Il 13 giugno, al vertice del G7 a Carbis Bay, in Cornovaglia, i delegati di Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Stati Uniti, Regno Unito e Unione Europea si sono impegnati a contrastare il crescente aumento dei detriti spaziali che affollano le orbite terrestri.
Si tratta di una presa di posizione dai contenuti politici molto forti in quanto è stata data rilevanza internazionale a un fenomeno sempre più concreto e potenzialmente in grado di mettere a repentaglio i programmi spaziali attuali e futuri.
Detriti spaziali, un problema non solo economico: nodi geopolitici e possibili soluzioni
Linee guida internazionali e accorgimenti tecnici
Durante il summit è stata evidenziata l’importanza di seguire le linee guida internazionali che disciplinano la mitigazione del fenomeno. In tal senso, a seconda del tipo di orbita, lo Inter Agency Space Debris Coordination Committee (IADC) ha indicato standard diversi da seguire. Se l’altitudine orbitale è inferiore ai 2.000 km, quindi anche oltre l’orbita LEO (Low Earth Orbit, si raccomanda che i satelliti siano fatti rientrare nell’atmosfera terrestre entro 25 anni dal completamento della missione.
Per i satelliti dell’orbita GEO (Geostationary Earth Orbit), dopo il completamento della missione, è previsto invece il “reorbit” in un’”orbita cimitero” localizzata a 300 km circa al di sopra dell’orbita geostazionaria, in modo da prevenire qualsiasi interferenza coi satelliti operativi.
Infine, i satelliti posti nei punti lagrangiani[1], al termine della missione sono tenuti a liberare il prima possibile quell’area per renderla fruibile ai veicoli spaziali.
Vi sono inoltre alcuni accorgimenti tecnici che, se seguiti, possono limitare i danni causati da rottami e detriti spaziali. Uno di questi è la passivazione, la quale prevede la dispersione del carburante di un satellite al fine di evitare esplosioni accidentali al termine della missione.
La necessità della rimozione dei detriti spaziali
È da sottolineare che, sebbene le misure di mitigazione siano concretamente efficaci nel contenimento della crescita dei detriti, non si può prescindere dal mettere in atto alcuni sistemi di rimozione. Questo per due ordini di ragioni: anzitutto, la creazione di nuovi space debris a causa di malfunzionamenti o di scontri tra oggetti spaziali non può essere del tutto evitata. Inoltre, bisogna fare i conti con quei debris che sono andati ad accumularsi negli ultimi sessant’anni. Basti pensare che il satellite americano Vanguard I, lanciato nel 1958, è ancora in orbita. Del resto, le previsioni per il futuro non sono per nulla rosee: è stato infatti stimato che la popolazione dei debris di dimensioni superiori ai 10 cm possa aumentare del 75% nei prossimi 200 anni.
Le misure di Active Debris Removal
L’esigenza di contrastare attivamente l’accumulo degli space debris (di cui si è parlato anche al G7) può essere soddisfatta con apposite misure di Active Debris Removal (ADR). Si tratta di vere e proprie missioni spaziali finalizzate al far “cadere” i detriti spaziali in atmosfera al fine di provocarne la distruzione per attrito.
I programmi ADR più promettenti e tecnologicamente avanzati (ma allo stesso tempo eccessivamente onerosi) includono l’uso di laser spaziali o il dispiegamento di funi metalliche e imbracature per trascinare gli oggetti. In tal senso, l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) si è già impegnata nella promozione di ulteriori iniziative: la prima riguarda un progetto realizzato da CleanSpace, consistente nell’esame delle tecnologie per l’elaborazione avanzata delle immagini, la guida complessa, la navigazione e il controllo e la robotica innovativa, finalizzati a catturare i detriti in orbita.
La seconda iniziativa riguarda un’azione di deorbiting controllato, denominata eDeorbit, che potrebbe costituire la prima missione ADR condotta dall’ ESA avente come obiettivo quello di rimuovere detriti spaziali di grandi dimensioni dall’orbita occupata al fine di causarne il rientro controllato in atmosfera.
I problemi che impediscono la rimozione degli space debris
Sebbene le misure di rimozione degli space debris siano utili a garantire la sostenibilità della attività spaziali, potrebbero non essere sempre del tutto lecite. L’articolo 8 del Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967 (OST), nella parte in cui stabilisce che lo Stato di registrazione possiede giurisdizione esclusiva sugli oggetti spaziali, stabilisce espressamente che: “uno Stato parte del trattato sul cui registro si trova un oggetto lanciato nello spazio conserva la giurisdizione e il controllo su tale oggetto (…) mentre si trova nello spazio o su un corpo celeste”. Quindi, gli Stati mantengono sia la giurisdizione che il controllo sugli oggetti lanciati nello spazio.
