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Antitrust contro Google: gli impatti sul mercato pubblicitario



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Le decisioni antitrust contro Google in Europa e Usa rappresentano un punto di svolta per la pubblicità online e le big tech. Cresce la consapevolezza sull’importanza dei big data e le pratiche aziendali. Le istituzioni intensificano gli sforzi per regolamentare un settore finora poco controllato

Pubblicato il 19 set 2024

Marianna Tramontano

Consulente Marketing Digitale e innovazione per Piccole e Medie Imprese



vestager contro google (1)

Le recenti sentenze antitrust contro Google in Europa e Stati Uniti segnano un punto di svolta nella regolamentazione delle Big Tech. Al centro delle controversie c’è l‘abuso di posizione dominante di Google nel mercato della pubblicità online, con particolare attenzione all’acquisizione di DoubleClick nel 2007.

Google Is a Monopoly: Judge Rules Against Tech Giant in Landmark Antitrust Case

Questa mossa strategica ha consolidato il controllo di Google sull’ecosistema pubblicitario digitale, sollevando preoccupazioni sulla concorrenza.

Per questo, le decisioni delle Autorità antitrust potrebbero ridefinire non solo il futuro di Google, ma anche l’intero panorama del mercato digitale e delle grandi aziende tecnologiche.

Analizziamo allora le accuse principali contro il colosso della ricerca online, spiegando il contesto in cui si inserisce quest’ultima sentenza, con cui la Corte Ue – che ha appena annullato la multa di quasi 1,49 miliardi di euro inflitta a Google per la piattaforma AdSense – ha invece confermato l’ammenda di 2,4 miliardi di euro inflitta nel 2017 per aver abusato della propria posizione dominante favorendo il proprio servizio di comparazione di prodotti, Google Shopping.

Posizione dominante: la decisione della Corte di Giustizia Ue contro Google

“Nessuno è al di sopra della legge”, queste sono le parole usate dalla vice presidente della Commissione Europea Margrethe Vestager per commentare la recente decisione della Corte di Giustizia dell’UE: il ricorso di Google sulla maxi multa per abuso di posizione dominante – previsto dalla sentenza emessa nel 2017 – è stato respinto in via definitiva. Vestager ha aggiunto: “deve essere considerata una vittoria per i cittadini europei”.

Stando alle linee guida della Corte di Giustizia, la posizione dominante di un’azienda si verifica quando questa arriva a controllare una quota di mercato del 70%-80%. Google detiene quasi il 91% della quota di mercato dei motori di ricerca. La parola chiave qui però è abuso: la Big Tech avrebbe sfruttato tale posizione per favorire i propri prodotti, in questo caso Google Shopping.

Stando alle linee guida della Corte di Giustizia, la posizione dominante di un’azienda si verifica quando questa arriva a controllare una quota di mercato del 70%-80%. Google detiene quasi il 91% della quota di mercato dei motori di ricerca.

La parola chiave qui però è abuso: la Big Tech avrebbe sfruttato tale posizione per favorire i propri prodotti, in questo caso Google Shopping.

La timeline delle sentenze europee di Google e Alphabet

La sentenza di qualche giorno fa è solo l’ultima tappa di un percorso intrapreso dall’Unione Europa quasi 15 anni fa. Contestualmente anche il Dipartimento di Giustizia (DOJ) negli Stati Uniti ha avviato diversi procedimenti simili: le accuse vanno dall’abuso di posizione dominante nella search e nell’Ad Text, al controllo monopolistico del mercato del digital advertising tramite DoubleClick, fino al monopolio sul Play Store per dispositivi Android. Andando con ordine, l’infografica rappresenta le principali sentenze e le inchieste condotte dall’Unione Europea e mostra una crescente pressione su tutti i prodotti di Google.

