Lo sviluppo dei semiconduttori, che la pandemia ha contribuito e rendere sempre più necessari, è al centro di una partita globale che rischia di aggravare gli squilibri determinati da una vera crisi di crescita del settore, dove l’offerta non riesce a star dietro alla domanda.
Gli Stati Uniti e l’Asia, con Taiwan e Corea del Sud in prima fila e in seconda fila la Cina, occhiuta osservatrice e scalpitante co-protagonista, stanno definendo nuove strategie di promozione della ricerca e della capacità produttiva nel settore. Strategie che obbediscono alle nuove sfide geopolitiche.
E l’Italia? Ecco come si sta muovendo nel contesto europeo e come si sta definendo lo scacchiere geopolitico internazionale.
Semiconduttori, la Ue punta in alto: strategie e nodi da sciogliere
Perché i semiconduttori sono al centro del confronto globale
Il settore dei semiconduttori è passato, come gli idrocarburi nella prima metà del Novecento e il nucleare nella seconda metà, dalla fase della competizione tecnologica ed economica a quella geopolitica, diventando al momento il principale terreno di confronto strategico tra USA e Cina.
L’Europa, con i suoi piani settennali della ricerca, ha indirizzato risorse per uscire da una condizione di forte dipendenza dalla ricerca e progettazione americana e dalla capacità produttiva e di installazione asiatica, ma forse in misura inadeguata e, c’è da dire, che senza il Regno Unito l’area comunitaria ha perso buona parte delle competenze interne.
L’Italia ha l’occasione di fare una politica del settore: ci sono le risorse del NextGenerationEU, che potrebbero dare un contributo al sostegno di una strategia di sviluppo delle nostre capacità e della nostra ricerca.
Le scelte dell’Italia nel quadro europeo
Non ci sono dubbi che è proprio sulla ricerca che occorre investire in misura crescente nei prossimi anni e si tratterebbe di una scelta intelligente anche perché la ricerca è comunque l’area di eccellenza dell’Europa accademica, ma anche dell’Europa delle istituzioni comunitarie.
Il programma Horizon 21-27 prevede 95,5 miliardi di euro complessivi, di cui 25 per la ricerca pura. Il fondo, solo in parte limitata può contribuire allo sviluppo della ricerca sui microprocessori, che richiede anche un ambiente di sviluppo e sperimentazione legato all’industria.
Ci sono, poi, i fondi per l’innovazione, da spendere coinvolgendo le imprese dei cluster, che prevedono 15,3 miliardi di euro per Industria digitale e spaziale. Anche in questo caso solo una parte potrà confluire nell’area dei microprocessori.
Per questo crediamo che sia necessario un impegno anche da parte nazionale, affinché il settore sia investito in misura e con tempistica prioritaria.
Il PNRR, l’insieme dei progetti da finanziare con i fondi Next Generation EU, che cosa prevede e come contribuisce allo sviluppo dell’area tecnologica più critica della fase attuale, insieme a quella biotech?
L’intervento nel settore dei semiconduttori fa parte della prima missione digitalizzazione, innovazione competitività e cultura, e in particolare è il secondo settore di investimento M1C2: Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo.
La dotazione complessiva del PNRR, come si sa, è di poco inferiore ai 200 miliardi, quella della Missione 1 è pari a circa 40 miliardi, mentre le risorse per innovazione e tecnologia dei microprocessori è pari a 750 milioni di euro. In altre parole, stiamo investendo lo 0,4% dei fondi PNRR contro il 2,5% degli USA.
Come si spiega? Diversa importanza del settore nell’economia nazionale? Diversa visione strategica sulla competizione futura? Diverse urgenze economico-sociali?
Cerchiamo anche di capire come verrebbero spesi quei fondi.
La spesa
Il primo strumento rappresenta un incentivo al mercato che acquista prodotti avanzati, potenziando quello già messo in campo per Industria 4.0 con aumenti dei tetti di spesa e delle percentuali di deducibilità fiscale degli investimenti.
Si tratta quindi non di un intervento diretto per il settore dei microprocessori, ma di una forma di sostegno alla domanda di prodotti che usano i processori. Infatti, questa spesa non è compresa nell’area di investimento 2 specifica per i microprocessori, anche perché lo stimolo proveniente dalla domanda incentivata si riversa a favore dei produttori globali, assai più che della filiera nazionale. Vediamo comunque come è articolato questo strumento di sostegno della domanda.
Per gli investimenti 4.0 tangibili, le soglie di beneficio fiscale sono decrescenti al crescere dell’investimento:
- 50% – 40% (rispettivamente per il 2021 e il 2022) per spese inferiori a 2,5 milioni;
- 30% – 20% per spese comprese tra 2,5 e 10 milioni;
- 10% (in entrambi gli anni) per spese tra 10 e 20 milioni.
