare da Google che sulla ricerca web ha una posizione non contrastabile da nessun rivale per motivi di “effetto rete” come rilevato dal New York Times in un recente articolo.

Obiettivo esplicito del nuovo impianto normativo proposto dalla Commissione, Digital Services Act e del Digital Markets Act che si avviano ora a un lungo e travagliato iter di approvazione, è proprio quello di ridare all’Europa, ai cittadini e alla democrazia un controllo sugli algoritmi. E quindi controllo sui loro signori, le big tech come Amazon, Apple, Facebook, Google sotto inchiesta in Europa e Usa per eccesso di posizione dominante, limitazione della concorrenza e abusi sulla privacy.

Ora l’impianto ha la firma della vicepresidente della Commissione Ue, Margrethe Vestager, e del commissario Ue per il Mercato interno, Thierry Breton. Perché diventino legge in Europa dovranno passare dalle forche caudine di una battaglia che si annuncia asprissima, con le lobby delle tech che – come scrive il New York Times – hanno già scatenato le proprie attività di lobby in Europa per bloccare quello che definiscono un attentato all’innovazione.

Due regolamenti, una sola missione: tutela del mercato Ue e dei nostri diritti

I due regolamenti sono complementari, come dice la stessa Commissione.

Mirano a porsi alla guida del mercato digitale dell’UE e con i quali la Commissione ha inteso chiarire e consolidare le nuove norme sulla trasparenza e responsabilità dei servizi digitali a garanzia di un ambiente e di un mercato digitale più giusto, rispettoso dei diritti umani e più competitivo, in cui anche le piccole e medie imprese possano confrontarsi con gli attori più affermati.

Il primo, il DSA, inteso a rafforzare il mercato unico dell’UE e chiarire le responsabilità dei servizi digitali, e il secondo, il DMA, che si cimenterà con il potere economico delle grandi piattaforme online.

Sono incluse nella regolamentazione le piattaforme digitali online, quelle di social media, i motori di ricerca, le piattaforme di videogiochi e altri servizi della società dell’informazione e del web.

In base alle proposte presentate, Bruxelles imporrà poi alle grandi piattaforme online, che agiscono come “gatekeeper”e che raggiungono almeno 45 milioni di persone in tutto il blocco dei 27 paesi, una serie di ulteriori limitazioni e responsabilità con implicazioni rilevanti sia in termini di diffusione di contenuti illegali sulle loro reti sia di revisione dei rispettivi modelli di business.

Non è ancora chiaro se saranno interessate anche le piattaforme online provenienti dalla Cina come WeChat, nonostante il successo sempre crescente di “super-app” come WeChat la cui base utenti appare in costante crescita e il suo potere di controllo sui dati asservito al partito di Xi in forte ascesa.

Rimettere i guardiani del digitale al servizio della collettività

“Il settore tecnologico europeo sta diventando maggiorenne” ha evidenziato Ursula von der Leyen al Web Summit del 16 novembre scorso, “ il continente può essere un leader globale nella prossima ondata di trasformazione digitale. “ la Commissione intende riscrivere il regolamento del mercato digitale per le piccole start-up ma anche per le grandi piattaforme. Il nuovo Digital Services Act e il Digital Markets Act ambiscono a creare un unico insieme di regole di base per tutte le imprese digitali”, ha quindi aggiunto.

Dichiarazioni condivise anche al di fuori della Commissione: “Con questa proposta, l’UE ha la possibilità di anticipare la curva”, ha detto a Euronews Jan Penfrat, consulente politico senior di European Digital Rights (EDRi), l’associazione di organizzazioni per i diritti civili e umani di tutta Europa con sede a Bruxelles, che si dice però anche preoccupato per il fatto che “il DSA che il DMA potrebbero avere il potenziale per un impatto tanto positivo quanto negativo sulla capacità delle persone di godere dei propri diritti umani a seconda della forma che prenderanno i quadri regolatori”. Il riferimento alla libertà di pensiero e di parola e alle previste responsabilità (ex ante ed ex post) delle piattaforme per i contenuti che ospitano è immediato.

