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Tassazione sulle plusvalenze Bitcoin al 42%, s’incendia il mondo cripto italiano: ecco gli impatti possibili



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Le dichiarazioni del Viceministro Maurizio Leo sull’innalzamento della tassazione sulle plusvalenze da Bitcoin dal 26 al 42% hanno scatenato proteste nel mondo cripto italiano. Personalità del settore, come Paolo Ardoino di Tether, criticano la misura definendola illogica. Gli operatori chiedono un confronto politico per evitare ripercussioni negative sull’industria

Pubblicato il 18 ott 2024

Alberto Franco

Professore a Contratto di Diritto Tributario presso l’Università di Torino, Ph.D. Of Counsel, Genta & Cappa



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Sono bastate poche parole, pronunciate dal Viceministro dell’Economia Maurizio Leo pochi giorni fa, per incendiare l’intero mondo cripto italiano nello spazio di una giornata. Il Viceministro Leo, infatti, illustrando nella conferenza stampa del 16 ottobre scorso le misure fiscali adottate dalla precedente riunione del Consiglio dei Ministri[1], ha affermato testualmente:“un tema importante riguarda le plusvalenze da Bitcoin… dove, visto che questo fenomeno va diffondendosi, prevediamo un aumento della ritenuta dal 26 al 42 per cento”.

Tassazione Bitcoin al 42%: deflagra la protesta degli addetti ai lavori

Pochi secondi, quindi, quasi un inciso in una conferenza stampa molto più ampia, che però hanno fatto deflagrare la protesta di numerosi addetti ai lavori della cryptoeconomy italiana, dai commentatori, agli exchange, sino alle personalità più note anche a livello mondiale come Paolo Ardoino, CEO di Tether.

Proprio Ardoino, in una intervista pubblicata su La Stampa del 17 ottobre, ha condannato senza mezzi termini questa decisione del Governo come “illogica e pericolosa…avrà un unico effetto: aumenterà la fuga di capitali e di cervelli dal nostro Paese” affermando altresì che “è una scelta sbagliata, illogica e senza precedenti. Da italiano mi ferisce. Tassare le rendite più di tutte le altre è il culmine di una guerra al settore che va avanti da 10 anni”[2].  

L’opinione del CEO di Tether è largamente condivisa dai cripto-investitori e dagli addetti ai lavori italiani, e non parliamo di cifre irrisorie, visto che il numero di possessori italiani di cripto-attività è stimato essere pari a 2,5 milioni (anche se altre ricerche, come quella del Politecnico di Milano, mettono l’asticella più in alto, a 3,6 milioni) per un ammontare di cripto detenute pari a circa 2,5 miliardi di euro. Inevitabile quindi che la notizia del possibile aumento della tassazione al 42% abbia messo in allarme un numero non trascurabile di contribuenti italiani.

È necessario quindi fare un po’ di chiarezza su questa possibile misura e sugli impatti che la stessa può avere per i cripto-investitori italiani.

Dobbiamo innanzitutto considerare che questo possibile aumento è tutt’altro che scontato: è certamente possibile che, nelle more dell’approvazione della legge di bilancio per il 2025, il testo definitivo sia significativamente diverso da quello “di partenza”.

Tassazione Bitcoin al 42%: le perplessità nella maggioranza di Governo

Del resto, anche autorevoli esponenti della maggioranza di governo hanno già manifestato le proprie perplessità sull’aumento della tassazione al 42%: Giulio Centemero, membro della commissione Finanze e Coordinatore Nazionale Dipartimento Innovazione della Lega, ha infatti postato su X quanto segue: “sul tema tassazione crypto auspico un confronto approfondito con gli operatori e le associazioni di categoria in Commissione. Innalzare così di botto la tassazione è controproducente. Magari mi sbaglio ma proprio per questo è opportuno confrontarsi”[3]. Questo conferma che non vi è una assoluta unità di vedute nemmeno nella maggioranza di governo.

Scatta il lobbying degli operatori italiani

Bene hanno fatto quindi gli operatori italiani (exchange, altre piattaforme, commentatori, appassionati etc.) ad attivarsi subito per fare un’attività di sano lobbying per tutelare i propri interessi e quelli dell’intera industria cripto nazionale. Quest’attività è svolta normalmente da tutti i settori dell’economia, ed è tutt’altro che da intendersi in senso deteriore, bensì come strumento per far riconoscere i propri legittimi interessi – e quelli dell’intera industria cripto – dalla parte politica e di governo.