DOJ vs il monopolio di Google nel digital advertising

“Google è un monopolista e si è comportato come tale per mantenere il suo monopolio”. Oltreoceano, invece, è il giudice Amit P. Mehta ad emettere una sentenza storica in una causa avviata nel 2020 dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. La sentenza conferma la violazione da parte di Google della Sezione 2 dello Sherman Act, uno dei tre pilastri della normativa antitrust americana e che regola e limita la formazione di monopoli. Una sentenza che rafforza le accuse del DOJ e di un gruppo bipartisan di procuratori generali di 38 stati e territori in un altro processo che sposta l’attenzione sull’acquisizione che avrebbe dato l’avvio a quella che è stata definita dalla stampa americana una vera e propria marcia di Google verso il monopolio dell’advertising: l’acquisizione di DoubleClick nel 2007 per 3,1 miliardi di dollari in contanti, grazie alla quale Google controlla il mercato degli annunci online, sia dal lato degli editori che da quello degli inserzionisti.

Cos’è DoubleClick

DoubleClick, fondata nel 1996, era una delle piattaforme più importanti per la gestione delle aste pubblicitarie e la distribuzione del display ads, con una quota di mercato che si aggirava intorno al 60%. L’acquisizione è stata approvata dallo stesso dipartimento che oggi muove le accuse. Questo dimostra come l’attenzione su questo settore a livello istituzionale sia aumentata quando ormai il business delle Big Tech risultava così grande da non poter essere ignorato. A fine 2023 il giro di affari del digital advertising aveva raggiunto i 4,9 miliardi di euro e con previsioni di crescita del 10% per il 2024 (fonte: Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano).

Rispetto alle precedenti sentenze su aspetti abbastanza noti al pubblico e quindi all’utilizzatore finale, questo processo tocca ambiti meno visibili ai non addetti ai lavori. A tal proposito, credo sia necessario fare una breve digressione su che cos’è DoubleClick e il suo funzionamento.

Come funziona DoubleClick

DoubleClick è una piattaforma di programmatic advertising, ovvero la compravendita automatizzata di spazi pubblicitari attraverso aste in tempo reale (real-time bidding, RTB). Ecco come funziona e il ruolo che svolgono i vari interlocutori:

  • le aziende proprietarie di siti web (publisher) mettono all’asta i loro spazi pubblicitari tramite il DoubleClick for Publishers (DFP).
  • Gli inserzionisti accedono a questi spazi attraverso piattaforme demand-side (DSP), che permettono loro di entrare nella competizione e di fare la loro puntata per visualizzare i propri annunci in tempo reale.
  • Tutto questo avviene tramite aste che richiedono pochi secondi, per cui è un algoritmo a confrontare le offerte degli inserzionisti e assegna lo spazio pubblicitario all’offerta più alta.
  • Una volta conclusa l’asta, l’annuncio dell’inserzionista “vincente” viene mostrato sul sito web del publisher.

DoubleClick una volta acquisita è stata integrata in Google Ads e Google Marketing Platform, diventando la base della rete pubblicitaria di Google.

Google si difende spostando l’attenzione su altre aziende altrettanto competitive, Meta e Amazon. Tuttavia, i dati che hanno fatto muovere le indagini forniscono una rappresentazione chiara della portata dell’ecosistema Ad Tech di Google e del ruolo che svolge nel mercato. A fornire un quadro chiaro è proprio il DOJ da cui ho recuperato questa immagine:

Che cosa si vede? La rappresenta mostra che, attraverso Google Ad Manage, Google gestisce oltre il 90% delle vendite di pubblicità, questo sul fronte publisher; mentre tramite Google Ad Exchange, la tecnologia basata su DoubleClick che ne facilita l’acquisto tramite le aste, controlla circa 50% del mercato degli ad exchange.

Infine, sul fronte inserzionisti, Google controlla circa l’80% della domanda pubblicitaria tramite piattaforme come Google Ads e Display & Video 360 (parte di Google Marketing Platform).

