Finanza e innovazione

Robinhood, ecco perché il rispetto delle regole non è un optional

Il processo di innovazione e di democratizzazione della finanza sembra ormai innescato e irreversibile, ma i contrattempi non mancano: servono perciò regole per garantire un adeguato livello di protezione degli investitori. Esaminiamo il caso dell’IPO della piattaforma Robinhood

Pubblicato il 14 Set 2021

Roberto Culicchi

Of Counsel DWF (Italy)

Photo by Chronis Yan on Unsplash

Il dado è tratto: il collocamento della matricola più attesa e discussa della Borsa americana è finalmente partito. Robinhood, la piattaforma di trading a zero commissioni che tanto di sé ha fatto parlare negli ultimi mesi – per la verità non sempre in maniera positiva – ha debuttato qualche giorno fa sul Nasdaq con un tonfo del 10%. Non proprio il miglior viatico per l’azienda guidata dai due fondatori Vladimir Tenev e Baiju Bhatt – due promettenti matematici laureatosi a Stanford – e per i circa 17,7 milioni di utenti attivi che normalmente utilizzano la piattaforma balzata agli onori della cronaca nel periodo di lockdown per essere stata utilizzata dall’esercito di piccoli azionisti di Reddit per investire il mercato con una pioggia di operazioni su titoli quali Gamestop e Acm, che hanno provocato una serie di rialzi e successive cadute da brividi.

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L’ascesa di Robinhood

L’IPO di Robinhood è stata preceduta dall’irrogazione a carico della piattaforma di sanzioni per irregolarità di diversa natura per complessivi 70 milioni di dollari che hanno provocato l’ira di centinaia di migliaia di piccoli speculatori rimasti con il cerino in mano; la FINRA (Financial Industry Regulatory Authority), l’autorità indipendente di regolamentazione del settore finanziario statunitense, nell’annunciare le sanzioni ha parlato di informazioni fuorvianti fornite agli investitori in merito alle attività di trading con margini, di carenze nei sistemi di disaster recovery delle strutture informatiche della piattaforma e ha aspramente criticato le valutazioni di adeguatezza condotte dalla stessa piattaforma in relazione alla possibilità da parte di utenti privati di negoziare in opzioni, nonostante la presenza di molteplici segnali di allerta stessero ad indicare che tale tipologia di strumenti finanziari non fossero in linea con il profilo di rischio e le conoscenze di tali investitori retail. Ma l’ascesa prorompente di Robinhood nell’olimpo della finanza di Wall Street ha provocato le reazioni, non sempre composte, anche di illustri e storicamente affermati investitori quali Charly Munger e Warren Buffett di Berkshire Hathaway, che inaspettatamente hanno fatto sentire la loro voce per chiedere l’applicazione di regole più rigide per la piattaforma, con Munger che ha definito Robinhood “una sala da gioco mascherata da rispettabile uomo d’affari”.

Che l’ascesa della piattaforma che ha rivoluzionato il tradizionale e anche un po’ monotono e standardizzato mondo del brockerage potesse dar fastidio a molti è evidente; del resto, dal suo lancio ormai risalente al 2014, sono ormai molteplici i competitors che sono stati costretti a privarsi dei facili guadagni legati all’incasso delle commissioni per offrire prodotti a zero commissioni con interfaccia user-friendly più simili a dei giochi on-line che a degli strumenti finanziari. Le accuse mosse però sembrano essere tutt’altro che banali: si pensi ad esempio al fatto che solo recentemente la piattaforma ha introdotto un servizio di assistenza e customer care destinato ai propri utenti (che fino a poco tempo fa non avevano a disposizione una linea telefonica a cui rivolgersi in caso di domande o richieste di chiarimenti), e che molti hanno parlato di tattiche aggressive di marketing utilizzate da Robinhood e di “gamification” – ossia di utilizzo di elementi mutuati dal gioco per attrarre investitori non sofisticati ad impegnarsi in attività di trading. A questi rilievi va aggiunto l’offerta sempre crescente di criptocurrencies che caratterizza la gamma di servizi offerti da Robinhood, con le valute digitali che rappresentavano circa il 14% degli assets depositati in custodia presso Robinhood nei primi tre mesi del 2021. Prodotti dunque non propriamente semplici, per i quali non esiste una regolamentazione ancora ben definita e dunque oltremodo rischiosi per la tipologia di utenti soliti frequentare il sito di Robinhood.