Ritengo tuttavia che queste attività, per avere un qualche tipo di successo, si debbano svolgere nelle sedi opportune, certamente non con le petizioni su Change.org – se consideriamo che la Costituzione, all’articolo 75, prevede che non è nemmeno ammesso il referendum popolare sulle leggi tributarie e di bilancio, figuriamoci quale valore per il legislatore può avere una petizione online.

L’iniziativa di The Crypto Gateway: le perplessità in una mail al viceministro

Un’iniziativa a mio avviso interessante, e che può essere replicata ed estesa con facilità, è stata quella di Luca Boiardi (The Crypto Gateway), che ha rappresentato direttamente via e-mail alla Segreteria del Viceministro le sue perplessità[4], facendo presente alcuni punti che anche dal punto di vista “tecnico” e strettamente tributario paiono corretti, ovverosia:

  • “l’incremento dell’aliquota proposto … creerebbe una situazione di netta iniquità, addirittura discriminatoria rispetto agli altri investimenti finanziari, tassati tutti al 26%”;
  • “Si tratta di una asset class già di per sé complessa da un punto di vista fiscale: l’utente deve dichiarare di suo pugno, ci sono non pochi dubbi e incognite e per un investitore è pressoché impossibile dichiarare correttamente senza l’ausilio di un software. Le assicuro per esperienza che questo già scoraggia molto il contribuente. Incrementare l’aliquota del 61% avrebbe l’effetto certo di renderlo ancora più disincentivato e spingerlo verso l’acquisto su piattaforme no-kyc (anonime) (con maggiori rischi anche per l’investitore stesso) e la detenzione non dichiarata. L’investitore con grandi capitali sarebbe incentivato a mobilitare la sua residenza fiscale dall’Italia verso Paesi a minor imposizione, risultando tra l’altro in un gettito fiscale minore per lo Stato italiano. L’investitore piccolo sarebbe invece incentivato a rischiare le sanzioni non dichiarando, rispetto alla certezza di dover versare in tasse quasi metà del profitto”
  • “Una tassazione così spropositata disincentiverebbe l’utente ad avvicinarsi a questa industria, penalizzando nel contempo:
    • Lo sviluppo e l’innovazione in Italia (trattandosi di un settore in rapida crescita e con grande potenziale, potrebbe creare numerosi posti di lavoro negli anni);
    • Le aziende che hanno deciso di investire in Italia in questo settore, aprendo attività nel nostro Paese”.

La “disparità di trattamento” rispetto agli altri asset finanziari

Riguardo al primo punto, Boiardi ha ragione nel sostenere la “disparità di trattamento” rispetto agli altri asset finanziari. Nel corso del tempo c’è stata una uniformazione della tassazione dei redditi finanziari intorno all’aliquota del 26%, e anche la riforma della fiscalità dei criptoasset recata con la legge di bilancio 2023 è andata in questa direzione (correttamente, ad avviso di chi scrive).

È quindi del tutto asistematico, e decisamente peculiare, andare a fissare una nuova aliquota, ovverosia il 42%, che non trova praticamente riscontro nel nostro sistema tributario, e che si avvicina all’aliquota massima IRPEF (43%). Nondimeno, questa aliquota rischierebbe di essere discriminatoria verso gli stessi strumenti finanziari che incorporano le cripto-attività come sottostante, come i fondi e gli ETP.

Le valutazioni sulla costituzionalità della norma

Non mi spingerei a sostenere che tale discriminazione sia incostituzionale, o comunque a rischio di costituzionalità, per violazione dell’articolo 3 della Costituzione (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”).

Primo, perché ovviamente le valutazioni di costituzionalità vanno fatte sulla base del testo della norma, e siamo ben lungi dall’avere anche solo un’idea di questo testo; secondo, in estrema sintesi (sintesi non facile, in quanto il diritto costituzionale tributario è materia non certo semplice) perché in via di principio rientra nella sfera del legislatore discriminare tra fattispecie imponibili e tra diversi livelli di tassazione, dovendo unicamente considerare il limite della ragionevolezza. In altri termini, il legislatore può anche fissare imposte diverse per fattispecie diverse, basta che questa discriminazione non sia irragionevole, cioè basata su criteri non razionali.

