Shein è diventata una delle aziende più grandi al mondo, non solo nella vendita al dettaglio di abbigliamento low cost, ma anche nel campo dei prodotti economici relativi a salute e bellezza, gioielli, accessori, cancelleria. Insieme al competitor Temu, Shein rientra sicuramente tra quelle aziende che sono riuscite in un tempo relativamente breve a imporsi sul mercato delle piattaforme di fast fashion.
Considerando che i modelli proposti sul sito sono per lo più economicamente molto accessibili, in più di un’occasione l’utenza, in Italia e nel resto del mondo, si è chiesta come si riuscisse a mantenere costi estremamente bassi, non solo per sostenere i materiali e gli sforzi di produzione, distribuzione, logistica ma anche per quanto riguarda la titolarità dei design che vengono prodotti.
Si consideri infatti che Shein sul proprio sito e sulla propria app conta un numero enorme di abiti, ognuno dei quali ha un design con diritti di proprietà intellettuale.
Scraping e monitoraggio elettronico: il caso Alan Giana
Una delle questioni che quindi si è sollevata riguardo a Shein è proprio quella relativa all’originalità dei design e alla possibilità che il basso costo di produzione e vendita sia dovuto all’uso non autorizzato di design altrui.
In ultimo, l ‘artista Alan Giana ha depositato il 5 aprile presso il Tribunale distrettuale degli Stati Uniti, nel distretto meridionale di New York, una denuncia in cui accusava Shein di utilizzare un sistema di monitoraggio elettronico e strumenti di intelligenza artificiale (AI) per identificare le tendenze di design popolari attraverso lo scraping.
La tesi principali è che questo monitoraggio, corroborato dalle capacità analitiche dell’AI, sia particolarmente dannoso per i creatori che, pubblicando i loro design online, rischiano di vedere i propri prodotti copiati da aziende come Shein.
L’accusa principale, che ritroviamo nel testo del complaint, fa leva su un’intuizione logica: “Shein non crea molti dei suoi prodotti e di certo non ne progetta migliaia al giorno.“
Questa argomentazione, nonostante possa sembrare un j’accuse generico, potrebbe avere un senso: si consideri che Shein pubblica centinaia di migliaia di articoli alla volta e non è la prima volta che ci si pone questioni sull’originalità dei suoi design.
Le accuse passate e il RICO Act
Già nel 2023, un procedimento simile era stato sollevato da tre grafici che accusavano l’azienda di utilizzare strumenti algoritmici per identificare le tendenze e copiare i design.
In questo caso, la causa legale era basata addirittura sul RICO Act (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act) negli Stati Uniti, una legge originariamente concepita per combattere il crimine organizzato, a dimostrazione della gravità delle accuse mosse contro l’azienda per le sue pratiche commerciali.
Secondo i denuncianti, “Shein si è arricchita commettendo ripetute infrazioni individuali, come parte di un lungo e continuo schema di racket, che non mostra segni di diminuzione.” I ricorrenti, in nella causa introdotta dai tre designer di moda presso il Tribunale distrettuale degli Stati Uniti per il distretto centrale della California, sostengono che “Shein ha prodotto, distribuito e venduto copie esatte delle loro opere creative.“
Secondo le accuse, Shein avrebbe quindi utilizzato un “intricato gioco di scatole cinesi di una struttura aziendale” per truffare i designer, un’operazione illegale coordinata che può essere combattuta al meglio attraverso l’uso delle norme RICO e che da anche il senso della portata delle allegazioni.
Anche l’avvocato Fortune Brett Lewis, nel commentare la vicenda dell’artista Alan Giana, sostiene che queste operazioni di scraping algoritmico siano avvenute in maniera estesa. Shein era già stata inoltre accusata da associazioni ambientaliste e lavoriste di perseguire un modello di mercato non sostenibile dal punto di vista della produzione e della sostenibilità ambientale. La nuova accusa relativa alla violazione della proprietà intellettuale potrebbe fornire ulteriori elementi sull’ascesa di un’azienda che è stata capace di imporsi sul mercato applicando prezzi estremamente inferiori e fin troppo concorrenziali.
