Cresce in rete un flusso comunicativo di disinformazione “filo-cinese”, pianificato mediante sofisticate e sempre più intense modalità di pianificazione strategica.
Il flusso sospetto di disinformazione risulta associato alla campagna “Dragonbridge”, già in passato ritenuta veicolo di campagne comunicative fuorvianti sulle origini della pandemia “Covid-19” mediante la diffusione di contenuti micro-mirati a specifici target di utenti destinatari.
Tra gli obiettivi, alimentare le proteste ambientaliste contro le aziende occidentali (e prevalentemente americane) che estraggono i metalli di “terre rare”.
Perché USA e Cina stanno separando la tecnologia e cosa succederà
Quali sono le terre rare e dove si trovano
Secondo la convenzionale nomenclatura scientifica di riferimento, le “terre rare” sono identificate in cerio (Ce), disprosio (Dy), erbio (Er), europio (Eu), gadolinio (Gd), olmio (Ho), lantanio (La), lutezio (Lu), neodimio ( Nd), praseodimio (Pr), promezio (Pm), samario (Sm), scandio (Sc), terbio (Tb), tulio (Tm), itterbio (Yb) e ittrio (Y).
Si tratta di metalli essenziali dotati di preziose proprietà chimiche, magnetiche e conduttive per la realizzazione di prodotti elettronici di alta tecnologia, anche di ultima generazione, prevalentemente destinati al mercato dei beni di consumo come televisori, batterie, telefoni cellulari, memorie dei computer, generatori di turbine eoliche, pannelli fotovoltaici, auto elettriche.
Le terre rare necessitano pertanto di un incremento esponenziale, come rilevanti “input” da utilizzare nel ciclo produttivo a fronte di un progressivo “picco” della complessiva domanda globale: ciò giustifica l’obiettivo di rendere prioritaria l’esigenza di assicurarsi il controllo strategico della filiera produttiva in virtù della verosimile generalizzata e pervasiva diffusione prospettabile nei prossimi anni.
Le riserve di “terre rare” sono, tendenzialmente, localizzate in tutto il mondo, sia pure con maggiori percentuali di concentrazione riscontrabili, ad esempio, in Brasile, Cina e Russia.
Ma le principali criticità ostative alla concreta attuazione e gestione del processo produttivo di tali metalli, soprattutto in termini di inquinamento idrico e ambientale, si riscontrano nella predisposizione delle fasi di selezione, estrazione e di raffinamento delle relative sostanze chimiche in grado di rilasciare pericolosi rifiuti tossici.
Allo stato attuale, risulta che la Cina sia il principale produttore dei metalli di “terre rare” grazie alla capacità del suo giacimento nazionale, potenziato nel corso del tempo per effetto di ingenti investimenti nella catena di approvvigionamento, che ha consentito a Pechino di accrescere la propria quota di mercato minerario al fine di sfruttarne il relativo valore globale.
Sfruttamento delle terre rare: le mosse di Cina e USA
Secondo quanto riportato da studi di settore, negli ultimi anni la domanda interna cinese ha iniziato a superare l’offerta interna disponibile, a causa dell’espansione dei mercati dei veicoli elettronici e delle energie rinnovabili.
Il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, dopo il divieto di esportazione del 2010, ha di recente ridisegnato, a seguito di un mirato intervento di fusione societaria, la governance dell’impresa statale “China Rare Earth Group”.
L’obiettivo è incrementare, sotto la supervisione statale, la produzione cinese di “terre rare” su scala globale come risorsa strategica geopolitica fondamentale, che giustifica il consolidamento del relativo mercato anche alla stregua di un rilevante strumento “tecnonazionalistico”, da cui dipende la stabilità interna e la leadership esterna del Paese.
Lo conferma, peraltro, anche la presa di posizione del Presidente USA Biden, volta a rafforzare la catena di approvvigionamento statunitense: Biden ha invocato l’applicazione del Defence Production Act con l’intento di espandere la fornitura di materiali e servizi necessari per promuovere la difesa nazionale con attività di preparazione e prevenzione delle emergenze in caso di possibili rischi in grado di compromettere la vulnerabilità delle infrastrutture critiche nazionali.
Alla luce di tale scenario, sembra quindi trovare una possibile spiegazione l’esistenza – riportata da un recente articolo del MIT – Technology Review descrive la – di una sofisticata campagna di propaganda online, mediante l’uso di falsi account social, verosimilmente avallata da Pechino, per prendere di mira le aziende occidentali dell’industria delle “terre rare” in un settore considerato strategico a livello planetario.
Pare che l’influenza digitale pianificata sia talmente raffinata da riuscire a fomentare, come insidioso “cavallo di Troia”, le proteste contrarie a qualsivoglia attività produttiva di rifiuti tossici e radioattivi, facendo leva sulle principali battaglie ambientaliste per generare effetti destabilizzanti interni in grado di bloccare o comunque rallentare la produzione di tali metalli, in un clima divisivo di opposizione sociale che amplifica le divergenze esistenti sui rischi collegati alla produzione delle “terre rare”.
Cosa sappiamo sulla campagna Dragonbridge
In particolare, l’articolo del MIT è corroborato dalle riportate evidenze segnalate dall’agenzia di cybersecurity Mandiant, che riscontra, nell’ambito della campagna online “Dragonbridge” – in crescente espansione -, la creazione di “una rete di migliaia di account non autentici su numerose piattaforme di social media, siti Web e forum […] a sostegno degli interessi politici della Repubblica popolare della Cina (RPC)”.
Mandiant dichiara di aver identificato un flusso comunicativo riconducibile proprio alla campagna “DragonBridge” visibile sui social media che, mediante l’uso strategico di specifici hashtag e strumenti di microtargeting, ha preso di mira le aziende minerarie occidentali ritenute “competitor” ostili nel mercato globale.
Sono stati pubblicati contenuti negativi virali, diretti a criticare le ripercussioni ambientali provocate dalle attività industriali di queste aziende, compresa la decisione dell’amministrazione Biden di invocare il Defense Production Act per potenziare la produzione interna di metalli come strategia funzionale a ridurre la dipendenza degli Stati Uniti d’America dalla Cina sulla fornitura di tali risorse.
Conclusioni
Pechino ha una generale strategia nazionale che promuove per rendere la tecnologia lo strumento decisivo per favorire la crescita e al contempo salvaguardare interessi preminenti di sicurezza nazionale.
Prende così sempre più forma l’avvento di una possibile nuova era geopolitica, fondata sulla inedita triade “Covid-19”-guerra russo-ucraina-gestione delle catene globali di approvvigionamento, da cui discendono i tratti di un ordine politico globale “pechino-centrico”, a trazione cinese, venendo così meno il secolare dominio occidentale.
In altre parole, si materializza un univoco “filo conduttore” nella concatenazione di un insieme di eventi consequenziali dalle implicazioni socio-economiche ancora non del tutto chiare e decifrabili nel medio-lungo termine, in grado di travolgere l’attuale ecosistema globale.
Si configura uno spostamento nel contesto asiatico, e soprattutto in Cina, dell’asset centrale del traffico industriale mondiale, anche grazie ad una significativa accelerazione innovativa progettata in nome della spinta tecnologica, strategicamente sostenuta per rendere Pechino un Paese digitalmente all’avanguardia come superpotenza mondiale,
Una progressiva “deglobalizzazione” degli scambi commerciali che potrebbe da ultimo favorire la consolidazione di rapporti privilegiati ed esclusivi tra Paesi politicamente alleati, mettendo fine alla pluridecennale cooperazione integrata che si è tradizionalmente realizzata tra gli Stati.