Anche nell’ambito della presentazione del Recovery Fund Europeo, la Presidente di Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha richiamato la web tax come strumento per ripagare il i prestiti necessari per alimentare il fondo. Un nuovo segnale nei confronti delle big tech (Google, Apple, Facebook, Amazon) che controllano il mercato del digitale.
Andando però ad approfondire l’orientamento di un possibile intervento regolamentare – il documento attualmente più indicativo in relazione al Digital Service Act è una relazione del Parlamento Europeo del 24 Aprile 2020 – si comprende che la Ue punta molto su una regolamentazione commerciale delle piattaforme, ma non ponga la dovuta e necessaria attenzione alle questioni di cittadinanza digitale e di difesa non solo economica da trust di dimensioni notevoli e con risvolti pericolosi per la stessa democrazia.
Vediamo quali sono i punti salienti delle raccomandazioni alla Commissione riguardo la proposta di regolamentazione e i risvolti che meriterebbero un approccio più deciso.
La Ue in cerca di esperti per il Digital Service Act
Partiamo dalla notizia di un bando da 600 mila euro in corso di pubblicazione da parte della Commissione per ingaggiare esperti in tema di mercato al fine di redigere uno studio preparatorio al Digital Service Act, il regolamento europeo che la Commissione si è impegnata ad emanare nel corso dell’attuale mandato.
La notizia del bando relativo allo studio è stata riportata dall’agenzia Reuters ove si riportano alcuni “dovrebbe” in relazione a ipotesi di normativa anticoncorrenziale, in termini di apertura verso altri concorrenti per quanto riguarda i dati e la separazione di attività.
Il 20 maggio sempre la Commissione ha cominciato a distribuire un questionario con il quale chiede a diversi soggetti europei (imprese, organizzazioni, ecc) di rispondere a circa 43 pagine di domande con l’obiettivo di focalizzare i comportamenti dei cosiddetti “gatekeeper” digitali ovvero sempre Google, Apple, Facebook, Amazon.
Andando a cercare maggiori informazioni presso il sito della Commissione non si trovano molte cose, nel documento di presentazione della sua Agenda, l’allora candidata Presidente della Commissione Ursula von der Leyen fa solo un brevissimo cenno al tema del Digital Service Act ponendo nel proprio programma il tema di aprire il mercato digitale ad altri soggetti.
I punti salienti del documento del Parlamento Europeo
Il documento del Parlamento Europeo si concentra moltissimo sul tema del commercio elettronico e sulle garanzie di trasparenza affinché i soggetti piattaforma non “manipolino” le informazioni verso loro prodotti e più in generale garantiscano forme di separazione tra piattaforma e prodotti da commercializzare. La separazione è riferita ad esempio al caso di Amazon che da una parte vende i suoi prodotti e dall’altra quella dei suoi concorrenti e il possesso dei dati e di altre informazioni potrebbe favorirla.
I punti salienti della raccomandazione parlamentare si concentrano su alcune misure quali:
- La creazione di un meccanismo ex-ante in grado di correggere comportanti estranei alla legislazione prima dell’intervento delle autorità e dei necessari tempi di indagine ovvero di poter agire senza permettere che possano verificarsi violazioni della normativa;
- Il conferimento del potere alle autorità di identificare e colpire comportamenti quali: discriminazione nei servizi di intermediazione; ostacolo all’uso dei dati per l’accesso al mercato da parte di terzi e creazione di “lock-in”. Alle piattaforme deve inoltre essere imposto l’onere di dimostrare che il loro comportamento rispetti la normativa;
- Applicazione delle misure a tutte le piattaforme indistintamente senza che sia necessario l’intervento di un’autorità, ad esempio per pratiche che favoriscano i propri prodotti e in generale che limitino la libertà dei consumatori e di altre imprese di accedere o uscire dalle piattaforme (da notare come la questione sia più concentrata sul tema del consumo digitale che della cittadinanza digitale);
- Imposizione di regole affinché le piattaforme condividano dati, strumenti e quant’altro necessario per consentire la massima libertà del consumatore, per favorire questo viene raccomandato di esplorare tecnologie, standard e protocolli aperti.
In relazione al tema della cittadinanza digitale, la raccomandazione “sottolinea che la legge sui servizi digitali dovrebbe conseguire un giusto equilibrio tra le libertà del mercato interno e i diritti e i principi fondamentali sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” il ché è più o meno ciò che avviene anche oggi.