Altrettanto è evidente l’attinenza con il recente discorso pubblico, della vicepresidente Margrethe Vestager rivolto alle piattaforme social media: “Oggi possiamo facilmente guardare film e condividere video online e chattare con i nostri colleghi e familiari in tutto il mondo. Possiamo scegliere tra milioni di venditori su Internet, tra miliardi di siti pieni di notizie e informazioni.

Per navigare in quell’enorme gamma di possibilità, siamo arrivati a fare affidamento su alcune enormi piattaforme digitali per darci una sorta di mappa, che ci aiuta a trovare ciò che stiamo cercando. Ma una mappa non è il mondo. Ogni mappa deve fare delle scelte, su quali cose mostrarci e quali nascondere. E queste scelte modellano la nostra comprensione del mondo e la nostra conoscenza delle possibilità che abbiamo.

Quindi queste piattaforme sono diventate guardiani, con un enorme potere sulle nostre vite. Possono influenzare la nostra sicurezza, se i prodotti pericolosi e i contenuti dannosi possono diffondersi ampiamente o se vengono rimossi rapidamente. Possono influenzare le nostre opportunità, se i mercati rispondono alle nostre esigenze o se lavorano solo nell’interesse delle piattaforme stesse. Hanno persino il potere di guidare i nostri dibattiti politici e di proteggere – o minare – la nostra democrazia.

E più arriviamo a capire quanto dipendiamo da queste piattaforme – e quanto poco comprendiamo o controlliamo veramente le scelte che fanno – più la fiducia delle persone nella tecnologia digitale inizia a vacillare. E senza quella fiducia, non saremo in grado di sfruttare al massimo il potenziale della digitalizzazione”.

Costruire la fiducia nel digitale per la crescita economica europea

Premesse dunque importanti che fanno leva sulla costruzione della fiducia quanto sull’investimento nell’innovazione digitale.

Non a caso uno degli obiettivi più ambiziosi indicati da Ursula Von der Leyen è quello di posizionarsi in prima linea nel mercato online: “dei 750 miliardi di euro di fondi di investimento per rimodellare l’economia dell’UE, il 20% finanzierà gli investimenti digitali” preannuncia nelle sue dichiarazioni pubbliche.

E il perimetro di azione si dovrebbe estendere fino alla connettività ad alta velocità in tutti e quattro gli angoli d’Europa “con 5G, 6G e fibra” e agli investimenti in microprocessori di ultima generazione e supercomputer europei per “allargare i confini sia delle prestazioni che dell’efficienza energetica”.

L’innovazione e l’economia sono l’altra faccia della rivoluzione sostenuta dal nuovo impianto normativo. Così come lo è il Gdpr e altre misure che la UE prende sulla protezione dei dati: la tutela dei diritti si incastra perfettamente con l’obiettivo di sviluppo economico-sociale del Continente e della sua sovranità, che passa sempre più dal controllo su dati e algoritmi.

Dopo la sua pubblicazione, le proposte potrebbero subire altre modifiche in sede di Parlamento e Consiglio.

Il processo legislativo non è dunque concluso.

Ma il percorso verso un scenario di mercato unico competitivo e aperto alle innovazioni delinea già i suoi contorni principali. E alcuni hanno già notato una certa somiglianza con alcune norme già in vigore nel paese che attualmente detiene la Presidenza del Consiglio dell’UE – Germania.

Vediamo nel dettaglio le due norme

Digital services act

Il Digital Service Act. Oltre 90 pagine e 74 articoli per garantire un ambiente online sicuro e responsabile

Obiettivo: fissare “nuovi obblighi e responsabilità per gli intermediari digitali, e soprattutto per le piattaforme online, riguardo ai contenuti che essi ospitano”

Si rivolge a: servizi di intermediazione che offrono infrastrutture di rete, servizi di hosting come servizi cloud e webhosting, piattaforme online che riuniscono venditori e consumatori come mercati online, app store, piattaforme di economia collaborativa e piattaforme di social media.

