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Terre rare: la difficile rincorsa Ue al primato della Cina



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La Cina detiene il primato sulle terre rare sia dal punto di vista di presenza nel suolo sia da quello del loro sfruttamento, che ormai dura da oltre trent’anni. Un vantaggio ormai inespugnabile. Ecco perché la proposta di legge Ue sulle materie prime critiche non basterà a diventare indipendenti dalla entro fine decennio

Pubblicato il 4 ott 2023

Marco Santarelli

Chairman of the Research Committee IC2 Lab – Intelligence and Complexity Adjunct Professor Security by Design Expert in Network Analysis and Intelligence Chair Critical Infrastructures Conference



terre rare

La Cina detiene il primato di terre rare, così come il Medio Oriente detiene quello del petrolio, e l’Europa si sta muovendo per sfruttare al massimo le proprie risorse per rendersi indipendente da Pechino, senza comprometterne i rapporti. Vediamo cosa sono le terre rare e perché l’Europa ne ha bisogno.

Di cosa parliamo quando parliamo di terre rare

Quando parliamo di terre rare ci riferiamo ai metalli essenziali, che, grazie alle loro proprietà chimiche, possono essere sfruttati per realizzare prodotti di alta tecnologia. Si tratta di diciassette elementi chimici, ossia cerio (Ce), disprosio (Dy), erbio (Er), europio (Eu), gadolinio (Gd), olmio (Ho), lantanio (La), lutezio (Lu), neodimio (Nd), praseodimio (Pr), promezio (Pm), samario (Sm), scandio (Sc), terbio (Tb), tulio (Tm), itterbio (Yb) e ittrio (Y).

Con l’aumento della popolazione globale e lo sviluppo tecnologico sta aumentando necessariamente anche il consumo delle risorse naturali, da qui il ricorso alle terre rare, la cui estrazione ha un grande impatto sull’ambiente. Le grandi proprietà magnetiche e conduttive di questi elementi hanno permesso, nel tempo, di realizzare prodotti di largo consumo come televisori, memorie dei pc, batterie, cellulari, generatori di turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e auto elettriche, ma anche di ridurre le dimensioni dei dispositivi elettronici, basti pensare al walkman che, grazie ad un magnete in samario, oggi sostituito con un magnete al neodimio, è potuto diventare un iPod, molto più piccolo e compatto.

Le terre rare sono presenti in tutto il mondo, ma in maggiori quantità in Brasile, Russia e Cina, e quest’ultima è il principale produttore, con il più grande giacimento a Baotou.

Se questi elementi permettono la produzione di prodotti che, tra gli altri, favoriscono lo sfruttamento dell’energia rinnovabile, di contro c’è la poca sostenibilità dal punto di vista ambientale della loro estrazione e del loro raffinamento, processi che creano scarti tossici rilevanti e che hanno dannose conseguenze, quali la perdita di biodiversità, l’inquinamento idrico, l’erosione del suolo e la formazione di pozzi di assorbimento.

Riciclare i RAEE, Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, permette di limitare le nuove estrazioni e, di conseguenza, anche i danni ambientali che comportano.

Il primato della Cina

L’affermazione risalente al 1987 da parte del leader cinese del tempo, Deng Xiaoping, durante la visita del giacimento cinese di Baotou, “Il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina ha le terre rare” rende perfettamente qual è la situazione mondiale. Anche se, come abbiamo già accennato, le terre rare sono presenti su tutto il globo terrestre, la Cina ne detiene il primato, sia dal punto di vista di presenza nel suolo sia da quello dello sfruttamento strategico, che ormai dura da oltre trent’anni. La Cina, infatti, domina per la produzione globale di ossidi di terre rare, il prodotto grezzo estratto dalle miniere da cui si possono separare gli elementi delle terre rare.

Rispetto ai dati statunitensi, che registrano un aumento della produzione non cinese di ossidi da terre rare dal 2015 al 2022 di ben quattro volte, arrivando a 90.000 tonnellate in 7 anni, la Cina dimostra di non essersi mai fermata, dato che risulta aver prodotto fino a 210.000 tonnellate nel 2022.

Il dominio della Cina non riguarda solo l’estrazione delle terre rare, ma anche i processi successivi, la separazione degli elementi dagli ossidi, la raffinazione e la forgiatura in leghe, prima della trasformazione finale in magneti.

Grazie ad una strategia industriale concertata e a lungo termine, supportata da finanziamenti statali, la Cina ha dalla sua parte un vantaggio competitivo ormai inespugnabile. Inoltre, Pechino sta potenziando i controlli protezionistici sulle importazioni e sulle esportazioni di terre rare e materiali lavorati, per tutelarsi a livello globale, e sta valutando anche l’eventuale divieto di esportare la proprietà intellettuale per la tecnologia di produzione dei magneti.

