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Cooperazione globale, uscire dalla crisi: l’esempio italiano nel biotech



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Nell’attuale scenario di tripolarità economica globale dominato da USA, Cina e India, la cooperazione internazionale diventa cruciale. Il World Economic Forum ha lanciato un “Barometro della cooperazione” per monitorare e promuovere la collaborazione globale. L’Italia offre un esempio concreto con il recente avvio del tavolo sull’industria biotech

Pubblicato il 22 gen 2024

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR



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Nel quadro congiunturale di questo inizio 2024, mentre assistiamo a una trasformazione storica delle dinamiche internazionali, sta emergendo una questione fondamentale dell’economia destinata a ridefinirla per i prossimi decenni: i processi di integrazione globalizzata stanno rallentando o sono destinati a finire?

Per un lungo periodo abbiamo assistito a libertà di investimento, trasferimenti tecnologici, estese catene del valore, con una forte spinta a integrare le economie mondiali. Oggi si contrappone una spinta negativa che viene dalla geopolitica. Non è un segreto che l’attuale contesto globale sia preoccupante, poiché l’intensificazione della competizione e dei conflitti sembra sostituire, o quanto meno frenare, la cooperazione.

Queste spinte divergenti obbligano a porsi alcune domande: possiamo ancora sperare nella cooperazione internazionale e nel multilateralismo, o siamo destinati a un futuro disarticolato e disgregato dove prevalgono le rivalità economiche e l’egoismo tecnologico?

Pure in un contesto complesso, il nostro Paese ha l’opportunità di giocare un ruolo in questa fase di transizione.

Ad inizio gennaio ha infatti preso il via il Tavolo di lavoro per l’internazionalizzazione delle industrie nel settore delle biotecnologie, voluto dal Ministro degli Affari Esteri. Partiamo dal contesto globale per capire perché si tratta di un ottimo esempio per rendere le nostre filiere industriali più resilienti e giocare un ruolo da protagonista nel rafforzamento della collaborazione internazionale.

Un esempio italiano di cooperazione: al via il tavolo sull’industria biotech

Il tavolo vede la presenza di rappresentanti di istituzioni, centri di ricerca, imprese, associazioni di categoria e mondo finanziario (Farmindustria, Bristol Myers Squibb, Fondazione ENEA Tech e Biomedical, Istituto di Nanotecnologia CNR-Nanotec, Fondazione Biotecnopolo di Siena, Human Technolpole, Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Ministero dell’Università e della Ricerca e Agenzia ICE9).

Un ecosistema integrato, dove il pubblico e il privato, il mondo della ricerca e quello dell’industria concorrono insieme, ciascuno nel proprio perimetro, verso un obiettivo comune: potenziare l’innovazione in uno dei settore cruciali del secolo.

Con un background industriale come quello della farmaceutica italiana, con più di 800 imprese, 14mila addetti, oltre 13 miliardi di fatturato e una forte componente di Ricerca e Sviluppo, il comparto delle biotecnologie sta vivendo una fase di notevole sviluppo e rappresenta un importante volano per la crescita in settori a sempre più elevato valore aggiunto.

La costituzione del tavolo “riflette l’attenzione che il Governo attraverso il Ministero degli Esteri attribuisce allo sviluppo internazionale delle filiere innovative e delle tecnologie emergenti, nel quadro della Diplomazia della Crescita”, secondo il ministro Tajani. Coordinati da Pierluigi Paracchi, CEO di Genenta e membro del Comitato esecutivo di Federchimica-Assobiotec, il tavolo attende la prima convocazione per diventare operativo e iniziare a formulare strategie e raccomandazioni in merito alle alleanze internazionali per rafforzare l’intero comparto nazionale delle biotecnologie.

I tre poli del nuovo mondo: Stati Uniti, Cina e India

Riflettiamo sull’importanza di un cambio di passo sulla cooperazione internazionale.

Quanti di noi sarebbero disposti a vivere in un mondo dove “la forza è diritto”, dove prevale il potere e la prepotenza, piuttosto che in un mondo in cui istituzioni forti, norme concordate e diritto internazionale addomestichino “la componente selvaggia dell’uomo” e costituiscano la base della cooperazione internazionale?

Sembra ineludibile doversi schierare da che parte stare, soprattutto per una classe politica che tende a radicalizzarsi mentre nella società aumentano distanze e disuguaglianze. Nel mondo tripolare che Paul Kennedy ha immaginato come scenario per il suo prossimo libro (anticipato sul Corriere della Sera, La Lettura del 31/12/2023), diventa fondamentale per l’economia europea orientare le proprie scelte per non rischiare di scivolare piano piano nelle retrovie del confronto tra grandi potenze.

Esaminando le previsioni di sviluppo economico e tecnologico, gli andamenti demografici, la potenza militare legata a obiettivi geostrategici, lo storico Kennedy ha avanzato una previsione planetaria, ipotizzato che il futuro del pianeta apparterrà a tre grandi poli, gli Stati Uniti, la Cina e l’India.