- per i beni intangibili sono previsti benefici del 20% con soglia massima di investimento di 1 milione.
Per le spese di ricerca, sviluppo e innovazione è previsto un credito di imposta così articolato:
- 20% con tetto a 4 milioni per spese di ricerca e sviluppo;
- 10% per innovazione con tetto a 2 milioni.
Veniamo ora al cuore della nostra questione. Gli investimenti del settore produttivo nazionale di microprocessori. I 750 milioni disponibili dovrebbero attivare, secondo le stime del governo, investimenti per 1.875 milioni. Infatti, il contributo erogato dal Ministero dell’Economia sulla base di bandi e selezioni di progetti presentati dalle aziende, sarebbe pari al 40% delle spese. E qui finisce il piano di dettaglio, contenuto nella scheda.
L’unico esempio citato è lo sviluppo dei semiconduttori al carburo di silicio (detto anche carborundum), “importanti per il settore della mobilità elettrica”.
Guardiamo, allora, alla supply chain mondiale, perché potrebbe essere messa in crisi dalle strategie autarchiche in atto, con conseguenze assai gravi sul piano dell’efficienza che il settore ha raggiunto proprio grazie ad un modello di specializzazione che si è affermato negli ultimi due decenni.
Uno scenario globale da incubo per le imprese di settore
La preoccupazione che le tensioni internazionali finiscano con il prevalere è fortemente sentita dalle aziende del settore, che temono una limitazione dei mercati determinata da politiche di sanzioni incrociate. Ad esempio, la Cina potrebbe non accedere alla ricerca e alla progettazione degli USA ma potrebbe, per ritorsione ridurre l’offerta di materie prime necessarie alla produzione dei semiconduttori. Il blocco dei mercati di sbocco, come è avvenuto per Huawei accusata dagli Stati Uniti di veicolare le informazioni della sua rete 5G al governo cinese, mettono a repentaglio investimenti colossali e rischiano di ridurre la dimensione produttiva, ma anche quella della ricerca e innovazione delle grandi aziende del settore. Un panorama da incubo, in ragione di giganteschi investimenti in ricerca, in macchinari e impianti sofisticatissimi, in controlli di qualità ossessivi che comportano esborsi giganteschi e impegni finanziari anche in termini di acquisizioni, come abbiamo avuto modo di documentare in un precedente intervento su questa rivista sulla crisi dei chip.
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Secondo l’Associazione dei produttori, l’attuale livello di specializzazione internazionale raggiunto dal mercato dei semiconduttori consente risparmi e benefici colossali, sia per i produttori dei semiconduttori sia per i consumatori, ossia per i produttori che utilizzano i semiconduttori come consumo intermedio:
- un risparmio tra 900 e 1.200 miliardi di dollari di investimenti;
- efficienze di costo comprese tra 45 e 125 miliardi di dollari;
- 35-65% di riduzione dei prezzi dei semiconduttori.
Il confronto in atto minaccia il grado di apertura di questo mercato, che rappresenta il settore trainante dello sviluppo globale. Il rischio di introdurre nel sistema elementi di autarchia, è dietro l’angolo, con squilibri finanziari che si verrebbero a determinare se questa tendenza portasse alla contrazione della dimensione dei mercati per le aziende che operano nelle diverse specializzazioni, ma anche all’interno delle aree geopolitiche in fase di conflittualità crescente.
La strategia di Joe Biden
Gli Stati Uniti, dopo decenni di decentramento produttivo in Asia, trattenendo solo ricerca e sviluppo secondo il modello della progettazione senza fabbrica, hanno contribuito a trasformare Corea del Sud e Taiwan nei paesi decisivi di produzione di semiconduttori, con il 70% del mercato mondiale. Mercoledì 31 marzo il presidente Biden ha presentato il suo piano per le infrastrutture e il rilancio: un programma da 2000 miliardi dollari per ricostruire l infrastrutture del paese, accelerare la lotta contro il cambiamento climatico, alla promozione dell’eguaglianza razziale, con l’impegno di spendere la dotazione in 8 anni.
Il costo del piano di investimenti sarà sostenuto per un periodo più lungo, pari a 15 anni, da un aumento della tassa sui profitti delle imprese, in particolare di quelle che fanno profitti all’estero e sfuggono alla tassazione negli Stati Uniti.
La reazione di Wall Street non si è fatta attendere: da un lato caldeggia gli investimenti, dall’altro è contraria all’aumento della tassazione delle imprese.
Il piano di Biden dovrà affrontare una agguerrita attività di lobby nei due rami del parlamento, in particolare al Senato, dove la maggioranza democratica è esile.