Sono previste norme specifiche per le piattaforme che raggiungono più del 10% dei 450 milioni di consumatori in Europa.

Due i temi cardine: quello della responsabilità e il tema della regolamentazione ex ante degli intermediari digitali.

Al centro gli individui. Perno attorno al quale muovere e disegnare le responsabilità degli utenti, delle piattaforme e delle autorità pubbliche.

Non sono incluse nella proposta questioni attinenti la tassazione digitale o altre aventi incidenza nel settore fiscale, rimandate ad una separata e specifica valutazione.

Sono invece al centro della regolamentazione la diffusione di contenuti illegali come incitamento all’odio, contenuti terroristici o materiale pedopornografico, nonché per vendere merci pericolose e prodotti contraffatti o per offrire servizi illegali.

I principi base:

  • Proteggere meglio i consumatori ei loro diritti fondamentali online
  • Stabilire una potente trasparenza e un chiaro quadro di responsabilità per le piattaforme online
  • Promuovere l’innovazione, la crescita e la competitività nel mercato unico

Tutti gli intermediari online che offrono i propri servizi nel mercato unico, siano essi stabiliti nell’UE o al di fuori, saranno tenuti al rispetto delle nuove regole.

Le micro e le piccole imprese avranno obblighi proporzionati alle loro capacità e dimensioni, sulla base di un approccio peraltro basato sul rischio per il rispetto delle libertà e dei diritti fondamentali.

Il controllo pubblico sarà ancora più mirato su quelle piattaforme online che raggiungono oltre il 10% della popolazione dell’UE.

Queste in poche parole le regole sottoposte dalla Commissione al Parlamento e al Consiglio:

  • specifiche misure per contrastare beni, servizi o contenuti illegali online , come un meccanismo per consentire agli utenti di segnalare tali contenuti e per consentire alle piattaforme di collaborare con “segnalatori attendibili”
  • nuovi obblighi in materia di tracciabilità degli utenti aziendali nei mercati online, per aiutare a identificare i venditori di merci illegali.
  • salvaguardie efficaci per gli utenti , inclusa la possibilità di contestare le decisioni di moderazione dei contenuti delle piattaforme
  • misure di trasparenza per le piattaforme online su una varietà di questioni, compresi gli algoritmi utilizzati per le raccomandazioni
  • obblighi per le piattaforme molto grandi per prevenire l’uso improprio dei loro sistemi intraprendendo azioni basate sul rischio e mediante audit indipendenti dei loro sistemi di gestione del rischio
  • accesso per i ricercatori ai dati chiave delle più grandi piattaforme, al fine di comprendere come evolvono i rischi online
  • struttura di supervisione per affrontare la complessità dello spazio online: i paesi dell’UE avranno il ruolo primario, supportati da un nuovo Board europeo per i servizi digitali; per piattaforme molto grandi, supervisione e applicazione rafforzate da parte della Commissione

I cui impatti investono un ampio spettro d’azione: non solo per le piattaforme ma anche per gli utenti, le autorità e individui e le organizzazioni portatori di interessi e di diritti.