Nell’Europa lo studioso non vede al momento una consapevolezza adeguata alla situazione geopolitica. “Mi pare che in Europa ci sia una mancanza di immaginazione politica, un’indecisione di fondo – sostiene Kennedy – anche se l’Unione di certo non sparirà e avrà anche in futuro un ruolo politico centrale”.

Volendo assumere l’ipotesi di Kennedy, di certo occorrono idee e politiche di contrasto alla frammentazione geoeconomica. Bisogna avere il coraggio di creare catene del valore strategiche europee, attraverso accordi internazionali e produzioni multinazionali che coinvolgano non soltanto i soli Paesi dell’Unione, ma anche quelli “eticamente” più vicini.

Per questo, oggi, il ruolo dei governi nazionali torna al centro della scena e può fare la differenza nel creare un sistema di relazioni in grado di superare la contrapposizione che si è creata, con tre sfere concorrenti e sempre meno integrate tra loro.

I nuovi paradigmi dell’economia contemporanea

Tra i settori post pandemia in cui di più servono nuove soluzioni multilaterali rientrano sicuramente il biotech, le scienze della vita, la tutela ambientale, il digitale e le tecnologie legate alla difesa. Settori in cui i cambiamenti tecnologici hanno ormai travalicato la capacità di definire e attuare norme comuni.

La convergenza del digitale e della biotecnologia ha fatto schizzare gli investimenti in startup basate sulla genetica, con finanziamenti crescenti e a ritmi sostenuti. Nel digitale assistiamo a un tasso di crescita esponenziale nella capacità di calcolo e nella capacità predittiva. Si pensi al machine learning e all’intelligenza artificiale generativa; sono tecnologie che, in pochissimo tempo, avrebbero il potenziale per aggiungere fino a 4,4 trilioni di dollari di valore all’economia globale, ma ci sono rischi significativi e preoccupazioni che devono essere dissipati.

Primo fra tutti è che non sempre stiamo utilizzando questa enorme potenzialità, determinata dalla tecnologia, per rispondere ai bisogni dell’uomo o alle nuove sfide sociali prima che pensare a incrementare i profitti (non al “posto di”, ma “prima che” o “insieme a”).

Secondo il rapporto Oxfam Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi”, presentato al meeting di Davos, dal 2020 i cinque uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato la propria ricchezza, mentre i cinque miliardi di persone più povere non hanno guadagnato nemmeno un euro in più. Procedendo così, tra 10 anni potremmo avere il primo trilionario della storia, mentre sconfiggeremo la povertà, se va bene, tra 230 anni.

Peraltro, nonostante gli sforzi dei leader mondiali di individuare contesti avanzati per gestire l’intelligenza artificiale generativa, ancora non è emerso una normativa globale coerente.

L’economia contemporanea necessità di convergenze, spinge a ricercare nuovi segnali che vanno oltre quello che è misurabile con le sole metriche finanziarie.

L’idea di fondo del nuovo paradigma che avanza è chiara: innovazione al servizio della trasformazione del sistema economico nella direzione della sostenibilità e dell’inclusione sociale.

Il WEF lancia il barometro della cooperazione

Per aiutare governi e imprese a comprendere meglio la natura della cooperazione, il World Economic Forum ha pubblicato il rapporto The Global Cooperation Barometer 2024 scritto in collaborazione con McKinsey & Company, in cui sono presenti 42 indicatori per misurare lo stato della cooperazione globale nel lungo termine in cinque aree: commercio e flussi di capitale, innovazione e tecnologia, clima e capitale naturale, salute e benessere, pace e sicurezza.

La cooperazione globale, segnala il rapporto, nonostante sia rimasta resiliente in più dimensioni per la maggior parte del decennio passato, si è indebolita nel biennio 2020-2022, soprattutto sulla geopolitica (pace e sicurezza).

Occorre perciò massima attenzione per arrestare questo declino. È il confronto, la cooperazione, secondo il rapporto, la chiave per esplorare interessi comuni convergenti, aumentare complessivamente la fiducia tra le controparti e diminuire rivalità o conflitti non necessari.

Il Barometro propone alcune raccomandazioni per aiutare i decisori politici a promuovere la cooperazione

Le raccomandazioni del WEF: puntare sulla coopetizione

La prima raccomandazione che scaturisce dall’analisi del Barometro è quella di seguire il più possibile la pratica conosciuta come “coopetizione”, parola derivante dalla fusione di cooperazione e competizione, che identifica precise scelte strategiche volte a creare una collaborazione tra istituzioni e aziende normalmente concorrenti su obiettivi o risorse, al fine di ottenere vantaggi comuni.

Due o più organizzazioni possono quindi decidere di allearsi per fare un pezzo di strada insieme, per poi proseguire separatamente.

“Una pratica – si legge nel rapporto del WEF – che dovrà diventare tratto distintivo delle capacità della classe dirigente e del management, da trattare come un muscolo che può essere rafforzato per reagire meglio di fronte agli shock geopolitici”.

Tra le altre raccomandazioni, in particolare per l’innovazione e la tecnologia, il Barometro individua almeno due aree critiche in cui intervenire.