Biden lo sa e ha già messo in conto una intensa attività di mediazione e lunghe trattative, ma intende procedere. Se il programma andrà in porto, si verificherà una inversione nel costante calo degli investimenti federali in ricerca e infrastrutture, riportando il livello ai massimi degli anni ’60, con alcune scelte decisive per la competitività dell’economia americana. Infatti, per il solo settore dei semiconduttori il piano prevede 50 miliardi di dollari di investimenti a cui se ne aggiungono oltre 100 per il rafforzamento della supply chain nelle alte tecnologie e nella manifattura, 100 per la banda larga, e altri 150 circa per la ricerca.
Il piano si pone l’obiettivo di aggiungere alle azioni di limitazione dell’accesso della Cina alle tecnologie avanzate, intrapreso in modo contraddittorio da Trump, azioni positive di sostegno alla competitività dell’economia americana nelle alte tecnologie, rendendola al contempo meno dipendente dalla “fabbrica asiatica”.
Le scelte di Xi Jinping
Simmetricamente, la Cina sembra aver imparato la lezione della crisi del 2008, quando il crollo della domanda internazionale ha spinto il governo allo sviluppo della domanda interna. Con Xi Jinping questa spinta ha assunto due connotazioni. La prima è di privilegiare gli investimenti pubblici in infrastrutture, dentro e fuori del paese, con il programma One Way One Belt (Nuova Via della Seta). In questo modo, si cerca di mantenere elevata la componente della domanda per investimenti, con il duplice intento, di accrescere la produttività e dare lavoro alla popolazione che continua a trasferirsi dalla campagna alla città, aumentando la domanda di consumi con l’allargamento del numero di occupati nell’edilizia e nelle infrastrutture. Senza questa scelta, la crescita della domanda interna verrebbe affidata alla crescita dei salari, con perdita della competitività e quindi restringimento della componente estera.
L’obiettivo è di sfuggire alla trappola del livello di reddito intermedio, come disse Xi Jinping nel 2014 davanti ai leader internazionali riprendendo il concetto formulato dalla Banca Mondiale nel 2007. La trappola è quella di un paese che supera il livello di reddito di povertà applicando tecnologie mature ad una forza lavoro sottopagata, e quindi sviluppando rapidamente le esportazioni e avvicinandosi ad un livello di reddito medio.
Ma poi, questi aumenti di produttività e la competitività si esauriscono quando lo sfruttamento di quel vantaggio divine sempre più difficile per l’aumento dei salari, anche perché nuovi paesi entrano nei settori maturi con salati più bassi. E così, il paese comincia ad avvitarsi su tassi di crescita sempre più contenuti, senza riuscire ad uscire da una situazione di reddito pro-capite insufficiente.
A questa consapevolezza si aggiunge, nell’ultimo quadriennio di amministrazione Trump, la presa d’atto che dagli Stati Uniti non verrà, d’ora in avanti, alcun trasferimento tecnologico “gratuito” ed anzi sorgeranno contrasti che freneranno l’interscambio, in particolare nell’area a tecnologia avanzata, tra cui spiccano – nelle intenzioni cinesi – l’intelligenza artificiale e i semiconduttori.
I semiconduttori rappresentano una delle sette aree strategiche dell’innovazione del XIV Piano quinquennale e sono oggetto di un intervento di detassazione degli investimenti: se l’azienda investe nei chip miniaturizzate (28 nanometri) godrà di un’esenzione fiscale sulle imposte sul reddito di impresa per 10 anni. Attualmente, Huawei, colpita dalle sanzioni americane, non riesce a soddisfare la sua esigenza di semiconduttori, nonostante il maggior produttore cinese SMIC stia investendo oltre 6 miliardi di dollari. Huawei disegna i propri chip, ma deve farli realizzare da gigante coreano TSMC.
Il Piano quinquennale appena approvato a Pechino punta sul programma Made in China 2025 che si propone di raggiungere una autosufficienza del 70% nel 2025 rispetto ad un livello presente del 40%.
Conclusioni
Occorre che l’Europa concentri il massimo delle risorse disponibili nel settore dei microprocessori, in particolare nell’area ricerca e innovazione.
L’Italia dovrebbe essere promotrice di questo indirizzo e dovrebbe puntare al massimo di capacità di spesa interna e continentale nella ricerca e innovazione del settore dei semiconduttori, concentrandola nei primi anni del programma Horizon 21-27.
È questa, in definitiva, la sola strada per evitare che l’Europa, nella guerra dei semiconduttori che è appena iniziata, si trovi relegata ad un ruolo di secondo piano, che significherebbe dover dipendere in misura pericolosa, data l’importanza strategica del settore, ora da uno ora dall’altro dei contendenti.