Gli utenti in particolare:

  • verranno informati e potranno contestare la rimozione dei contenuti da parte delle piattaforme
  • avranno accesso ai meccanismi di risoluzione delle controversie nel proprio paese
  • si gioveranno di Termini e condizioni trasparenti per le piattaforme
  • potranno contare su sicurezza e migliore conoscenza dei veri venditori dei prodotti che acquistano
  • e su obblighi più severi diretti alle piattaforme online di grandi dimensioni per valutare e mitigare i rischi a livello dell’organizzazione complessiva del loro servizio, dove le restrizioni dei diritti e i rischi di diffusione virale di contenuti illegali o dannosi sono più impattanti
  • autorità e ricercatori selezionati avranno accesso ai dati delle piattaforme per comprendere i rischi per la società e i diritti fondamentali
  • saranno garantiti da maggior trasparenza delle regole per la moderazione dei contenuti
  • riceveranno informazioni significative sulla pubblicità e sugli annunci mirati: chi ha sponsorizzato l’annuncio, come e perché si rivolge a un utente
  • e informazioni chiare sul motivo per cui il contenuto è consigliato agli utenti
  • avranno diritto di rinunciare ai consigli sui contenuti basati sulla profilazione
  • le piattaforme potranno aderire ai codici di condotta come misura per mitigare i loro rischi.

Quanto alle piattaforme di piccole dimensioni, PMI e start-up, piccoli attori attualmente sottoposte ai costi della confromità derivanti da 27 impianti normativi diversificati, saranno ora supportati da standard e linee guida dedicati e al ricorrere di certi parametri (piccole e micro imprese) saranno esentate dagli obblighi più costosi, ma libere di applicare le migliori pratiche, per il loro vantaggio competitivo.

Potranno inoltre:

  • adottare con facilità misure volontarie per proteggere i propri utenti da contenuti, beni o servizi illegali
  • contare su nuovi meccanismi semplici ed efficaci per segnalare contenuti e merci illegali che violano i loro diritti, inclusi i diritti di proprietà intellettuale, o competono a un livello sleale.
  • e diventare “segnalatori attendibili” di contenuti o merci illegali, con procedure prioritarie speciali e una stretta collaborazione con le piattaforme.

Allo stesso modo i piccoli attori che operano nel segmento on line al momento dipendenti dai termini e dalle condizioni delle grandi piattaforme potranno servirsi di processi interni degli intermediari online più trasparenti e dunque assumere decisioni aziendali più informate.

Digital markets act

Il Digital Markets Act. Oltre 72 pagine in cui 39 articoli si prefiggono di garantire mercati digitali equi e aperti.

Obiettivo: assicurarsi che i “gatekeeper digitali” rispettino “una serie di obblighi ben definiti che mirano a evitare comportamenti sleali”.

Una terza via fra Cina e Usa sui temi del digitale e una risposta pubblica ai poteri privati grazie anche alle potenzialità insite nello “strumento di indagine di mercato” in mano alla Commissione.

Si rivolge a: grandi aziende che saranno identificate come “gatekeeper” secondo criteri oggettivi stabiliti nella proposta. Ovvero società che controllano almeno un cosiddetto “servizio di piattaforma principale” (come motori di ricerca, social servizi di rete, alcuni servizi di messaggistica, sistemi operativi e intermediazione in linea servizi) e hanno un’ampia e duratura base di utenti in più paesi dell’UE.

In breve, le piattaforme più grandi, per lo più americane, saranno soggette a un controllo maggiore rispetto alle loro controparti più piccole, principalmente europee.

Il passo più difficile per l’esecutivo dell’UE: definire cosa sia effettivamente una “piattaforma di gatekeeper”.

Questi i tre criteri cumulativi che stabiliscono in base a “parametri quantitativi e qualitativi chiaramente definiti” quali piattaforme rientrerebbero in ambito gatekeeper:

  • La dimensione che impatta sul mercato interno. Si presume che sia così se l’azienda ottiene risultati per un fatturato annuo nel contesto dello Spazio economico europeo (SEE) pari o superiore a 6,5 miliardi di euro negli ultimi tre esercizi finanziari, o dove la sua capitalizzazione di mercato media o su un mercato equo equivalente ammonta ad almeno € 65 miliardi nell’ultimo esercizio finanziario e allo stesso tempo opera in almeno tre Stati membri;
  • Il ruolo di importante gateway per gli utenti business verso i consumatori finali. Si presume tale la società che gestisce un servizio di piattaforma principale con più di 45 utenti finali attivi mensilmente stabiliti o situati nell’UE e attivi più di 10 000 utenti aziendali all’anno stabiliti nell’UE nell’ultimo esercizio finanziario;
  • Le società che hanno soddisfatto gli altri due criteri in ciascuno degli ultimi tre esercizi.