Impegnarsi per una maggiore collaborazione transfrontaliera

La prima è quella di impegnarsi per una maggiore collaborazione transfrontaliera attraverso la ricerca di base, gli scambi internazionali di studenti, il sostegno ai programmi di mobilità per i ricercatori, le domande di brevetto transfrontaliere. Insomma, solo allargando il potenziale delle reti collaborative si potrà impedire che i guadagni dell’innovazione e della tecnologia siano sempre più concentrati in un minor numero di mani.

Armonizzare e semplificare la regolamentazione delle frontiere tecnologiche

La seconda area è quella di armonizzare e semplificare la regolamentazione delle frontiere tecnologiche. Guardando alle sole tecnologie digitali, attualmente sono in gioco modelli concorrenti ed è in corso una battaglia sulle norme, con presupposti fondamentalmente diversi per quanto riguarda i diritti e le libertà digitali, il possesso dei dati, la tassazione del digitale, la protezione dei dati e della privacy, la disinformazione, il 5G, la cibersicurezza, la finanzia digitale, nonché la pubblica amministrazione elettronica, un settore in cui le norme attuali sono insufficienti.

Definire un nuovo quadro di regole su temi tanto complessi è molto arduo con scenari di guerra e in un contesto generale di interessi sempre meno convergenti. Per questo è fondamentale puntare sulla partecipazione di tutti per definire regole ambiziose comuni per il governo dell’economia contemporanea.

La strada della cooperazione porta al valore condiviso

Più aumenta la consapevolezza sull’esigenza di mettere insieme attori diversi, se vogliamo avere una prospettiva di progresso, più occorre avere la capacità di mettere insieme attori diversi, di creare meccanismi collaborativi (ecosistemici).

Ma c’è un vincolo che blocca questa capacità. Un grosso limite è di linguaggio, di segnali. I diversi soggetti hanno interessi diversi; ognuno è interessato alla costruzione di dati per avere una propria visione. Non abbiamo una funzione obiettivo ecosistemica, un segnale comune come sistema.

Rispetto a questo limite, il concetto di “impatto” può rappresentare quel possibile fattore sistemico che unisce gli attori con interessi divergenti. Un segnale interpretabile da una pluralità di attori che si riconoscono nell’idea di valore.

Cambiare le metriche di misurazione delle soluzioni

Stante la complessità dei nuovi problemi, non conta più puntare sulla funzione obiettivo che mira a massimizzare il solo profitto. Diventa necessario cambiare le metriche di misurazione delle soluzioni, passare dal dogma del ritorno finanziario ad alternative valoriali e sociali.

Se la domanda chiave dei soggetti economici del secolo scorso era sempre “quanto profitto potrò fare”, oggi la domanda chiave diventa “quanto impatto e che tipo di impatto sto generando”.

Parlare di impatto per un decisore pubblico o un soggetto economico vuol dire parlare di valore condiviso, valore comune. Significa passare da una visione fatta dalla singola organizzazione che opera nel perseguimento di una singola e personale funzione obiettivo (performance individuale), alla possibilità di ragionare in termine di valore condiviso e di vantaggi ecosistemici.

Cooperazione e di multilateralismo: l’Italia ha tutto da guadagnare

Le nostre imprese, in particolare quelle che operano nell’alta tecnologia, hanno bisogno di stabilità di lungo periodo, di sapienti investimenti pubblici (Pnrr) e di politiche stabilizzanti per investire in ricerca e sviluppo. Egualmente diventa essenziale per il tessuto produttivo di questi settori chiave intrecciarsi con le università e i centri di ricerca pubblici e privati, nonché essere inseriti in contesti internazionali di avanzamento tecnologico.

Sfruttando la capacità innovativa delle nostre medie imprese, l’Italia avrebbe tutto da guadagnare da iniziative di cooperazione e di multilateralismo, grazie alle quali si potrebbe favorire la nascita di nuove imprese tecnologiche, che sono il vero motore dell’innovazione e della ricchezza.

La costituzione del tavolo sul biotech rappresenta un ottimo esempio, concreto, di quella collaborazione di cui avremmo bisogno per rendere le nostre filiere industriali più resilienti. Il Governo farebbe bene a replicare il modello anche in altri settori (energia pulita, spazio, microchip), per dare continuità ed efficacia alle politiche in favore dell’innovazione, seguendo un approccio attento alla diagnostica delle interconnessioni, valutando con rigore i rischi potenziali, i punti di forza e di debolezza dei settori su cui puntare e dei Paesi con cui cooperare.

Conclusioni

Per un’Italia che non voglia tendere verso chiusure autarchiche e barriere tariffarie, il Governo è chiamato a giocare un ruolo da protagonista nel rafforzamento della collaborazione internazionale, facendo in modo che il Paese e l’intera Europa non vadano in ordine sparso, ma si presentino uniti di fronte alle sfide della nuova globalizzazione 2.0.

Il momento è propizio, proprio adesso che manca una manciata di mesi dall’elezione del nuovo parlamento europeo e che l’Italia ha assunto la presidenza del G7.

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