Come si colloca l’Ue sullo scacchiere delle terre rare

Secondo quanto riportato da Project Blue, società di consulenza sui metalli critici, il mercato globale delle terre rare ammonterà a soli 9 miliardi di dollari nel 2023, ma si prevede che in 10 anni sarà più che raddoppiato fino a raggiungere i 21 miliardi di dollari. La ERMA, Alleanza europea per le materie prime, prevede che l’industria automobilistica e della mobilità dell’UE, in cui i magneti permanenti svolgeranno un ruolo importante, crescerà fino a 400 miliardi di euro entro il 2030.

Non è difficile pensare che la domanda di terre rare sarà man mano in aumento per favorire gli sviluppi delle varie tecnologie, dalle dimensioni più ridotte dei device alla migliore manutenzione degli stessi.

Come si colloca l’Europa? Ton Bastein, scienziato del TNO, un istituto di ricerca dei Paesi Bassi, ha affermato che “Non ci sono riserve europee significative dimostrate, non c’è tecnologia di riciclaggio disponibile o in fase di implementazione e non c’è quasi nessuna tecnologia di lavorazione a valle, tranne che in Cina. Sono un simbolo di tutti i problemi che l’Europa ha nelle materie prime critiche”.

Purtroppo, la dipendenza dei Paesi europei dalla Cina per componenti cruciali, anche per campi in cui sono leader mondiali, come ad esempio quello della produzione di turbine eoliche, veicoli elettrici o altre innovazioni “green”, incide notevolmente sulla crescita del settore. Va sottolineato anche che, così come sostiene anche l’ERMA, la manodopera europea è anche più costosa di quella cinese e la domanda europea di terre rare è destinata a quintuplicarsi entro il 2030.

L’ascesa della Cina sembra inarrestabile, basti pensare che nel 2022 la Cina ha registrato il 70% della produzione minerarie di terre rare, rispetto al 58% del 2021, e l’Europa, nel frattempo, sta cercando alternative valide. A quanto pare, l’Australia, in cui ha sede la miniera di Mount Weld, potrebbe esserlo, considerando che fornisce attualmente il 6% della produzione mineraria mondiale di terre rare, ma anche gli Stati Uniti, con la loro miniera californiana di Mountain Pass, i quali hanno appena rimesso in funzione un impianto di separazione, che permette la lavorazione delle terre rare su territorio americano.

Oltre alle due alternative al di fuori dei confini, l’Europa può contare sul territorio europeo su un impianto di separazione per la produzione di magneti in Estonia, gestito dalla canadese Neo Performance Materials, e in futuro sul sito francese di La Ronchelle della società Solvay, di prossima espansione. In più, a Kiruna, in Lapponia, è stato scoperto ad inizio anno il più grande giacimento europeo di metalli di terre rare dalla società mineraria statale svedese LKAB, considerata attualmente la più grande miniera sotterranea di minerale di ferro del mondo.

Previsioni e misure

Secondo l’amministratore delegato di LKAB, Jan Moström, il progetto di Kiruna è essenziale per proteggere l’Europa dalle importazioni cinesi di motori elettrici, auto elettriche e turbine eoliche, ma non ha da solo le potenzialità di rendere indipendente il Vecchio Continente: “Ottenere un’industria mineraria autosufficiente non è possibile, ma la domanda è quanto possiamo estrarre in Europa”. Le prime stime parlano di un’attesa per la prima produzione di 5/7 anni circa, se si riesce ad accelerare sul rilascio delle licenze, senza dimenticare tutti gli altri possibili ostacoli burocratici o ambientali, come sottolinea Colin Mackey, responsabile delle operazioni europee di Rio Tinto, che ha lottato per ottenere i permessi per la miniera di litio di Jadar in Serbia, e che ha affermato in merito che “anche se il settore sta cambiando e l’estrazione sostenibile è possibile, e possiamo ridurre al minimo l’impatto ambientale e sociale, le comunità locali in realtà non vogliono una miniera accanto a loro”.

L’unione Europea è intervenuta a marzo 2023 in tal senso con una proposta di legge sulle materie prime critiche, le CRMA, che prevede misure per semplificare le autorizzazioni, per individuare finanziamenti da destinare ai progetti più validi e definire gli obiettivi per l’approvvigionamento, la produzione e il riciclaggio internazionali. La Neo Performance Materials ha ricevuto, per esempio, quasi 19 milioni di euro di fondi europei per realizzare un impianto in Estonia, ai confini con la Russia, e si sta lavorando a misure per creare centri di produzione di magneti permanenti (il 94% proviene dalla Cina), ma a Bruxelles si richiedono a gran voce maggiori aiuti, così come fa lo Stato cinese con la propria industria. La Cina ha dalla sua parte anche il grande avanzamento tecnologico e l’automazione completa dei processi, sono 1.500 i passaggi necessari per arrivare al prodotto finale, per cui non sarà facile spodestarli.

Il CRMA probabilmente sarà adottato entro la fine del 2023, ma gli esperti ritengono che non basterà per supportare l’Europa nel diventare indipendente dalla Cina entro la fine del decennio.

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