Le Big Tech, già potenti prima della pandemia di COVID-19, hanno rafforzato il loro monopolio durante il 2020, dal momento che gran parte della vita quotidiana si è trasferita online. Il loro potere incontrastato ha però iniziato a far suonare un campanello d’allarme, non solo perché esse detengono così tanto potere economico, ma anche perché esercitano, di fatto, un sempre maggiore controllo sulla comunicazione politica: siamo di fronte a colossi che stanno dominando la diffusione delle informazioni e il coordinamento della mobilitazione politica, costituendo una minaccia unica alla democrazia, anche se negli ultimi tempi si registrano segnali che fanno presagire che il vento stia cambiando. Infatti, sono numerose sia le vertenze in atto sia ulteriori indagini per contrastare il monopolio delle Big Tech.
Inoltre, sta rafforzandosi anche la “pattuglia” di intellettuali che, guidati da esperti di diritto commerciale, si sforzano di portare il loro contributo nella reinterpretazione e nell’adeguamento della legislazione antitrust per contrastare il dominio delle Big Tech.
Tutti i fronti della platformization
Da un lato vi è il fronte di chi sostiene la possibilità di smembrare Facebook e Google; dall’altro lato vi è chi chiede norme più rigorose per limitare lo sfruttamento dei dati da parte di queste società, oltre a considerare la possibilità di togliere alle piattaforme il ruolo di custodi dei contenuti. Ovvero, oggi diventa sempre più importante far fronte alla “platformization”, alla contaminazione delle logiche di queste piattaforme digitali nella sfera politica, economica, sociale e culturale delle nostre società: una contaminazione che permea le istituzioni, così come le nostre vite. Inoltre, la mancanza di concorrenza sta danneggiando sempre più sia i consumatori sia gli altri attori del settore: una situazione di monopolio, infatti, non garantisce un’adeguata scelta di offerta, anzi limita l’innovazione e lo sviluppo di nuove tecnologie, meno invasive e preferibili.
Le Big Tech controllano una quantità sempre maggiore di dati che non sono solo un asset da valorizzare in termini di ricchezza puramente economica, ma anche una fonte di potere politico e possono essere utilizzati a danno della società intera. Non dimentichiamo che le Big Tech stanno investendo sempre più in attività di lobbying per preservare la loro influenza e ciò fa presupporre che mirino a ricoprire un ruolo sempre più politico: ne consegue che, dato che ci muoviamo verso una società sempre più digitalizzata, la dipendenza dalla Big Tech si prospetta quanto mai allarmante.
L’andamento spinto di digitalizzazione apre la strada alle Big Tech per fare pressione e ottenere politiche più vantaggiose, integrate alle economie e alle infrastrutture stesse dei Paesi nei quali operano.
Fronte Usa e Ue: le azioni legali contro i colossi del web
Governo USA vs. Big Tech
Sia i leader democratici sia quelli repubblicani hanno assunto, recentemente, una posizione molto più critica ed aggressiva nei confronti delle Big Tech sino a giungere anche a chiedere di modificare la legge su Internet sezione 230, i.e. di togliere lo scudo che protegge i siti dalla responsabilità per i contenuti pubblicati dai loro utenti.
I democratici temono la manipolazione da parte di estremisti nazionali e stranieri; i repubblicani pensano che le grandi piattaforme siano prevenute contro i conservatori.
Il Governo USA negli ultimi mesi ha più volte reiterato l’accusa nei confronti delle Big Tech. In particolare, le indagini di Google si sono “mosse” più velocemente rispetto alle altre inchieste contro Amazon e Apple, in quanto la società è accusata, da anni, di pratiche anticoncorrenziali da parte di rivali come Microsoft e Yelp, e di editori come News Corp.
C’è chi ritiene che le cause legali contro Google abbiano somiglianze con quelle federali e statali contro Microsoft – che sono durate dalla fine degli anni ’80 all’inizio degli anni ’90 – e che hanno palesemente costretto la società a correggere le sue pratiche commerciali anticoncorrenziali. Pertanto, si potrebbe ipotizzare che l’azione antitrust nei confronti di Google – che potrebbe protrarsi per anni in tribunale – possa contribuire a incoraggiare una maggiore concorrenza, indipendentemente dai risultati del contenzioso.
L’Europa non sta a guardare
In Europa i legislatori stanno tentando di “riportare ordine ed equilibrio” tra il mondo fisico e quello traslato nell’etere e sono previsti sia “paletti normativi” sia un insieme di sanzioni.
Come affermato da Thierry Breton – Commissario UE per il Mercato interno – non si tratta di prendere di mira i colossi, ma il fatto è che le loro dimensioni sono divenute tali da comportare nuove responsabilità. Di fatto, quando le società sono talmente grandi, come le Big Tech, tanto da fungere da “gatekeeper‘ di un mercato, ciò comporta “rischi sistemici” in termini di:
- contenuti che ogni giorno vengono pubblicati;
- ricavi generati con l’e-commerce;
- pratiche sleali come le acquisizioni e l’accentramento dei dati.
Pertanto, la Commissione europea ha predisposto un pacchetto normativo costituito da due atti: Digital Services Act (DSA) e Digital Markets Act (DMA). Vediamo in breve in che cosa consistono.