Una delle frasi più interessanti dell’avvocato Fortune Brett Lewis è quella che dimostra come pare a tratti funzionare il turbo capitalismo nel mondo dell’intelligenza artificiale: “Il modello di business è: se veniamo citati in giudizio, paghiamo, altrimenti continuiamo a fare così perché è redditizio.” Questo va contro i principi che vorrebbero che le aziende nascano con progetti sostenibili.
Le questioni legate al design e allo scraping
È inoltre una delle prime volte in cui non solo vengono sollevate questioni generali relative al design e al copyright dei beni prodotti, ma si contesta anche una tecnica, quella dello scraping legato alle pratiche commerciali scorrette, al centro delle polemiche giudiziarie internazionali di questi mesi in relazione al training dei modelli di AI.
Lo scraping, in quanto tale, cioè la raccolta di dati dal web, è sempre consentito, ma la finalità ultima può essere rilevante da un punto di vista di responsabilità civile. Ad esempio, nel caso in cui lo scraping costituisca una violazione della proprietà intellettuale, il tribunale potrebbe punire queste pratiche anche in base alle normative antitrust, considerando che potrebbero comportare comportamenti commerciali scorretti.
La normativa europea sulla protezione dei dati e la Direttiva sul diritto d’autore
La normativa europea sulla protezione dei dati (GDPR) e la Direttiva 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale sono particolarmente rilevanti in questo contesto. Il GDPR impone restrizioni sull’uso e il trattamento dei dati personali, mentre la Direttiva 2019/790 aggiorna e armonizza le regole sul diritto d’autore nell’UE, includendo disposizioni specifiche per affrontare le sfide del mondo digitale, come l’uso non autorizzato di contenuti online. Un recente esempio di intervento delle autorità regolamentari è la multa dell’Antitrust francese a Google per abuso di posizione dominante a causa dell’addestramento dell’AI Gemini (ex Bard).
Non va quindi solo presa in considerazione la normativa relativa al data mining e alle sue eccezioni (nazionali, artt. 70-ter e 70-quater LDA, e internazionali, Artt. 3 e 4 Direttiva Copyright) ma bisogna necessariamente guardare la questione giuridica nel complesso.
Class Action e risarcimenti, la strada è in salita
In caso di violazione della proprietà intellettuale, c’è il rischio infatti che i designer non abbiano la forza economica per perseguire il colosso in maniera autonoma, motivo per cui si potrebbe far strada l’idea di perseguire delle class action. Tuttavia, le Class action possono portare a risarcimenti economici poco significativi per i singoli istanti ed è forse anche per questo che la stessa Shein ha dichiarato di aver favorevolmente trovato accordi stragiudiziali con artisti in relazioni ai design in passato, il che mostra un paradigma nell’economia globale:i grandi (e spesso nuovi) colossi cercano di imporre la loro presenza anche se con comportamenti al limite della legalità.
Prospettive future: etica, copyright e intelligenza artificiale
La domanda che ci si pone, considerato anche l’utilizzo oramai ramificato dell’intelligenza artificiale in queste dinamiche, è se al netto del caso Shein, l’atteggiamento di grandi aziende che basano il loro core business su violazioni della proprietà intellettuale possa essere considerato eticamente valido. Questo è un tema di dibattito anche nell’Unione Europea, dove si cerca di stabilire policy per regolamentare il comportamento delle grandi aziende tecnologiche dopo che la stessa OpenAI ha dichiarato che è impossibile sviluppare l’intelligenza artificiale senza violare il copyright.
Il rischio, anche in assenza di riprova sociale nei confronti di queste supposte violazioni, è che si invii un messaggio scorretto. Parafrasando il detto: “Chi ruba a uno è un ladro, chi ruba a tanti è un genio.”