L’intervento dell’Antitrust sul caso Siae-Meta, che ha portato alla scomparsa della musica Siae su Facebook, Instagram, va letto all’interno di una spinta europea a riequilibrare i rapporti di forza tra produttori di contenuti e intermediari digitali – Meta in questo caso – che prenderebbero a sé una parte preponderante dei profitti.
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L’azione dell’Antitrust su Meta
Ricordiamo che il 4 aprile 2023, su segnalazione di SIAE, l’Autorità della concorrenza e del mercato (AGCM), ossia l’Antitrust, aveva avviato un’istruttoria nei confronti di META per accertare la possibile violazione dell’art. 9 l. 192/1998, che vieta il comportamento di abuso di un rapporto di dipendenza economica, ed ha inoltre dato inizio ad un procedimento cautelare per l’eventuale adozione di misure atte a ripristinare e mantenere le condizioni concorrenziali sul mercato interessato.
Scontro Meta-Siae: il primo test sulla tenuta della Direttiva Copyright
- Il 21 aprile 2023 l’Antitrust ha disposto in via cautelare che META riprenda immediatamente le trattative con SIAE, mantenendo un comportamento ispirato a canoni di buona fede e correttezza, e provveda a fornire tutte le informazioni necessarie onde consentire a SIAE di ripristinare l’equilibrio nel rapporto commerciale con META.
- Inoltre, previa autorizzazione di SIAE, META dovrà ripristinare la disponibilità dei contenuti musicali su Instagram e Facebook.
- Infine, in caso di disaccordo fra le parti in ordine alla quantità e alla qualità delle informazioni da fornire da parte di META, AGCM nominerà un fiduciario – un esperto terzo ed indipendente – che si occupi della loro individuazione.
Nel frattempo, la vicenda ha suscitato un interesse così ampio ed acceso che il Ministero della Cultura ha convocato le parti per promuovere la ripresa del negoziato, senza riuscire tuttavia a risolvere il conflitto; mentre l’Autorità delle Comunicazioni (AGCOM) è stata audita dalla Camera, ed ha riferito di aver a sua volta richiesto informazioni sia a META sia a SIAE, in particolare per quanto riguarda la condivisione delle informazioni dell’utilizzo dei brani musicali sulle piattaforme. Al contempo, AGCOM ha ritenuto di non avere competenze per quanto riguarda la determinazione in sé del compenso che META dovrebbe versare a SIAE.
La vicenda era partita a marzo 2023 quando META, com’è noto, ha interrotto le trattative che aveva in corso con la SIAE (la collecting society italiana che rappresenta il maggior numero di autori ed editori del repertorio nazionale) per il rinnovo della licenza relativa all’utilizzazione sulle piattaforme da parte degli utenti del repertorio amministrato da SIAE.
Il precedente accordo in essere fra META e SIAE era infatti giunto a scadenza a fine 2022 e fra le parti non si era raggiunto un consenso circa due punti fondamentali, ossia le informazioni circa le utilizzazioni che avrebbero dovuto essere fornite da META a SIAE, e la determinazione della remunerazione, dal momento che – secondo META – le richieste di aumento avanzate da SIAE erano troppo alte e quindi inaccettabili.
A seguito della interruzione delle negoziazioni, META aveva eliminato dalle proprie piattaforme il repertorio amministrato da SIAE, con un processo di rimozione farraginoso ed imperfetto, che ha provocato la sparizione dalle piattaforme anche di brani amministrati da collecting society diverse da SIAE, sia locali sia straniere.
La direttiva europea sul diritto d’autore mercato unico digitale
Il quadro di lettura della controversia deve prendere le mosse dalla recente riforma dei diritti d’autore in ambito digitale, introdotto in Italia con il d.lgs. 177/2021 di recepimento della direttiva 2019/790 sul diritto d’autore nel mercato unico digitale.
Questa direttiva si proponeva di ridurre il cd. “value gap” fra gli intermediari della società dell’informazione ed i produttori di contenuti (autori, artisti, industria culturale), sul presupposto che nel mercato unico digitale attuale i maggiori proventi vengono ricavati dagli intermediari, mentre i produttori di contenuti non riescono a riceverne uno share adeguato e proporzionato.
Da una situazione di esenzione di responsabilità a favore dei provider, come configurata dalla direttiva Ecommerce del 2000, si è quindi approdati (attraverso l’enucleazione giurisprudenziale della figura del c.d. hosting provider attivo) a parificare la piattaforma online ad altri utilizzatori professionali di contenuti, qualificando la condivisione di contenuti come atto di comunicazione al pubblico.