Se tutte queste soglie quantitative sono soddisfatte, si presume che la società specifica sia un gatekeeper, a meno che non presenti argomenti giustificati per dimostrare il contrario.

Diversamente la Commissione si riserva di valutare, nel contesto di un’indagine di mercato, la situazione specifica di una data azienda e quindi sulla base di una valutazione qualitativa, decidere di identificarla come gatekeeper.

Ma la Commissione potrà effettuare opportune indagini di mercato anche al fine di mantenere il passo con il ritmo veloce dei mercati digitali e quindi periodicamente

  • qualificare nuove realtà come aziende come gatekeeper
  • aggiornare dinamicamente gli obblighi per i gatekeeper quando necessario
  • progettare rimedi per affrontare le violazioni sistematiche delle regole del Digital Markets Act

Parliamo di una serie di regole che appunto prevedono obblighi specifici per i gatekeeper facilmente inquadrabili in, “cose da fare” e cose “da non fare” nelle loro operazioni quotidiane e che in caso di mancato rispetto potranno dare origine a multe fino al 10% del fatturato annuo mondiale totale dell’azienda o penali periodiche fino al 5% del fatturato medio giornaliero. Oltre a specifici rimedi che dovranno essere proporzionati all’infrazione commessa: dai rimedi comportamentali e strutturali fino alla cessione di (parti di) un’azienda.

Uno scacchiere dispositivo, a tratti temerario, che vuole bilanciare diritti e innovazione, frutto di intensi dibattiti non senza disaccordi pubblici e privati più o meno palesati che hanno reso evidente una certa divisione, tra i funzionari e rappresentati europei in Commissione, specie in tema tassazione, di acquisizioni ai limiti della normativa antitrust vigente e necessità di smantellare i giganti della Silicon Valley.

Dibattiti peraltro influenzati dallo scenario politico e geo-politico sullo sfondo: dalla complessa gestione dell’epilogo Brexit ai rapporti con la Cina, dall’auspicio per una seria ripresa delle relazioni transatlantiche all’approccio Europa First del commissario Breton. Non ultima la decisione del 15 luglio scorso con la quale la Corte di Giustizia che ha annullato la decisione del 2016 del commissario europeo per la concorrenza Margrethe Vestager secondo cui non tassando la maggior parte dei profitti globali di Apple che sono stati incanalati attraverso il paese, l’Irlanda aveva concesso aiuti di Stato illegali a Apple.

Tre i problemi principali che il DMA mira a risolvere:

  • pratiche sleali da parte di piattaforme gatekeeper nei confronti di utenti aziendali e concorrenti, comprese le tecniche di auto-preferenza e condivisione dei dati assente o limitata.
  • problemi di concorrenza strutturale che minano la concorrenza effettiva e la contendibilità del mercato sfruttando le caratteristiche uniche dei mercati online, come gli effetti di rete dovuti all’accumulo di dati o le restrizioni sul multihoming. Le elevate barriere all’ingresso per i concorrenti e gli elevati costi di cambio per gli utenti.
  • controllo e applicazione istituzionale frammentati e inefficaci.

in vista dei numerosi vantaggi attesi tanto dagli utenti consumatori quanto dagli utenti aziendali e per le piattaforme stesse:

