Dopo anni di dibattito, di recente è entrato in vigore un Decreto MIBAC, preannunciato già a novembre scorso dal ministro Bonisoli, che tratta il tema dei tempi di sfruttamento delle opere cinematografiche di nazionalità italiana successivamente all’uscita del film in sala.
Due e cruciali gli obiettivi:
- massimizzare la reddittività di un film salvaguardando il passaggio dell’uscita in sala (che ha valenze anche sociali),
- fronteggiare la pirateria (stimata in Italia in 686 milioni di euro/anno, un valore superiore a quello del totale box office pari nel 2018 a 555 milioni),
Obiettivi resi ancora più urgenti a seguito delle polemiche per l’uscita in sala e contemporaneamente su Netflix del film “Sulla mia pelle”della Lucky Red (e collegate dimissioni di Andrea Occhipinti dalla Presidenza di ANICA Distributori) e a seguito della vittoria al Festival di Venezia 2018 del film di Cuaron “Roma” prodotto sempre da Netflix (e distribuito malamente nelle sale italiane, per protesta anti Netflix, Ndr.).
La politica ed i vari addetti ai lavori interessati hanno insomma, finalmente, trovato il modo per fare un passo avanti rispetto ad una situazione ingessata da ormai troppi anni.
Un decreto Anti-Netflix?
I titoli di giornale più semplicistici descrivono il “Decreto Bonisoli” come una “norma anti-Netflix”; in realtà, in termini più generali, è stata semplicemente sancita, come in altri paesi, la primazia dell’uscita in sala. Vale a dire, in forma di legge dello Stato e non più solo di mera pratica commerciale basata sui rapporti di forza fra i vari attori interessati, per i film italiani che accedano a finanziamenti pubblici sono stati confermati quei 105 giorni che già vigevano di fatto fra la prima uscita nei cinema e gli sfruttamenti successivi.
Ma a questa novità si affianca anche un ulteriore importante passaggio che sta nella riduzione di quel limite a soli 60 giorni per i film che escano in meno di 80 schermi e non raggiungano nelle prime tre settimane i 50.000 spettatori (e si tratta dei 3/4 delle circa 150 “opere cinematografiche italiane ammissibili ai benefici di legge” che sono realizzate ogni anno).
Inoltre, riguardo alle cosiddette uscite “ad evento” (della durata di soli tre giorni settimanali esclusi i venerdì, sabato, domenica e festivi), destinate ad essere sempre più praticate visto come sta ben rispondendo il mercato, il vincolo temporale di fruibilità post sala è ridotto ancora di più a soli 10 giorni.
Le varie associazioni di categoria del settore audiovisivo hanno accolto con favore il decreto che in effetti rappresenta un momento di svolta.
Cosa dicono i dati del box-office
Nel frattempo i dati di box office nei mesi fra ottobre e gennaio stanno indicando che:
- in termini complessivi il trend è abbastanza positivo con buoni e talvolta ottimi ricavi per molti fra i titoli migliori
- le condizioni meteo restano sempre una variabile di grande impatto sull’affluenza nelle sale
- i film più validi per ciascun genere performano quasi sempre bene, mentre per quelli a più basso budget o con scarsa componente originale, ad esempio l’intrattenimento leggero che pure è sempre molto gradito, la preferenza del pubblico volge crescentemente ad una agevole visione da casa anziché al consumo nelle sale.
Il (vero) deficit del mercato cinematografico italiano
Al di là di questi promettenti primi mesi, non va dimenticato che il grande deficit del mercato cinematografico italiano è però soprattutto legato alla brevissima durata della “alta stagione”, limitata nel nostro paese ai mesi fra ottobre e aprile. Da molto tempo da questo limite deriva uno stallo, se non talvolta una leggera decrescita, del numero complessivo annuo di biglietti venduti (attorno ai 100 milioni, laddove in Francia il valore è più che doppio). Il problema andrebbe aggredito con nuove strategie di marketing; si tratta di riconquistare alla sala i più giovani nonché quella metà della popolazione italiana che non vi mette piede da moltissimo tempo.
E’ quindi auspicabile che la concreta e positiva discussione culminata nei giorni scorsi con la pubblicazione del decreto prosegua ponendo l’attenzione su ulteriori altri rilevanti aspetti ad esso collegati:
- Nell’ampia indicazione delle eccezioni ai 105 giorni massimi di blocco non è stato anche incluso un distinguo per aree geografiche che potrebbe invece sopperire alla carenza di strutture di offerta in alcune parti del paese (una recente ed interessante ricerca Istat 2018 “I cittadini e il cinema” , che analizza come è evoluto il rapporto fra i cittadini ed i cinema negli ultimi 25 anni, segnala che il 18% di quella metà di italiani che non vanno mai nelle sale vi rinuncia per la semplice ragione della loro assenza nelle proprie vicinanze. Per farsi un’idea: rispetto ai 14.000 abitanti per schermo del Lazio, in Calabria il rapporto è appena di uno ogni 50.000). A colmare tale limite, e senza danno per alcun soggetto economico, le tecnologie consentirebbero già oggi di offrire film in Video On Demand parallelamente alla sala, con la stretta limitazione alle specifiche aree svantaggiate (la cosiddetta georeferenziazione).
- Non è stato approfondito un dibattito, che invece negli Stati Uniti è in fase avanzata, riguardo alla possibilità di offrire i film al pubblico in modalità Transaction Video On Demand (a pagamento “one by one”), parallelamente all’uscita cinema, ad un prezzo elevato pari ad almeno 30 euro, e ribaltando una parte dei conseguenti incassi alle sale in quel modo “penalizzate”.
- Non è stata mantenuta l’opzione del “day and date” (uscita contemporanea in sala e a noleggio) che fino a ieri veniva invece permessa a qualche sito web. Via pc era infatti possibile la visione di alcuni titoli in anteprima – sebbene in misura opportunamente limitata nel numero massimo di fruizioni – magari parallelamente alla loro presentazione in qualche festival. Tale formula si era rivelata di particolare aiuto per i piccoli film indipendenti, che più degli altri necessitano di iniziale supporto, soprattutto per i lanci nei periodi meno favorevoli dell’anno.
Il settore audiovisivo, a livello sia globale sia nazionale, sta mutando in maniera sempre più rapida e complessa, e tutti i protagonisti del settore sono chiamati a cercare soluzioni innovative rispetto al passato. Lo sbarco di Netflix in Italia a fine 2015, e più in generale lo sviluppo di tutte le offerte VOD nel nostro paese, hanno contribuito a ridestare discussioni da tempo in sospeso su come conciliare una sana politica industriale e culturale di settore e le nuove istanze dei cittadini/consumatori.