Da qui la necessità per le piattaforme online di concludere un’idonea licenza con i titolari dei diritti, prima di consentire ai propri utenti la condivisione dei contenuti protetti. Inoltre, sia la direttiva 2019/790 sia la direttiva 2016/26 sulle collecting prevedono il diritto degli autori e degli artisti interpreti esecutori ad ottenere informazioni circa l’utilizzazione delle proprie opere, con l’evidente fine di ridurre l’asimmetria informativa fra le parti e di permettere agli autori ed agli artisti di beneficiare in modo adeguato e proporzionato del valore creato dalle loro opere.
Inoltre, la trasparenza sugli utilizzi è anche fondamentale ai fini di un’equa ripartizione delle somme fra gli aventi diritto. Per le ragioni ora dette, la legge prevede anche che sul rispetto dell’obbligo informativo stabilito a favore dei titolari dei diritti (autore e artisti interpreti esecutori) sorvegli AGCOM, che può applicare una sanzione amministrativa pecuniaria pari all’1% del fatturato; alla violazione dell’obbligo si collega inoltre una presunzione legale di inadeguatezza del compenso a favore dei titolari dei diritti.
Secondo, inoltre, la direttiva 2019/790 la remunerazione a favore di autori e artisti deve essere adeguata e proporzionata. Per tali ragioni la remunerazione deve tendenzialmente essere proporzionale (a royalty), con la conseguenza che i flat fee – benché tuttora possibili – dovrebbero essere considerati più l’eccezione che la regola, e comunque applicarsi solo al ricorrere di determinate situazioni che ne giustifichino l’applicazione. Inoltre, ad AGCOM è attribuito il potere di risolvere controversie fra autori ed artisti interpreti ed esecutori da un lato e utilizzatori dall’altro lato. Le regole in materia di trasparenza e di risoluzione delle controversie sono di applicazione necessarie, con la conseguenza che esse devono ricevere applicazione a prescindere dall’eventuale scelta di legge applicabile al contratto, quando quest’ultimo presenti criteri di collegamento con l’ordinamento nazionale.
Il bivio di Meta
In questo contesto, considerando unicamente l’applicazione delle regole generali di diritto civile e d’autore come declinate a valle dell’implementazione della direttiva 2019/790, per andare esente da responsabilità la piattaforma di condivisione si trova davanti ad una scelta.
Potrebbe ritenere di non avere alcun interesse per i contenuti protetti ed omettere ogni e qualunque utilizzazione degli stessi (con i caveat che vedremo in seguito); oppure, in alternativa, dovrebbe concludere una licenza con i titolari dei diritti.
Ove tale licenza non sia conclusa ed i contenuti protetti siano comunque oggetto di utilizzazione da parte degli utenti della piattaforma di condivisione, quest’ultima potrebbe comunque andare esente da responsabilità ove dimostrasse in via successiva: a) di aver tentato di concludere la licenza secondo i propri best efforts, senza essere riuscita nei propri intenti; b) di avere applicato un sistema tecnologico di riconoscimento dei contenuti (alimentato dai titolari dei diritti) grazie al quale di questi contenuti viene impedito il caricamento da parte degli utenti e la conseguente messa a disposizione sulla piattaforma; c) ovvero, in ultima istanza, e solo per i contenuti per i quali il sistema tecnologico non abbia ricevuto dai titolari informazioni preventive idonee al riconoscimento, di aver adottato un efficace processo di stay down, in base al quale i titolari dei diritti possono inviare una segnalazione, i contenuti vengono rimossi dalla piattaforma e successivamente il sistema tecnologico applicato sulla stessa ne impedisce il nuovo caricamento.
Nella realtà dei fatti META ha interesse all’utilizzazione dei contenuti del repertorio SIAE, e per tale ragione fra le parti sono iniziate trattative finalizzate al rinnovo della licenza in essere fino a fine 2022.
Questa trattative – sempre sulla base delle regole generali – avrebbero dovuto essere condotte in buona fede, e quindi tendenzialmente implicare che – quantomeno sulla base delle nuove disposizioni introdotte dalla direttiva 2019/790 – META condividesse con la collecting le informazioni relative all’utilizzazione sulle piattaforme Facebook e Instagram dei contenuti appartenenti al repertorio; e che inoltre si svolgesse una negoziazione circa l’adeguatezza della remunerazione.