Robinhood e le altre iniziative nel mirino delle autorità

Anche se quella di Robinhood rappresenta la sanzione pecuniaria più alta mai irrogata dalla FINRA, Robinhood non è il solo esempio di società di più o meno recente costituzione che, nel tentativo di implementare modelli di business innovativi e disruptive, incorrono nelle ire dei regulators. Startup con simili propositi sono nate e sono cresciute anche in Europa, si pensi a Trade Republic in Germania, Freetrade nel Regno Unito e Bux in Olanda. Si tratta in tutti questi casi di iniziative imprenditoriali nate con l’intento – autoproclamato – di democratizzare la finanza così da renderla accessibile a tutti. Il mezzo per raggiungere tale fine è rappresentato dal permettere ai piccoli risparmiatori di accedere al mercato di borsa, per anni tradizionalmente riservato alla sola platea dei grandi investitori; per raggiungere tale fine, l’offerta di prodotti e servizi a zero commissioni mediante app e tools user-friendly e accattivanti rappresenta la strada più corta e facile da seguire.

Anche la battaglia scatenatasi recentemente tra piattaforme di trading riservate alla clientela retail e brokers online sembra inserirsi nel filone delle iniziative imprenditoriali che, introducendo modelli di business innovativi, con l’intento di rendere accessibile il mondo del trading ad una vasta platea di investitori, finiscono col creare preoccupazione tra i regulators che sono dunque costretti a spingere per la creazione di più rigide regole del gioco, allo scopo di assicurare il rispetto di standard di compliance adeguati a tutela degli interessi degli investitori meno sofisticati.

Nel Regno Unito, durante il periodo di lockdown più stretto, il numero di nuovi investitori che si sono affacciati per la prima volta al mondo del trading è cresciuto del 15% toccando la punta dei 6,5 milioni di nuovi utenti retail.

Piattaforme tradizionali vs broker online la risposta delle Autorità

La competizione selvaggia volta ad accattivarsi i favori dei nuovi investitori retail in un mondo caratterizzato da margini di guadagno sempre più risicati ha fatto sì che le piattaforme di investimento tradizionali per investitori retail alzassero il tiro contro i brokers online. Da una parte troviamo piattaforme di investimento per clientela retail quali Hargreaves Lansdown, Interactive Investor, AJ Bell e FreeTrade, che offrono investimenti in fondi, azioni e altri prodotti finanziari in cambio di una piccola fee. Dall’altra parte troviamo online brokers come eToro, Plus 500 e CMC Markets. Questi ultimi applicando fees di commissione sulle negoziazioni in derivati e scommettendo sullo spread – ossia la differenza del prezzo a cui acquistano i titoli rispetto al prezzo a cui vendono – tipicamente propongono ai propri clienti strategie di investimento ad alto rischio, come i contracts-for-difference (CFDs) e i contratti a termine. Questi brokers mietono ricavi facendo hedging delle proprie posizioni, sostanzialmente in maniera tale da guadagnare quando i loro client perdono, in una evidente situazione di conflitto di interessi.

I CFDs, ad esempio, consistono in una vera e propria scommessa sui movimenti a breve termine dei titoli azionari, una scommessa che implica l’assunzione di un comportamento speculativo nei confronti di titoli che spesso neppure si posseggono; gli investitori inoltre possono utilizzare l’effetto leva per amplificare la portata delle proprie scommesse, circostanza che può rappresentare l’opportunità per ritorni più elevati ma anche per perdite incontrollate e amplificate.

Quale conseguenza di tutto ciò, piattaforme di trading come Interactive Investor e FreeTrade hanno presentato dei reclami scritti alla FCA (Financial Conduct Authority) per lamentare come il tentativo da parte dei brokers online di presentarsi come piattaforme di negoziazione a zero commissioni rappresenti una vera e propria forma di pubblicità ingannevole, mirata a pescare risorse e far breccia nella vasta platea dei novizi investitori retail.

