La gestione dei dati personali propedeutici allo svolgimento delle attività di telemarketing si fonda spesso su processi opachi e di dubbia legittimità: una fase di raccolta priva di adeguata informativa e assistita da basi giuridiche inadeguate, oltre che una data retention policy contraria alle prescrizioni vigenti in materia.
Il fastidio di ricevere telefonate inopportune – ne partono 800 mila al giorno, come ci spiegano le statistiche – in definitiva, non è l’unica chiave di lettura. Forse, in realtà, è la meno importante.
Il punto, invece, sta nel comprendere quanta energia siano in grado di sprigionare i nostri dati personali, che non sono affatto insignificanti atomi, e non possiamo, con troppa leggerezza, affidarli a sconosciuti che stanno imparando fin troppo bene come utilizzarli non per inseguire le nostre scelte ma per guidarle.
Analisi dei dati e orientamento:
Pariamo da un dato incontrovertibile in questa era dominata dal digitale: dappertutto si intravedono mercati onnivori di informazioni. Chi vi opera attinge ad enormi quantitativi di dati personali e, di rimando, al termine di sofisticati processi di analisi, sviluppa strategie atte ad orientare le preferenze e i gusti dei suoi utenti di riferimento.
Non è un segreto che tra le professioni più richieste dal mondo del lavoro, oggi, ci siano quelle indispensabili per alimentare tanto il settore dell’analisi quanto quello dell’orientamento, dal data scientist al digital e social media manager.
“Orientare” è un verbo che ha tra i suoi sinonimi “indirizzare”, “spingere”, “condizionare” e come conseguenza implicita una, non sempre percepita, limitazione della propria effettiva libertà di scelta. L’espressione, però, diventa perfino di tendenza se, anglicizzata, viene utilizzata per definire la professione del momento: l’influencer.
Influencer marketing, la ricerca di personalità che sappiano farsi notare e imitare dagli individui comuni per riuscire a vendere meglio la merce proposta, un business che, secondo le ultime stime, in periodo di pandemia ha generato un giro d’affari che ha sforato i 14 miliardi di dollari.
Il commercio ma non solo: idee, opinioni, preferenze politiche, chi lavora in questi ambiti sa che deve raccogliere dati in grande quantità, deve saperli analizzare, e se riesce a compiere a dovere queste prime due operazioni ottiene gli strumenti per affrontare la terza: l’orientamento.
Il dato personale si è rivelato simile all’atomo, entità di per sé minuscola ma in grado di sprigionare, adeguatamente trattato, un’energia enorme, utilizzabile con grande beneficio o con discreto nocumento per la collettività.
Un ruolo importantissimo, in questi meccanismi, è affidato al telemarketing.
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Il ruolo del telemarketing
A rendere il fenomeno meritevole della massima attenzione sono, in primo luogo, le sue dimensioni: secondo gli ultimi dati disponibili, sono attive in Italia circa 104,4 milioni di SIM, e le telefonate effettuate per fini commerciali, con un trend in costante crescita, sono circa 800 mila al giorno.
Quello quantitativo, tuttavia, è solo il dato di più immediata percezione, altri non sono così evidenti, ma non per questo meno importanti.
Il posizionamento strategico del telemarketing nelle dinamiche del commercio, difatti, lo colloca in una sorta di crocevia, a valle di un processo e a monte di un altro, entrambi essenziali per il business di riferimento.
Immaginiamolo in piccolo, con tutte le approssimazioni giuridiche del caso, poi proviamo a proiettarlo in grande.
Supponiamo quindi di andare in vacanza, di arrivare alla reception dell’albergo, di compilare il solito modulo con i nostri dati e di prestare il consenso affinché quei dati vengano utilizzati per legittimare qualche operazione in più rispetto a quelle strettamente necessarie per la gestione del nostro soggiorno.
Su queste basi, l’albergo potrà trasferire quelle informazioni ad un tour operator il quale, a questo punto, conoscerà alcune cose piuttosto utili su di noi: come minimo saprà chi siamo, la probabile composizione della nostra famiglia, in che modo rintracciarci, che utilizziamo alberghi di un certo tipo e che, almeno in un caso, lo abbiamo fatto in una determinata zona.