Risulterebbe invece che META si sia rifiutata di fornire le informazioni del caso, e che inoltre abbia proposto a SIAE due modalità di remunerazione, una di tipo “revenue sharing” ed una di tipo “flat fee”. Quest’ultima avrebbe in realtà riguardato la maggior parte delle utilizzazioni realizzate sulle piattaforme (ossia, le stories ed i reels), e relativamente ad essa non vi sarebbe stata condivisione dei criteri economici sottostanti alla sua determinazione. A fronte del divario di posizioni fra le parti, si verificava – come detto – la rottura delle relazioni e la conseguente eliminazione dei contenuti di SIAE dalle piattaforme.
Applicando – come si è detto – unicamente le regole civilistiche generali, così come le norme introdotte a seguito della direttiva 2019/790, si potrebbe a prima vista ritenere che – nella misura in cui META cessi ogni tipo di utilizzo dei contenuti protetti – essa non sia tenuta ad alcun ulteriore adempimento od obbligo, rientrando il suo comportamento nella normale autonomia contrattuale di qualunque operatore.
Del resto, negli anni le piattaforme hanno sviluppato sistemi di riconoscimento dei contenuti che sono in grado di impedire il caricamento di quelle opere per il cui sfruttamento la piattaforma non abbia titolo.
In altre parole, le regole generali si basano sul principio costituzionale della libertà d’iniziativa economica, e dell’autonomia contrattuale, con la conseguenza che ciascun soggetto economico è libero di determinare se intende o meno intrattenere relazioni contrattuali con una determinata controparte; e d’altro canto sono del tutto lecite e normali all’interno di un rapporto contrattuale circostanze di diversa forza negoziale delle parti.
I problemi del comportamento Meta: il profilo antitrust
Vanno tuttavia considerate alcune ulteriori questioni, fra cui anche – prima di quelle antitrust – quelle prettamente di diritto d’autore. In primo luogo, le piattaforme in questione si definiscono di condivisione, per la fondamentale ragione che non editano esse stesse i contenuti, ma mettono a disposizione degli utenti uno spazio sul quale sono gli utenti a caricare i contenuti (benché poi le piattaforme intervengano attivamente sullo spazio in modi vari, per esempio indicizzando i contenuti, inserendo banner pubblicitari, suggerimenti di ascolto, etc.). Una parte importante della ragione per cui le piattaforme di condivisione hanno usufruito e tuttora in ogni modo usufruiranno di limitazioni della responsabilità (anche se più limitatamente) deriva dalla circostanza che la libera condivisione delle informazioni da parte degli utenti è stata ritenuta particolarmente meritevole dall’ordinamento.
E tuttavia, nel caso in cui la piattaforma di condivisione decida di limitare la libertà dei contenuti a disposizione degli utenti, rimuovendo un repertorio importante come quello di SIAE (che sostanzialmente corrisponde al repertorio italiano), si potrebbe ritenere che essa non può più qualificarsi come piattaforma di condivisione, diventando invece un editore come tutti gli altri, con la conseguente applicazione delle regole proprie del settore editoriale. Ulteriormente, l’intervento di META si è concretizzato – inter alia – nel silenziare alcuni video, fino a che i relativi autori non scegliessero di sincronizzare le immagini con un diverso brano musicale. In questo contesto, tuttavia, si potrebbe ipotizzare che i nuovi video siano delle elaborazioni dei precedenti, non autorizzate da tutti i titolari dei diritti, e come tali in violazione dei diritti di questi ultimi sui brani musicali originariamente prescelti. Si tratterebbe in questo caso di un illecito compiuto dagli utenti, ma su sollecitazione della piattaforma di condivisione, che ne sarebbe quindi quantomeno corresponsabile.
I maggiori profili di criticità del comportamento di META si rinvengono tuttavia nelle possibile non conformità alle norme in materia di concorrenza, ed in particolare al citato art. 9 l. 192/1998 sulla dipendenza economica, con riguardo sia al rifiuto di condividere informazione, sia – soprattutto – alla rimozione da parte di META dalle piattaforme Instagram e Facebook dei contenuti appartenenti al repertorio della controparte contrattuale, che si è rifiutata di accettare le richieste di META.
Comportamenti di questo genere da parte di provider digitali si sono già verificati in passato, e sono alla base di una serie di nuove disposizioni normative introdotti in varie giurisdizioni europee, oltre che di nuovi arresti giurisprudenziali.
