l’analisi

Software italiano: opportunità in crescita (nonostante i dazi di Trump)



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Con 26.000 aziende attive, il software italiano mostra vitalità ma sconta frammentazione rispetto a Germania e Francia. L’83% sono microimprese con meno di 10 dipendenti, necessitando strategie per competere globalmente.

Pubblicato il 11 apr 2025

Pierfrancesco Angeleri

presidente di Assosoftware



ia nello sviluppo software

Quando lo scorso anno è stata istituita la Giornata Nazionale del Made in Italy, tra le eccellenze italiane promosse e valorizzate non sono stati inclusi solo i settori più tradizionali, ma anche quelli votati all’innovazione e al mondo digitale, come il software.

Il settore, infatti, nonostante i ritardi che sconta l’Italia in termini di competenze tecnologiche, è piuttosto vivace: composto da un tessuto di migliaia di aziende – soprattutto PMI – che fanno parte a pieno titolo del Made in Italy.

Queste realtà produttive sviluppano soluzioni tecnologiche interamente concepite e realizzate nel nostro Paese, contribuendo in maniera determinante a migliorare la competitività del sistema imprenditoriale nazionale, a modernizzare la pubblica amministrazione e a creare occupazione qualificata, specialmente per i laureati in discipline STEM.

I dati più recenti dell’Osservatorio Software & Digital Native Innovation della School of Management del Politecnico di Milano dipingono un quadro estremamente positivo: il settore dà lavoro a oltre 300.000 professionisti e ha generato nel 2023 un fatturato complessivo di 62,8 miliardi di euro, con una crescita annuale particolarmente significativa del 17,4% rispetto all’anno precedente.

È evidente che si tratta di un trend positivo che genera benefici non solo per lo specifico settore, ma per tutto il sistema-Paese: come risulta da un altro studio “Cultura del Software, Sviluppo Italiano” – promosso da AssoSoftware in collaborazione con il Data Lab Luiss e il Centro Studi Confindustria –  a fronte di una crescita del 20% della domanda finale di software e servizi connessi, si stima un aumento di 9,63 miliardi di euro di produzione domestica, un aumento di 4,821 miliardi di euro di valore aggiunto e un aumento di addetti pari a 67 mila unità.

A questo proposito, è importante sottolineare come il settore sia in grado di generare occupazione di alta qualità, particolarmente preziosa in un contesto caratterizzato dalla fuga di cervelli e dalla necessità di attrarre talenti internazionali. Tuttavia, per massimizzare questo potenziale, è indispensabile un deciso investimento in formazione avanzata, in attività di ricerca e sviluppo, nonché nell’implementazione di politiche industriali mirate a sostenere la crescita delle imprese operanti in questo ambito.

Guardando il resto del mondo, l’industria del software è uno dei comparti con maggior tasso di crescita nel mondo. Uno studio Deloitte stima in 1.000 miliardi di dollari la crescita entro il 2028 del mercato con un tasso annuale (CAGR) superiore all’11%. Chiaramente, questo fenomeno riguarda tutti i Paesi ma con percentuali e concentrazioni notevolmente diverse. Se si analizzano le prime 100 aziende per valore si nota che ben 39 realtà legate al software sono americane (dato 2020) e tra queste alcune tra le top 10 (Amazon, Meta, Google, Microsoft, Apple), 25 sono asiatiche, 7 europee, di cui nessuna in Italia.

Risulta quindi evidente la concentrazione delle aziende del software negli Stati Uniti, con tutto quello che comporta in termini di potenzialità di innovazione e R&S, servizi correlati e ricadute nel mondo del lavoro. Il divario è importante soprattutto nelle attività di sviluppo, cosiddette human intensity, nelle quali si effettuano i maggiori investimenti in termini di know how e forza lavoro.

E in questo senso, nonostante i dazi annunciati dall’amministrazione Trump continuino a farsi sentire sui mercati, come quelli tecnologici, il software non è un prodotto a cui si possono applicare facilmente le tariffe, poiché può essere venduto a livello nazionale ovunque venga utilizzato. E in questo senso l’introduzione di nuove tariffe commerciali con gli USA potrebbe portare a una ridefinizione di questi equilibri, con la possibilità per l’UE e in particolare per l’Italia di stimolare lo sviluppo tecnologico con l’obiettivo di ridurre il gap con i principali partner internazionali.

Il panorama italiano del software presenta caratteristiche peculiari che meritano un’analisi approfondita. Con oltre 26.000 aziende attive sul territorio nazionale, il nostro Paese dimostra una notevole vitalità imprenditoriale in questo settore. Tuttavia, il confronto con realtà come la Germania (40.000 imprese) e la Francia (60.000 imprese) evidenzia come il tessuto produttivo italiano sia ancora troppo frammentato. Un dato particolarmente significativo riguarda la struttura dimensionale delle imprese: ben l’83% delle aziende operanti nel settore rientra nella categoria delle microimprese, con un organico inferiore a 10 dipendenti e un fatturato al di sotto del milione di euro. Allo stesso tempo, mancano grandi player nazionali in grado di competere efficacemente a livello internazionale, creando un vuoto che viene colmato dalle multinazionali straniere. Questa particolare configurazione del mercato rappresenta contemporaneamente una criticità e un’opportunità. Da un lato, rende più difficile competere su scala globale; dall’altro, offre la possibilità di sviluppare un modello originale basato sulla specializzazione e sull’integrazione di filiera, che potrebbe rivelarsi particolarmente efficace nel contesto europeo.

Per colmare il divario con i principali competitor internazionali e posizionare l’Italia come hub europeo del software, è necessario elaborare una strategia articolata che preveda interventi su più fronti. Gli investimenti, sia pubblici che privati, nel settore tech devono essere potenziati significativamente, accompagnati da misure di sostegno alle PMI innovative sotto forma di agevolazioni fiscali e contributive. Un ruolo fondamentale spetta alla ricerca e sviluppo, che necessita di risorse adeguate e di un migliore coordinamento tra università, centri di ricerca e imprese. Parallelamente, occorre potenziare la formazione STEM, sia a livello universitario che nelle scuole secondarie, per preparare una nuova generazione di professionisti digitali in grado di rispondere alle esigenze del mercato. In questo contesto, il Mezzogiorno d’Italia potrebbe giocare un ruolo strategico, trasformandosi da area tradizionalmente svantaggiata a polo di eccellenza per lo sviluppo software. La presenza di giovani talenti, università di qualità e un crescente interesse delle istituzioni locali per le tematiche digitali creano le premesse per un vero e proprio rinascimento tecnologico del Sud.

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