Il tema antitrust assente dal dibattito europeo
Da quanto emerso dalla lettura delle fonti ufficiali dunque, se da una parte l’impegno della Unione Europea va nella direzione di affermare una maggiore presenza della regolamentazione sulle piattaforme dall’altro non sembra che il dibattito europeo abbia raggiunto i livelli di quello statunitense o della Gran Bretagna (dove anche il partito conservatore ha fatto proposte di legislazione antitrust). Questo mentre i “gatekeeper” (come li definisce la Commissione) continuano ad integrare settori dilagando nel mondo dei contenuti cinematografici, nella finanza, in settori merceologici sempre più ampi, acquisiscono start-up che avrebbero il potenziale di diventare concorrenti, acquisiscono sempre più dati e leadership nel mondo dell’intelligenza artificiale.
È di qualche giorno fa la notizia che in india Google ha acquisito quote del 5% di Vodafone Idea, il secondo più importante operatore telecom del paese a seguito di Facebook che ha acquisito il 9,9& di Reliance Jio Platforms, sempre una telecom indiana. Il mercato indiano non di rado è stato “palestra” dove provare strategie nuove, ormai da tempo i giganti del web hanno proprie reti, stendono fibra sotto gli oceani e in alcune località a livello internazionale per connettere i loro datacenter.
Non dovrebbe stupirci se da qui a pochi anni la crisi degli operatori di telecomunicazione unita agli interessi delle big tech non si trasformasse nell’offerta di servizi a banda larga da parte di Google o Amazon, magari integrata dei servizi di contenuti cinematografici.
L’integrazione tra i dati in possesso degli operatori telecom e le reti di comunicazione apre ulteriori scenari di impiego per i dati dei cittadini e delle imprese e fa capire ancora di più come sia necessaria una risposta più visionaria e audace: una mera regolamentazione del commercio elettronico così come emerge dai documenti ufficiali sin qui prodotti dalla UE, non sembra più sufficiente.
Contrastare il potere delle piattaforme: serve anche alla Ue uno “Sherman Act”?
La questione ha una dimensione molto più complessa e coinvolge sia il tema delle fake news che il tema dell’esercizio delle opinioni nei luoghi più frequentati della rete (i social) che sono luoghi di proprietà delle piattaforme e sono regolati con termini e condizioni fissati unilateralmente.
Senza contare i risvolti sociali, per le influenze che queste piattaforme possono determinare sulla percezione della realtà (ad esempio manipolando le timeline dei social o producendo contenuti cinematografici discriminatori) e sui comportamenti di masse di cittadini. La concentrazione in poche mani della capacità di profilazione e discriminazione di informazioni unita alla capacità di elaborare enormi contenuti informativi multimediali (testo, suono, voce, video, numeri, immagini) rende il tema centrale per lo sviluppo democratico e liberale della nostra democrazia.
Negli articoli sulla stampa che hanno ripreso il lancio dell’agenzia Reuters sopra citato si sono un po’ esagerate le cose facendo ipotesi un po’ eccessive in relazione a possibili legislazioni antitrust stile Sherman Act.
Lo Sherman act, grazie al quale nei primi del ‘900 fu sciolto ad esempio il monopolio della Standard Oil negli USA e il Telecomunication Act del 1996 che deregolamentò il settore delle telecomunicazioni prevedevano un impatto molto più forte per il ripristino del mercato in senso liberale, nel quale vi fossero pari condizioni di partenza tra i diversi soggetti concorrenti. Se oggi abbiamo internet così presente lo dobbiamo anche alla legislazione antitrust che ha aperto il mercato delle telecomunicazioni.
Oggi negli USA è in corso un dibattito su quale possa essere l’ipotesi migliore per contrastare il potere delle piattaforme, ne ho parlato in un mio articolo, in generale si va dall’ipotesi di smembrare i monopoli sulla scia dello Sherman Act all’ipotesi di rendere remunerativi i dati dei cittadini applicando delle regole che ne garantiscano la privacy e vendendoli per raccogliere denaro con cui alimentare un fondo pubblico sul modello norvegese.
Conclusioni
Leggendo ciò che ora è disponibile da parte della Commissione non si vede ancora una riflessione più ampia su come le piattaforme stiano occupando spazi di cittadinanza pubblica e li stiano trasformando o utilizzando a fini commerciali con l’uso dei dati.
Questo, unito all’integrazione di sempre più settori all’interno della stessa azienda e con una capacità di operare all’”unisono” su livello planetario rende questi soggetti meritevoli di maggiore attenzione da parte della politica.
Se l’Unione europea vuole mettersi nella condizione di acquisire un ruolo nel XXI secolo non può rimanere timida nel disegno delle politiche del digitale ma, oltre ad una politica industriale capace di pianificazione e direzione, dovrebbe avere un sistema di regole che riaprano i giochi del mercato e dei diritti di cittadinanza digitale. Oggi ancora non emergono questi contorni dal lavoro della Commissione e speriamo di poterli vedere come conseguenza del bando annunciato dall’agenzia Reuters e che la Commissione starebbe pubblicando per lo studio di questi temi.