A questo proposito è utile ricordare che una prima evenienza del tipo di quella attuale si ebbe nel 2014, quando Google ha deciso di chiudere del tutto il servizio Google news in Spagna, che riguardava la messa a disposizione di news, dopo l’introduzione in quella giurisdizione di norme dirette a imporre un pagamento per l’utilizzazione. Lo stesso avveniva in Germania, per le medesime ragioni. Recentemente, poi, Google ha attuato lo stesso genere di comportamenti in Francia, proprio a seguito dell’implementazione in quell’ordinamento della direttiva 2019/790. In quella occasione Google ha subito una serie di procedimenti da parte dell’Autorità francese per la concorrenza successivamente confermati dalla Corte d’appello di Parigi. In tutti i procedimenti menzionati le autorità hanno ritenuto che Google avesse abusato della sua posizione dominante e del rapporto di dipendenza economica in cui versano gli editori di pubblicazioni giornalistiche.
Per conseguenza, proprio con riguardo al settore delle news l’implementazione italiana della direttiva 2019/790 ha tenuto conto di questi precedenti ed ha stabilito che “nel corso della negoziazione i prestatori di servizi della società dell’informazione non limitano la visibilità dei contenuti degli editori nei risultati di ricerca”. Inoltre, nel 2022 le norme in materia di dipendenza economica presenti nel nostro ordinamento sono state rivisitate ed aggiornate al contesto digitale, con l’introduzione nell’art. 9 della l. 192/1998, da parte dell’art.33 della l. 118/2022, della presunzione (iuris tantum) di sussistenza di un’ipotesi dipendenza economica nel caso della piattaforma digitale che rivesta un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati. Secondo la norma, l’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto.
Del resto, da qualche tempo a questa parte l’abuso di dipendenza economica ha assunto un rilievo sempre maggiore nella giurisprudenza, anche nazionale, essendo possibile rintracciare diverse decisioni che lo riconoscono, enucleandolo come principio di ordine pubblico economico.
La norma di riferimento è l’art. 41 Cost., secondo cui, come noto, l’iniziativa economica privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Secondo la recente decisione dell’8 aprile 2021 della Corte di Appello di Torino “la materia attiene all’ordine pubblico, inteso quale complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi primari su cui si regge la civile convivenza nella comunità nazionale (cfr. fra le altre, Corte Cost. 11.5.2017, n. 108), in un certo momento storico e, in particolare, nei suoi aspetti economici, in base a quanto si trae dalla Costituzione, dai patti e dalle dichiarazioni internazionali, e dalla legge. Ne consegue l’accoglimento della nozione di ordine pubblico economico, da intendersi quale ordine pubblico dei rapporti tra privati in materia economica, per il quale sussiste l’interesse all’esercizio corretto e ragionevole dell’autonomia privata”. Il concetto è ripreso da un precedente dictum della Suprema Corte, che con la decisione 1184/20 ha chiarito come – appunto – “l’ordinamento … tutela la libertà d’impresa, anche di quella dominante: ma ciò, sino al punto in cui essa non usurpi il profitto che, secondo l’iniziale regolamento negoziale, avrebbe dovuto competere alla controparte imprenditoriale, in quanto il comportamento tenuto dall’impresa dominante sia privo di un senso oggettivo e non si possa giustificare sulla base delle necessità dell’impresa, vuoi di tipo economico, vuoi di tipo industriale e tecnico, nell’ambito dei propri processi produttivi o distributivi, al contrario mirando ad “appropriarsi” del legittimo margine di profitto altrui”.
Il concetto di dominanza in questo specifico ambito non è quello proprio della posizione dominante ex se, ma del potere di mercato relativo, che può caratterizzare certi rapporti verticali fra imprese, in cui una delle parti detiene uno specifico potere nei confronti dell’altra, ed è in grado di determinare nei rapporti commerciali con la controparte un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. Dunque, nell’abuso è fondamentale individuare la causa del contratto, e rispetto a questa qualificare la condotta della parte in posizione dominante verticale, che consisterebbe in uno sviamento del diritto rispetto alla sua funzione tipica, dal momento che le facoltà ed i poteri inerenti a un diritto soggettivo verrebbero utilizzati dal titolare per perseguire un interesse diverso da quello per il quale gli sono stati attribuiti.
Nel contesto del mercato digitale le piattaforme sono costituite da pochi operatori, che si trovano tendenzialmente in posizione dominante, quantomeno verticale, mentre i fornitori di beni e servizi che competono su di esse sono in numero molto maggiore, anche nel caso delle collecting societies. Da qui, la necessità di indagare se a) esista una posizione di dipendenza economica, che non consista in un puro squilibrio di poteri fra le parti (rientrante nella normalità), ma in uno squilibrio che sia eccessivo, nonché quali siano le reali alternative presenti sul mercato per la controparte; e b) se la condotta della piattaforma sia posta in essere in violazione dell’obbligo di buona fede, non quindi per realizzare un apprezzabile interesse economico dell’impresa dominante, ma per cagionare un pregiudizio alla controparte, o comunque ottenere vantaggi ulteriori rispetto a quelli derivanti dall’esercizio della propria autonomia negoziale.