La possibile incompatibilità con l’articolo 47 della Costituzione

Certo, si potrebbe affermare “a caldo” che un’aliquota del 42% potrebbe invero presentare qualche problema di compatibilità con l’articolo 47 della Costituzione, nella parte in cui si afferma che “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”; orbene, laddove si ammette che in effetti Bitcoin e le cripto-attività siano in effetti strumenti di investimento, e che il risparmio vada incoraggiato e tutelato “in tutte le sue forme, si potrebbe forse sostenere che un’aliquota del 42% non vada nella direzione del dettato costituzionale. Anche questa, tuttavia, mi pare una strada molto sdrucciolevole e che dovrebbe essere oggetto di un importante approfondimento.

Disincentivi alla dichiarazione dei cripto-asset e alla domanda interna

Molto pertinenti ed efficaci sono le osservazioni citate al secondo e al terzo punto di cui sopra, ovverosia da un lato il disincentivo ai cripto-investitori di “mettere in regola” dal punto di vista fiscale la propria posizione cripto, e dall’altro lato le conseguenze che una maggiore tassazione sui criptoasset avrebbe in termini di riduzione della “domanda interna” di questi servizi.

Sono considerazioni senz’altro appropriate; se la possibile riduzione della domanda interna è evidente (e rappresenta un altrettanto evidente problema), qualche considerazione in più si può fare per il disincentivo ai cripto-investitori nel dichiarare i propri criptoasset.

È vero che un contribuente potrebbe avere un (ulteriore) incentivo a non dichiarare le cripto-attività detenute, anche in ragione del fatto che gli strumenti di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria non sembrano allo stato attuale tali da consentire verifiche fiscali “di massa” sui cripto-investitori che si mantengono, per così dire, al di fuori delle piattaforme con KYC e delle aree più “regolamentate” del settore.

Questa ovviamente è solo una considerazione di massima e non è ovviamente un invito a dirigersi verso “aree grigie” del mondo crypto – anche perché quando si valutano gli strumenti di accertamento a disposizione dell’Amministrazione finanziaria occorre guardare almeno a 5 anni nel futuro, dato che i termini per l’accertamento sono piuttosto lunghi, e temo nessuno abbia la sfera di cristallo per comprendere come saranno le verifiche fiscali sui criptoasset nel 2030.

È pur vero tuttavia che, da parte dei cripto-investitori, la domanda “ma come fanno ad accertarmi se detengo delle criptovalute sul mio wallet?” è una delle domande più frequenti che un professionista riceve in sede di consulenza, a dimostrazione del fatto che Boiardi ha assolutamente ragione nello scrivere “l’utente deve dichiarare di suo pugno, ci sono non pochi dubbi e incognite e per un investitore è pressoché impossibile dichiarare correttamente senza l’ausilio di un software. Le assicuro per esperienza che questo già scoraggia molto il contribuente”.

La lunga strada verso l’approvaizone della legge di Bilancio

In conclusione, quindi, sembra evidente che l’intero mondo crypto italiano abbia (correttamente e comprensibilmente) accolto malissimo la notizia di questo possibile aumento della tassazione, e che da più parti stiano arrivando al Governo richieste di rivedere questa posizione.

La strada per l’approvazione della legge di bilancio è ancora lunga, per cui è auspicabile che l’attivazione di un confronto con la parte politica possa in effetti dissuadere da un incremento così significativo della tassazione, e così nefasto per un settore che ha comunque ancora bisogno di un “terreno fertile” che possa consentirne una crescita e uno sviluppo adeguati.

Note


[1] https://www.governo.it/it/media/consiglio-dei-ministri-n-100-conferenza-stampa-giorgetti-leo/26822. La parte sulle plusvalenze su cripto-attività nel video della conferenza stampa si trova al minuto 23:29

[2]L’aumento delle tasse su Bitcoin è un errore – Farà scappare dall’Italia cervelli e capitali”, La Stampa, 17 ottobre 2024

[3] M. Bussi, Bitcoin, in Italia l’aliquota sulle plusvalenze salirà al 42% nel 2025. La nuova stretta nella manovra approvata dal governo, Milano Finanza, 17.10.2024

[4] https://x.com/crypto_gateway/status/1846847014048305467

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