Siamo potenziali clienti.
Al termine di un semplice (almeno in questo caso) processo di analisi, potremo essere contattati e ci potrà essere proposta una nuova vacanza, che intercetti i gusti che il tour operator avrà ritenuto di poterci attribuire.
Provare a venderci un nuovo viaggio, tuttavia, non rappresenterà solo la fine di un processo ma anche l’inizio di un altro, perché quell’occasione di contatto consentirà di raccogliere nuove informazioni, ancora più dettagliate, sulle nostre preferenze.
Altri dati personali, in sostanza, funzionali ad arricchire il nostro profilo originario e consentire al tour operator di cui sopra di fornirci, in un secondo momento, una vacanza ancor meglio cucita sulle nostre aspettative.
Alla terza occasione, credetemi, non saremo più noi, ma ci penserà il tour operator a spiegarci che tipo di vacanza desideriamo.
Il ciclo del dato, una spirale che si autoalimenta
Il ciclo del dato, nelle strategie commerciali (e non solo commerciali), non verrebbe mai rappresentato come una retta raccolta-analisi-utilizzo-cancellazione, ma più opportunamente come una spirale che, autoalimentandosi, sovrapporrebbe la fase di utilizzo a quella propedeutica a nuova raccolta.
Uno dei connettori, tra i più funzionali, di queste due fasi è rappresentato proprio dal telemarketing.
Ora bisogna proiettare questo processo in grande, anzi, in grandissimo, immaginare che l’albergo del nostro esempio, fonte primaria di raccolta dei dati, stia al web come una goccia d’acqua sta al mare, e che il tour operator disponga tecnologie futuristiche, intelligenza artificiale, importanti risorse finanziarie, capacità di analisi sofisticatissima.
Se ci vorrà sugli scii, il web inizierà a suggerirci che quest’anno le coste saranno invase dalle alghe e ci segnalerà tutti i rischi dell’esposizione ai raggi UV, aprendo ogni tanto qualche banner pubblicitario su paesaggi di montagna da favola, mostrandoci l’attore del momento sorridente su uno ski-lift.
Dal commercio alla politica: i rischi di manipolazione
La declinazione politica di questo processo è, ovviamente, quella che più dovrebbe allarmare.
Era il lontano 2004 quando l’indimenticato Giovanni Buttarelli, partecipando alla 26ma International Conference on Privacy and Personal Data Protection, spiegò: “Se è vero, dunque, che la comunicazione politica appare contrassegnata da una maggiore meritevolezza rispetto a quella commerciale, è altrettanto vero che la particolare delicatezza del suo contenuto può comportare fenomeni di “manipolazione” dei destinatari con conseguenze più serie di quanto avvenga con il marketing commerciale: mentre quest´ultimo si “limita” a indurre il potenziale cliente all´acquisto di un prodotto o di un servizio, il marketing politico può incidere sul voto dell´elettorato con gravi ripercussioni sull´andamento della vita politica”.
Politica e commercio, tuttavia, in questo contesto non appartengono a mondi differenti: la profilazione commerciale è invece molto utile al marketing politico.
Se il tour operator del nostro esempio trasferisse i suoi dati al politico di turno, questi saprebbe esattamente che tipo di investimento si aspettano i suoi potenziali elettori, e se la maggioranza, contro il volere dei suoi stakeholders, desiderasse maggiore attenzione ai temi della montagna, il web inizierebbe a spiegare tutti i rischi delle slavine, il problema dell’inquinamento ad alta quota, mentre un altro banner pubblicitario inquadrerebbe il cantante del momento mentre sorseggia felice un cocktail in spiaggia.
Le riflessioni sul telemarketing sono spesso affrontate ponendo forte accento sul concetto di fastidio, di qui le iniziative volte a limitarne la pervasività, come la recente estensione del Registro delle opposizioni anche ai numeri cellulari.
Si tratta, però, come abbiamo visto, di un approccio del tutto riduttivo.