La questione problematica concerne ovviamente la circostanza che in linea generale all’impresa dominante non può essere negato di perseguire legittimi obiettivi, quali la modifica delle proprie strategie di espansione, la scelta di cambiare il tipo o la quantità del prodotto e/o del servizio fornito, oppure anche semplicemente di spuntare legittimamente migliori condizioni. Per quanto concerne la questione che qui discutiamo, ossia lo sfruttamento dei contenuti musicali sulle piattaforme digitali, si potrebbe prospettare una ipotesi di dipendenza economica determinata dallo squilibrio del potere di mercato delle parti, dal momento che META potrebbe (ed in effetti ha suggerito di) sostituire il repertorio SIAE con altri repertori (da quello di Soundreef ai repertori di altre collecting straniere), mentre SIAE non potrebbe sostituire Facebook e Instagram con altre simili piattaforme.
Quanto al secondo requisito, ossia l’esercizio di un proprio legittimo interesse, oppure – al contrario – l’abuso della propria posizione per ottenere vantaggi ingiusti, l’analisi richiede valutazioni complesse che concernono plurimi aspetti, fra cui in particolare l’indagine circa i legittimi interessi in campo. In altre parole, vi è da chiedersi se META abbia o meno un interesse ad utilizzare il repertorio di SIAE, poiché – evidentemente – in una situazione di legittima assenza di interesse è ben difficile ipotizzare un fenomeno abusivo. A questo proposito va valutato che le piattaforme di META sono piattaforme di condivisione generaliste che – come indicato sopra – hanno come core business il consentire la messa a disposizione da parte degli utenti di contenuti ed informazioni. In questo contesto appare poco sostenibile che META non abbia interesse alla condivisione di un repertorio importante come quello gestito da SIAE, per la fondamentale circostanza che – come dimostrato dagli usi pregressi sulle piattaforme – gli utenti delle stesse hanno finora fatto uso e quindi hanno interesse al repertorio in questione. Allora, il rifiuto di negoziare non dipende da un’assenza di interesse per i contenuti, ma piuttosto dalla decisione di non condividere informazioni (peraltro prodromica a non accettare incrementi di remunerazione), resa possibile dalla circostanza che la piattaforma può promuovere presso gli utenti contenuti diversi da quelli di SIAE (perlomeno allo stato, posto che in futuro META potrebbe avere problemi simili con altre collecting quando i relativi contratti giungeranno a scadenza). Il contesto si rivela dunque tendenzialmente in termini con una possibile ipotesi di abuso di dipendenza economica, dove l’impresa in posizione dominante mira ad un margine di profitto che potrebbe essere ritenuto sproporzionato e quindi ingiusto.
In conclusione
In sintesi, e in conclusione, è evidente che l’esercizio di determinare l’equilibrio contrattuale in queste situazioni sia particolarmente complesso. Soprattutto in una fase di prima applicazione delle norme determinare quale sia il concetto di buona fede, quale sia la remunerazione adeguata, quali siano o possano essere le prassi di mercato può essere un processo difficile, ed anche dare luogo ad applicazioni potenzialmente criticabili.
Ciò non deve tuttavia esimere dal procedere verso una strada in cui le opposte esigenze di tutti i soggetti in campo siano in primo luogo correttamente identificate, e successivamente bilanciate, tenendo in considerazione sia i legittimi interessi delle piattaforme, sia quelli dei titolari dei diritti, sia infine – e forse soprattutto – quelli degli utenti e della società nel suo complesso, posto che lo stesso sviluppo delle piattaforme online, per come oggi le conosciamo, è stato possibile per consentire a tutti noi di condividere contenuti, esprimere opinioni, comunicare l’uno con l’altro.
In quest’ottica l’intero sistema si tiene se i principi alla base delle norme non vengono distorti, con la ragionevole conseguenza che le piattaforme di condivisione possono e devono rimanere tali se mantengono la loro natura di spazio libero di comunicazione, senza censure preventive dei contenuti, essendo ben possibile ipotizzare di individuare criteri di fairness sia nella condivisione delle informazioni sugli utilizzi, sia nella individuazione di una remunerazione adeguata per i titolari dei diritti