La risposta della FCA non si è fatta attendere; l’autorità di vigilanza dei mercati inglese ha preteso che i brokers che offrono investimenti in CFDs inseriscano sui propri siti web specifiche avvertenze volte a mettere in guardia gli investitori sul rischio di perdita integrale del proprio capitale di investimento. Più del 70% degli investitori in CFDs ha subito perdite, recitano le più recenti statistiche; le critiche più recenti si sono soffermate anche sul fatto che, dopo aver inizialmente proposto ai propri utenti forme di trading in azioni tradizionali, i clienti sono stati successivamente indotti ad effettuare investimenti in prodotti e strumenti finanziari decisamente più rischiosi. Non solo: la FCA ha anche raccomandato a broker online quali eToro di evitare di fare paragoni comparativi con piattaforme di trading tradizionali. Riecheggiando le parole pronunciate da Munger nei confronti di Robinhood, l’amministratore delegato di Interactive Investor ha paragonato i broker online che offrono investimenti in CFDs a vere e proprie case da gioco.

Perché il mercato è diffidente

Ma il tentativo di coinvolgere una sempre maggiore platea di investitori retail con l’apparente nobile intento di rendere accessibile ai più il magico mondo della finanza non si limita all’offerta di nuovi prodotti o servizi ma coinvolge anche la strutturazione delle operazioni di finanza straordinaria più complesse. In questo senso ancora una volta ci viene in soccorso l’esempio di Robinhood.

Come detto, la prudenza dei promotori dell’IPO di Robinhood mostrata dalla scelta di collocare le azioni al minimo della forchetta di prezzo fissata (38 dollari, per una valutazione complessiva di mercato dell’azienda di 32 miliardi di dollari) non ha impedito il tonfo del 10% fatto registrare dal titolo nel primo giorno di negoziazione. Tutto ciò si è verificato a causa del fatto che, nonostante questa cautela provvidenziale mostrata dai promotori dell’IPO, l’operazione ha scontato la diffidenza del mercato per un’operazione di IPO quantomeno insolita.

Gran parte dell’offerta finalizzata al listing sul Nasdaq di Robinhood è infatti rivolta e riservata ai clienti/azionisti della piattaforma e non ai soliti investitori professionali.

In materia un precedente illustre in tal senso è rappresentato dall’IPO di Facebook nel 2012; in quella circostanza, Mark Zuckerberg decise di riservare il 25% dell’offerta alla sottoscrizione da parte di investitori individuali. Anche in quella circostanza le cose non funzionarono benissimo: il primo giorno di negoziazione il titolo segnò un andamento positivo, ben presto però sul titolo si scatenò una copiosa pioggia di vendite, dovuta anche al fatto che molti piccoli risparmiatori si videro assegnare una quantità di titoli maggiore di quanto preventivato. Il risultato fu che ci volle quasi un anno perché Facebook iniziasse la sua poderosa cavalcata sui mercati finanziari.

Il rischio che questo fenomeno possa ripetersi anche per Robinhood è concreto; nonostante la piattaforma possa vantarsi di aver chiuso conti invidiabili (i ricavi di Robinhood sono schizzati a circa 522 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2021), molti analisti hanno messo in evidenza come ci siano dubbi sostanziali circa la capacità dell’azienda di sostenere simili trend di crescita per la restante parte dell’anno e più in generale per il futuro; non va inoltre trascurato il momento favorevole di cui l’IPO di Robinhood ha beneficiato, dovendosi in questo particolare momento storico registrare una presenza sul mercato ed una positiva influenza da parte degli investitori retail mai sperimentata in passato. Del resto, anche il prospetto d’offerta mette in guardia da tale rischio: nei fattori di rischio, il management della società ha ammesso il calo dell’attività fatto registrare nelle ultime settimane.

La piattaforma può comunque contare su qualcosa come 100 miliardi di dollari in gestione e su una posizione di forza che le deriva dal rappresentare sostanzialmente l’unico punto di riferimento per milioni di piccoli trader fortemente coalizzati tra loro tramite social network. La tappa via streaming del roadshow che ha preceduto l’IPO riservata ai trader piccoli investitori di qualche settimana fa, ad esempio, è stata da alcuni salutata come la forma più evoluta di partecipazione finanziaria democratica degli ultimi anni, anche se nel contesto del collegamento non sono mancati momenti di vibrato confronto tra i piccoli risparmiatori.