Digital Services Act (DSA)
Si richiede alle società di assumersi una maggiore responsabilità per la moderazione dei contenuti che circolano sui loro siti e a intervenire “rapidamente” per rimuovere il materiale illegale, pena multe fino al 6% delle loro entrate annue. Le regole si espandono in nome della “trasparenza” anche a vendite e pubblicità online; pertanto, le società dovranno spiegare ad autorità e utenti come funzionano i propri algoritmi per l’indicizzazione dei prodotti.
Digital Markets Act (DMA)
Si applicheranno alle Big Tech multe sino al 10% dei loro ricavi globali in caso di violazione delle regole di concorrenza e, in caso di recidive, l’Ue si adopererà a separare strutturalmente le loro attività.
Questo cambio di paradigma della Commissione Europea è ulteriormente dimostrato dalle sanzioni che sono state inflitte recentemente a Google e alle altre Big Tech. Tuttavia, saranno necessari quasi due anni affinché le norme proposte da Bruxelles si trasformino in realtà, dal momento che l’iter – che richiede l’approvazione del Parlamento europeo e di tutti gli Stati membri – potrebbe anche essere più lungo: infatti, da una parte alcuni Paesi potrebbero sollevare obiezioni e, dall’altra le Big Tech – considerando il fatto che hanno speso complessivamente 23 milioni di euro in lobbying solo nella prima metà del 2020 – faranno – non c’è dubbio – di tutto per fermare i due provvedimenti.
Le (possibili) mosse di Joe Biden
A breve avrà luogo l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, pertanto passeranno di mano le varie cause/indagini in atto nei confronti delle Big Tech. Molti deputati democratici contestano la posizione dominante di Google e c’è chi ritiene che saranno pronti a nuove azioni legali i cui esiti potrebbero, nel lungo termine, incrinare i rapporti del governo con una delle società più potenti al mondo.
Sarà interessante vedere, altresì, come agirà il nuovo Presidente USA nei confronti della Sezione 230 del Communication Decency Act, dato che più volte ha ribadito che la legge deve essere abrogata, dal momento che i social network danno troppo spazio a post e contenuti razzisti o eversivi, e l’impossibilità di controllo non è una sufficiente giustificazione, diversamente da Trump che invocava invece una forma governativa di controllo, dal momento che i social tendono a nascondere i post e i messaggi più vicini alle posizioni dei conservatori americani.
Inoltre, proprio a partire da gennaio 2021 entrerà in vigore nello Stato della California il “Comsumer Privacy Act”, in base al quale ogni cittadino sarà in grado di conoscere come siano state raccolte sui vari dispositivi le informazioni che lo riguardano e si ritiene che Joe Biden potrebbe far leva sull’esempio californiano per promuovere una legge federale che affermi lo stesso diritto e rimandi al GDPR nella severità verso aziende e organizzazioni che non trattino i dati personali in maniera accurata. Inoltre, la pandemia di Covid-19, che anche negli USA ha costretto milioni di persone a lavorare da casa, con conseguente massiccia produzione di impronte digitali, potrebbe essere l’ulteriore leva che spingerà ad agire in questa direzione in modo tale da garantire un corretto trattamento dei dati.
Le sfide sul versante europeo
Dall’altra parte dell’oceano, il ruolo della Commissione Europea e dei singoli Stati membri risulta fondamentale per contrastare il potere delle Big Tech e il DMA e il DSA – se approvati – sono destinati a cambiare le regole del gioco: limiterebbero l’abuso del monopolio delle Big Tech e restituirebbero equità alla concorrenza e, di conseguenza, dinamismo al settore.
La Commissione Europea sta cercando, altresì, di organizzare lo spazio digitale per i prossimi decenni; in questo modo si giungerà non solo a determinare il futuro del cyberspace, ma anche a impattare sulla quotidianità della vita di ognuno di noi, dal momento che sempre più elementi della nostra quotidianità saranno collegati ad internet.
Inoltre, non dimentichiamo che, oltre a implementare maggiori regolamentazioni, l’Unione Europea deve incentivare la nascita e crescita di un settore Tech europeo capace di tener testa a quelli delle altre potenze mondiali. Il presidente francese Macron ha affermato, recentemente, che “se guardiamo la mappa, abbiamo GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon) negli Stati Uniti, BATX (Baidu, Alibaba, Tencent, Xiaomi) in Cina e, in Europa soltanto il GDPR (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati)”, ovvero urge promuovere la creazione e crescita di società Tech europee in grado di contrapporsi ai concorrenti stranieri del settore.
Conclusioni
Le Big Tech vanno combattute su un vasto piano culturale (etico, ideologico e politico) e diventa quanto mai urgente sottoporne a regola i comportamenti. Attraverso la navigazione, gli acquisti online, i messaggi e le nostre scelte in termini di modalità di pagamento ed ogni informazione utile ai fini commerciali, abbiamo, infatti, fornito a queste nuove oligarchie tecnologiche i nostri dati, informazioni e metadati aggregati che possono essere utilizzati per ogni altro fine di potere.
Strumenti normativi europei come il Digital Service Act o il Digital Market Act sono la strada giusta per contrastare questo oligopolio. Come affermato dalla Commissaria UE per la Concorrenza Margrethe Vestager, in una recente intervista, il nostro futuro rischia di essere stabilito nelle sale riunioni delle Big Tech. Non dimentichiamolo.