Viceversa, nessun trattato hai mai stabilito che il controllo e la giurisdizione non sussistano più se gli oggetti spaziali smettono di funzionare o se questi vadano in qualche modo distrutti; gli Stati di immatricolazione continuano pertanto ad esercitare i loro poteri di controllo e giurisdizione anche sui detriti spaziali.
Il discorso di cui sopra vale altresì per la proprietà sugli space debris: “La proprietà degli oggetti lanciati nello spazio, compresi gli oggetti atterrati o costruiti su un corpo celeste, e delle loro parti componenti, non è influenzata dalla loro presenza nello spazio extra-atmosferico” (Articolo 8 OST). Qualcuno potrebbe chiedersi se lo Stato di di immatricolazione possa essere realmente interessato a mantenere la proprietà su questi oggetti. A tal proposito, si deve prendere in considerazione che anche gli oggetti spaziali inattivi, quali gli stessi space debris, possono contenere informazioni sensibili o tecnologie di cui si vuole preservare la proprietà intellettuale.
Le iniziative possibili
Avendo fatto riferimento a quelle che sono le misure di mitigazione e rimozione degli space debris, si pensi adesso all’ipotesi in cui uno Stato si disinteressi totalmente di metterle in atto. Sicuramente, in questo caso, uno o più Stati terzi potrebbero nutrire timore che gli space debris non rimossi possano cagionare un qualche nocumento alle proprie attività spaziali. Quali alternative vi sarebbero di fronte alla presenza di uno o più space debris pericolosi? Gli Stati terzi potrebbero cercare di ottenere il consenso preventivo per la rimozione dei detriti spaziali dallo Stato di registrazione. Un’altra via percorribile sarebbe invece quella di chiedere il trasferimento della registrazione del satellite da cui si è originato il detrito.
Se queste opzioni non dovessero risultare praticabili, si potrebbe finalmente procedere alla rimozione di questi pericolosi space debris? Per non incorrere in alcun tipo di responsabilità internazionale, chi ha fondato motivo di ritenere che i satelliti che ha lanciato in orbita possano subire un pregiudizio da un satellite non più operativo o da porzioni di esso (space debris), ha facoltà di ricorrere allo strumento delle consultazioni internazionali preventive previste dell’articolo 9 dell’OST. Il fine di queste consultazioni sarebbe quello di convincere lo Stato di immatricolazione dei detriti pericolosi a mettere in atto le opportune misure di rimozione. Tuttavia, le lunghe tempistiche di un simile confronto internazionale potrebbero far aumentare esponenzialmente le probabilità di collisione; pertanto, se il rischio di immediato danneggiamento o distruzione risulta effettivamente fondato, lo Stato di immatricolazione del satellite a rischio sarebbe legittimato a invocare lo stato di necessità e procedere all’immediata rimozione dei frammenti pericolosi, procedendo in autodifesa dei propri interessi.
C’è da considerare che questo discorso vale solamente per i detriti di cui è dimostrabile in qualche modo l’appartenenza a un satellite registrato. Dunque, soprattutto per quanto riguarda gli space debris di dimensioni più esigue, chiunque sarebbe legittimato a procedere alla rimozione.
Dall’attuale regime giuridico delle attività spaziali si deduce altresì che gli Stati sono tenuti sia a provvedere allo smaltimento degli space debris prodotti, sia a verificare che le compagnie private facciano ugualmente (articolo 6 OST). In caso contrario, lo Stato di immatricolazione sarebbe responsabile internazionalmente per gli eventuali danni provocati.
Le nuove opportunità di mercato
Nonostante le crescenti dimensioni delle costellazioni di satelliti e i conseguenti rischi per la mitigazione e la rimozione dei detriti spaziali, sta emergendo una nuova opportunità di mercato per la fornitura di servizi. Lo dimostrano gli investimenti della Space Alliance (Thales Alenia Space e Telespazio) per il progetto della canadese NorthStar Earth and Space di una costellazione di satelliti con doppia funzione: osservazione della terra e tracking di detriti spaziali direttamente dall’orbita. D-Orbit sta invece sviluppando attività commerciali riguardo ai debris, nonché soluzioni di propulsione per i satelliti e i servizi in orbita. L’azienda punta a garantire un accesso sicuro e sostenibile allo spazio, studiando e sviluppando servizi in orbita ed espandendosi in questo settore specifico.
Dove gli space debris rappresentano evidentemente una criticità da mantenere monitorata e controllata con il supporto degli strumenti di soft law, si delinea anche un’ottima opportunità di investimento e di mercato, che porterà allo sviluppo di tecnologie e all’implementazione di modalità innovative per la salvaguardia delle attività spaziali.
- “In un sistema dove un corpo ruota con orbita quasi circolare intorno ad un altro, ci sono dei punti nello spazio, detti “Lagrangiani”, dove le forze gravitazionali dei due oggetti si bilanciano e permettono ad un corpo di piccola massa di mantenere una posizione fissa rispetto agli altri due.” (https://www.vialattea.net/content/992/) ↑