  • Gli utenti aziendali che dipendono dai gatekeeper per offrire i propri servizi nel mercato unico avranno un ambiente imprenditoriale più equo
  • Gli innovatori e le start-up tecnologiche avranno nuove opportunità per competere e innovare nell’ambiente della piattaforma online senza dover rispettare termini e condizioni iniqui che limitano il loro sviluppo
  • Gli utenti aziendali sapranno cosa aspettarsi quando hanno a che fare con i gatekeeper.
  • I gatekeeper conosceranno con chiarezza gli obblighi a loro applicabili
  • Regole procedurali chiaramente definite garantiranno decisioni rapide che si tradurranno in rapidi vantaggi sia per gli utenti aziendali che per i consumatori
  • I consumatori avranno più e migliori servizi tra cui scegliere, maggiori opportunità di cambiare fornitore se lo desiderano, accesso diretto ai servizi e prezzi più equi
  • I gatekeeper manterranno tutte le opportunità per innovare e offrire nuovi servizi. Semplicemente non sarà loro permesso di utilizzare pratiche sleali nei confronti degli utenti aziendali e dei clienti che dipendono da loro per ottenere un vantaggio indebito
  • Migliore interoperabilità con servizi alternativi a quelli dei gatekeeper
  • Servizi migliori e prezzi più bassi per i consumatori
  • Le aziende avranno accesso a maggiori informazioni sulle prestazioni dei loro prodotti o servizi su piattaforme di terze parti
  • Niente più ingiuste classifiche dei servizi e dei prodotti dei gatekeeper rispetto a quelli offerti da altre aziende sulla stessa piattaforma
  • Le aziende potranno attirare più facilmente i consumatori che non possono più essere bloccati dalle piattaforme gatekeeper
  • Le nuove regole renderanno più facile la crescita e l’espansione delle piccole imprese e dei nuovi entranti e competeranno con le piattaforme gatekeeper.
  • I gatekeeper conosceranno in anticipo gli obblighi che devono rispettare
  • Altre piattaforme non saranno soggette a queste regole ma potranno beneficiare di comportamenti più equi quando si fanno affari con i gatekeeper
  • Riduzione dei costi di conformità per i gatekeeper e i loro utenti aziendali

Stante la natura transfrontaliera dei gatekeeper, la complementarità della legge sui mercati digitali

con la legge sui servizi digitali e l’integrazione con le altre regole del mercato interno e in particolare il diritto della concorrenza (articoli 101 e 102 TFUE), l’applicazione del Regolamento DMA rimarrà nella competenza della Commissione. Le richieste di risarcimento danni avanzate da chi avrà subito pregiudizio per il mancato rispetto delle regole potranno essere però presentate ai Tribunali nazionali.

Il contesto Big Tech e le norme

Insomma garantire un ambiente online sicuro e responsabile e mercati digitali equi e aperti si preannuncia piuttosto complesso ed oneroso per i giganti della culla della tecnologia per eccellenza: la Silicon Valley. Non servirà neppure imitare l’attuale tendenza di alcuni nomi illustri della tecnologia, da Tesla a Oracle, e abbandonare la California in favore dei proverbiali verdi pascoli texani auspicando maggiori benefici fiscali.

E, anche in ottica Brexit, le Big Tech statunitensi non potranno avvalersi dell’uscita del Regno Unito dalla sfera di influenza regolatoria dell’UE per sfuggire alla morsa europea.

Sembrerebbe, infatti, che un pacchetto di regole molto simili, sia già in procinto di introduzione anche oltremanica. Una serie di norme antitrast sono già state presentate al cospetto della Regina: è recente l’annuncio del Competition and markets authority (Cma) britannica della creazione di una Unità per il mercato digitale che controlli le grandi aziende del web con previsioni di multe antitrust fino al 10% del fatturato globale delle Big Tech.

La nuova agenzia nazionale, chiamata Digital Markets Unit (DMU), farà parte dell’attuale Competition and Markets Authority (CMA) nazionale a partire dall’aprile 2021 se tutto andrà secondo i piani.