Le possibili conseguenze della sentenza per Google e il mercato

Nel corso di questi anni i ricavi di Google non hanno subito impatti negativi. Alphabet, cui fanno capo Google e YouTube, ha appena chiuso il secondo trimestre dell’anno in corso con un incremento del 14% del fatturato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il merito di tale incremento è riconducibile alle revenues generate dai servizi web e dalla pubblicità soprattutto su YouTube. Nella giornata di ieri, 16 settembre 2024, la società di rating Evercore ISI ha abbassato il suo obiettivo di prezzo per Alphabet Inc. (225$ a 220$). L’aggiustamento di prezzo è stato fatto proprio a causa delle preoccupazioni derivanti dalle cause in corso. Tuttavia, la società ha mantenuto il rating Outperform.

Più trasparenza nel meccanismo sottostante le aste pubblicitarie

Per quanto riguarda il mercato, bisognerà aspettare l’esito della sentenza per capire quali saranno le indicazioni effettive che Google dovrà seguire. Tra le più prevedibili e positive, ci si aspetta senz’altro una maggiore trasparenza nel meccanismo sottostante le aste pubblicitarie e un miglioramento dell’esperienza utente che è alla base delle preoccupazioni delle istituzioni.

La richiesta di unbundling

Tra le conseguenze più complesse per Google, ma con impatti notevoli anche per il mercato, c’è la richiesta di unbundling, la separazione contabile e amministrativa delle attività, al fine di far competere ciascun comparto di Google in ciascun ambito senza il vantaggio competitivo che deriva dall’offerta nell’insieme. In altre parole, questo consentirebbe di evitare che il controllo di un’area più forte influenzi in maniera anticoncorrenziale anche le altre aree del mercato.

Il cosiddetto “break-up” è un approccio che è già stato considerato in passato anche per altre grandi aziende con posizioni dominanti, come AT&T negli Stati Uniti negli anni ’80.

Come si tradurrebbe per Google? Per fare un esempio pratico, Google potrebbe essere obbligata a separare Google Search da Google Marketing Platform; oppure, Play Store dal sistema operativo Android, un altro dei business chiave per Google, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione di app e la pubblicità su dispositivi mobili. Già nel 2018, la Commissione Europea ha inflitto a Google una multa da 4,34 miliardi di euro per aver abusato della sua posizione dominante su Android, obbligando i produttori di smartphone a pre-installare Google Search e Chrome.

L’impatto seul settore

Solo questi due esempi permetterebbe all’intero settore:

  • nel primo caso di limitare i conflitti di interesse come quello esistente tra Google e l’ecosistema del digital advertising;
  • nel secondo caso, permetterebbe l’apertura delle piattaforme a concorrenti minori, favorendo una maggiore competizione tra piattaforme e consentirebbe agli sviluppatori di app di accedere a una gamma più ampia di opzioni di distribuzione.

Inutile dire, che una volta applicato un tale approccio a Google questo costituirebbe un precedente legale applicabile ad altre realtà, proprio come le già citate Meta e Amazon.

Conclusioni

Ripercorrendo le varie sentenze, in questo articolo ho provato a chiarire il contesto in cui si inserisce l’ultima decisione presa dalla Commissione Europea. Oltre alla portata senza precedenti delle sanzioni, le sfide legali affrontate da Google rappresentano un punto di svolta per il futuro della pubblicità online e delle Big Tech. Negli ultimi anni, è cresciuta la consapevolezza del pubblico sull’importanza dei Big Data e sul ruolo cruciale che hanno giocato nel successo di queste aziende. Tuttavia, non è semplice quantificare quanto le pratiche sotto accusa abbiano influenzato le scelte d’acquisto di milioni di consumatori. Proprio per questo motivo, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e la Commissione Europea hanno intensificato i loro sforzi per fare chiarezza su queste dinamiche, come sottolineato nelle dichiarazioni del giudice Amit P. Mehta e della vicepresidente Margrethe Vestager. Entrambi ribadiscono la necessità di regolamentare un settore che, per anni, ha operato con poche restrizioni, creando squilibri significativi.

Resta da vedere come evolveranno le cose nei prossimi anni, ma è chiaro che le decisioni che verranno prese avranno un impatto profondo, aprendo la strada a nuove regolamentazioni e – forse – a un mercato digitale più aperto e competitivo.

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