Ma il processo di innovazione e di democratizzazione della finanza sempre ormai innescato ed irreversibile, anche se i contrattempi – come evidenziato da quanto sopra riportato – non mancano; il caso più eclatante ed al contempo drammatico per Robinhood è rappresentato dal suicidio di un ventenne cliente della piattaforma che si era visto erroneamente recapitare un estratto conto che presentava un saldo negativo di 730mila dollari.

La domanda allora sorge spontanea: esiste la possibilità di contemperare questa irrefrenabile spinta propulsiva verso fenomeni di democratizzazione della finanza, da realizzarsi mediante l’individuazione di modelli di business nuovi e disruptive, spesso legati allo sfruttamento di tecnologie innovative, senza che tutto questo vada a scapito e detrimento della tutela dei piccoli risparmiatori?

Nel rilasciare un commento sulla decisione di multare Robinhood con l’applicazione della sanzione pecuniaria più alta mai irrogata dalla FINRA, l’Head of Enforcement di FINRA ha sottolineato come il rispetto delle regole non sia un optional e non possa essere sacrificato in nome dell’innovazione finanziaria o con l’intento di favorire un approccio che tenda a rompere lo status quo a costo di sacrificare anche il rispetto delle regole di compliance. Giudizio che può risultare banale, ma che si inserisce nel solco di un comune atteggiamento adottato da diversi regolatori europei. Segno di una crescente attenzione delle autorità regolamentari nei confronti di fenomeni che sotto le apparenti spoglie dell’offerta di servizi finanziari innovativi celano a volte le sembianze di veri e propri fenomeni di frode o abusivismo finanziario.

Immaginare dunque per l’immediato futuro l’emanazione da parte dei regulators mondiali di più stringenti regole di condotta per l’offerta di servizi finanziarti innovativi appare dunque probabile; la definizione di norme per regolare tali servizi innovativi è diventato un obiettivo imprescindibile per ogni autorità di governo, componente necessaria nella ridefinizione delle forme che assume la sovranità degli stati, i poteri pubblici assieme alle libertà ed i diritti fondamentali dei cittadini.

Il (non facile) compito del legislatore

Casomai ci si può interrogare sull’efficacia e la capacità di norme temporalmente create sempre dopo il manifestarsi di tali fenomeni di innovazione finanziaria di prevenire gli aspetti patologici degenerativi inevitabilmente legati all’introduzione di tali novità. Si allude all’atavico problema della norma che “insegue” la realtà, con il legislatore che rischia sempre di avere il fiato corto in questa eterna rincorsa.

Il compito del legislatore in questo senso non è semplice; la capacità di regolare l’introduzione delle nuove tecnologie si basa, nel migliore dei casi, su una verifica a posteriori dei suoi effetti, a fronte di fenomeni di finanza innovativa in continua evoluzione. È probabile che la gestione dei rischi si basi in questo senso sulla individuazione di una soglia di rischio accettabile, con l’ovvia conseguenza di dover procedere alla definizione preventiva dei criteri per questa scelta; in una economia sostanzialmente basata sul profitto, dove è imprescindibile garantire l’innovazione tecnologica per vincere nella competizione sul mercato globale, si può ipotizzare che questa soglia – al di sopra della quale sarà lecito operare – sia destinata ad abbassarsi.

Quale che sia alla fine la decisione del legislatore, la posta in gioco è quella di una radicale trasformazione della società in cui viviamo, in cui l’innovazione tecnologica rappresenta il motore nel quadro di una finanziarizzazione e democratizzazione crescente dell’economia. Si tratta, in conclusione, di individuare soluzioni regolamentari che consentano di garantire un adeguato livello di protezione degli investitori senza tarpare le ali al progresso tecnologico che caratterizza l’industria della cosiddetta neo-finanza.

Ben vengano modelli di business e prodotti finanziari innovativi che consentano la partecipazione di un numero più ampio di investitori privati al mondo della finanza, tradizionalmente riservato ad una ristretta élite di privilegiati. D’altro canto, anche gli abusi o più semplicemente le sole forme di “gamification” vanno severamente combattute: se il tono leggero ci è concesso, si vuole in altre parole evitare che oggigiorno un investitore privato che effettui il suo primo investimento su una delle piattaforme di trading a zero commissioni, si veda investito da una tempesta di coriandoli che esplodono sul proprio schermo, come accadeva fino a poco tempo fa su Robinhood.

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