Da Google ad Amazon, da Facebook a Microsoft. Tutte sono coinvolte dai piani per la governance del digitale della Commissione, ancorché fossero già pesantemente vessate dalle numerose azioni condotte alla stregua dei quadri regolatori previgenti tanto in Europa quanto negli USA.

Facebook sotto attacco antitrust, come finisce l’era felice delle big tech

Le azioni contro le big tech

L’anno scorso, Google è stato colpito con una multa di 1,7 miliardi dalla Commissione europea per pratiche pubblicitarie online abusive. La Francia, rigorosa e inamovibile si è opposta a Facebook avanzando una pretesa creditoria nei suoi confronti per tasse non pagate (104 milioni di euro), seguono, in piena pandemia, gli accertamenti contro Amazon, accusato di aver trascurato nei suoi magazzini in Francia la tutela della salute dei suoi dipendenti dai rischi legati al contagio da Coronavirus.

E ancora Google è stato condannato a pagare le case editrici e le agenzie di stampa francesi per poter riutilizzare i loro contenuti.

Nulla in confronto alle azioni promosse ad ottobre, dal Dipartimento di Giustizia americano che ha dato il via, dopo il pungente rapporto di 449 pagine firmato dal Congresso (che evidenzia come Amazon, Apple, Facebook e Google, ciascuno nel proprio core business esercitino, un potere di monopolio che offre loro ingiusti vantaggi di mercato, e ne propone cambiamenti radicali tra cui in primis il potenziale smembramento) ad una causa storica contro Google, accusando il gigante tecnologico di monopoli nella ricerca e nella gestione della pubblicità, con ciò contribuendo a sostenere le ragioni alla base dei nuovi quadri regolatori europei.

“Nel corso degli ultimi 16 mesi, la Divisione Antitrust ha raccolto prove convincenti che Google non compete più solo nel merito, ma utilizza invece il suo potere di monopolio – e miliardi di profitti di monopolio – per bloccare percorsi chiave per la ricerca su telefoni cellulari, browser, e dispositivi di nuova generazione, privando i rivali di distribuzione e scala. Il risultato finale è che nessuno può mettere in discussione il dominio di Google nella ricerca e nella pubblicità associata alla ricerca”, questa la dichiarazione del procuratore generale William P. Barr, che continua così: “questa mancanza di concorrenza danneggia gli utenti, gli inserzionisti e le piccole imprese limitando le possibilità di scelta, riducendo la qualità (anche su parametri come la privacy), aumentando i costi pubblicitari e mortificando le istanze di innovazione”. “E’ una pietra miliare importante, ma non la fine della nostra revisione delle piattaforme online leader di mercato. Il Dipartimento continuerà a indagare vigorosamente e ad applicare le leggi antitrust, ove opportuno, per proteggere e promuovere la concorrenza nell’economia digitale a vantaggio del consumatore americano”.

Per ora dunque i piani di Google trapelati nel documento “DSA 60-Day Plan Update”- “Privileged & Need-to-know” (accesso riservato, da condividere solo tra chi ha bisogno di sapere) e la paventata campagna aggressiva contro le mire del commissario francese Thierry Breton sembrerebbero non aver sortito alcun rallentamento nella roadmap della Commissione.

In conclusione

Ad ogni modo il percorso legislativo non dovrebbe giungere a maturazione prima del 2022, le aziende della Silicon Valley hanno tutto il tempo per procedere nei loro piani di adeguamento o piuttosto di destabilizzazione politica sia interna che esterna compromettendo l’avanzata di quei diritti che vorrebbero poter essere garantiti non solo nei confronti dei poteri pubblici, ma anche degli attori privati.

La sfida da vincere si giocherà invece sulla capacità dei poteri pubblici di coinvolgere i poteri privati in un percorso sinergico volto al miglior contemperamento tra le istanze di protezione e valorizzazione dei diritti e libertà fondamentali e quelle legate allo sviluppo digitale e all’innovazione, superando frammentazioni normative e interessi di parte.

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