I prossimi dieci anni saranno fondamentali per realizzare la transizione verso un’economia digitale che sappia essere climaticamente neutra, circolare e resiliente.
L’ambizione dell’Unione europea è quella di essere sovrana digitalmente in un mondo aperto e interconnesso e di perseguire politiche digitali che consentano alle persone e alle imprese di cogliere un futuro digitale incentrato sull’uomo, sostenibile e più prospero.
Per raggiungere questo obiettivo, la Ue ha messo in fila una serie di elementi fondanti:
Naturalmente questo percorso ha avuto come momento di inizio l’emanazione del GDPR atto con cui, per la prima volta, l’intero mercato mondiale ha dovuto ribaltare il proprio paradigma, applicando a internet non più la legge del luogo ove ha sede il server, ma la legge del luogo ove risiedono i cittadini, nel nostro caso, la legge europea.
Questo è un chiaro segnale che ha ispirato le suddette normative e che ispirerà i prossimi anni.
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Trasformazione digitale: i 4 obiettivi a cui puntare entro il 2030
La prossima decade, dunque, è oggetto di attenzione da parte della Commissione europea che già in data 8 marzo 2021 aveva presentato al mondo la propria visione per una trasformazione digitale di successo dell’Europa entro il 2030.
La strada però non è semplice perché, come sappiamo l’UE deve fare i conti con l’innegabile dipendenza dai sistemi statunitensi. Ma anche qui, collegando i “puntini” possiamo vedere come in realtà il percorso per ottenere l’indipendenza tecnologica sia ormai stato intrapreso da tempo. La creazione del sistema Gaia X, la sentenza Schrems II con conseguente annullamento del Privacy Shield, sono dichiarazioni di intenti ben chiare: “l’Europa vuole avere il controllo del mondo digitale”. Senza compromessi.
In tal senso, la Commissione indica 4 punti cardinali – il “Digital Compass”- quattro obiettivi a cui puntare entro il 2030.
Competenze digitali
Cittadini con competenze digitali e professionisti digitali altamente qualificati. Entro il 2030, almeno l’80% di tutti gli adulti dovrebbe disporre di competenze digitali di base e dovrebbero esserci 20 milioni di specialisti TIC impiegati nell’UE. Non solo, è necessario altresì ridurre il gender gap, a oggi troppo ampio, includendo un maggiore numero di donne in tali settori digitali.
Infrastrutture sicure e componenti
Infrastrutture digitali sicure, efficienti e sostenibili. Entro il 2030, tutte le famiglie dell’UE dovrebbero disporre di connettività a banda larga e tutte le aree maggiormente popolate dovrebbero essere coperte dal 5G; la produzione di semiconduttori all’avanguardia e sostenibili in Europa dovrebbe essere il 20% della produzione mondiale. Non è del resto concepibile il fatto che un continente come quello europeo debba ritrovarsi totalmente dipendente dall’Asia nell’approvvigionamento di semiconduttori. Il costo della mano d’opera ha difatti negli anni portato a cercare in oriente queste materie prime, circostanza questa che però non ha pagato in quando, a causa dei rallentamenti generati dal Covid molte industrie, prima su tutte quella dell’automotive, hanno subito insopportabili rallentamenti. Non ci sono i materiali per costruire i computer di bordo e le centraline, motivo per cui la UE, ad oggi sta perdendo circa 91 miliardi di euro per le vendite automobilistiche non concluse. Un futuro digital è un futuro fatto anche di chip, rame, centraline, per questo la UE vuole arrivare a un grado di autonomia pari almeno al 25%. Non solo, l’Europa punta a realizzare 10.000 nodi perimetrali altamente sicuri distribuiti nell’UE e dovrebbe infine avere il suo primo computer quantistico.
Trasformazione digitale delle imprese
Entro il 2030, tre aziende su quattro dovrebbero utilizzare servizi di cloud computing, big data e intelligenza artificiale; più del 90% delle PMI dovrebbe raggiungere almeno il livello base di intensità digitale. La Commissione afferma poi letteralmente: “il numero di unicorni dell’UE dovrebbe raddoppiare”. Ma di cosa stiamo parlando? Che cosa si intende con il termine “unicorno”? È facile capire che la Commissione non faccia riferimento al mitologico cavallo visto in numerosi film ma ad una situazione economica, una rarità, quasi impossibile (come un unicorno). Gli unicorni in economia sono quelle imprese che, intraprendendo un percorso prima non pensabile, hanno rivoluzionato il mercato o, comunque una buona parte di esso. Non pensiamo solo alle big tech, ma a tutte quelle società che hanno cambiato un determinato mercato. Ecco, questi unicorni devono raddoppiare entro il 2030.
Digitalizzazione dei servizi pubblici
Entro il 2030, tutti i principali servizi pubblici dovrebbero essere disponibili online; tutti i cittadini avranno accesso alla propria cartella clinica elettronica; e l’80% dei cittadini dovrebbe utilizzare una soluzione di eID. L’Italia in tal senso si dimostra piuttosto avanti anche se il problema principale è sicuramente dato dalla formazione del personale. Possiamo difatti digitalizzare tutta l’organizzazione pubblica ma sino a quando, dall’altra parte dello schermo, ci saranno persone poco sensibili al tema digitale e al tema della protezione dei dati, è innegabile che i cittadini avranno più svantaggi che vantaggi. Un esempio concreto? Ce ne sono davvero in numero elevato: il sistema di INPS che nel click day va in crash permettendo di conoscere la situazione patrimoniale di persone a random; il sistema di gestione dell’esame di Stato degli avvocati che pochi giorni fa, a seguito dell’inserimento delle credenziali, mostrava al candidato la pagina personale di altri colleghi, consentendo di modificare e cancellare anche il profilo (facendo ritirare lo sfortunato e ignaro collega dalla corsa all’esame di Stato); il MISE che è stato sanzionato dal garante per non aver nominato il DPO; il Governo, che ha emesso un decreto sul funzionamento del sistema dei green-pass senza nemmeno consultare il Garante privacy. Insomma, tutti questi episodi ci evidenziano come il problema non sia solo strutturale. Non è che manca solo la banda ed il rame. No. In Ue, e soprattutto in Italia, manca la sensibilità al problema.
Il nodo della protezione dei dati
In tal senso, quindi, servirebbe un quinto punto cardinale. Perché va bene che il punto 1 è dedicato alle persone, ma quello che manca è la formazione del personale nelle materie della protezione dei dati. Più il mondo sarà digitale, più i dati saranno dematerializzati e quindi maggiore sarà il rischio. Possiamo avere competenze digitali ma dobbiamo anche avere la sensibilità su quelli che sono i problemi che potremmo causare agli interessati. Si tratta di aspetti diversi e, dovendo stilare degli obiettivi per il decennio, nulla può essere lasciato al caso, specialmente questo. Per capirci, le persone al Ministero dello Sviluppo Economico hanno sicuramente competenze digitali, ma non hanno nominato un DPO e così hanno pubblicato in chiaro il nome di tutti i manager innovativi. Questo è un problema di sensibilità, di conoscenza della data protection, non solo di competenze digitali. È a questo che infine dovrebbe mirare l’Unione europea, differentemente il rischio è di ritrovarci con in mano una tecnologia molto avanzata e una mentalità invece ancora legata al passato ove la protezione dei dati era un impedimento e non un pilastro per la tutela dei diritti delle persone, come dovrebbe essere.
Margrethe Vestager, ha commentato “il documento di oggi è l’inizio di un processo inclusivo. Insieme al Parlamento europeo, agli Stati membri e ad altre parti interessate, lavoreremo affinché l’Europa diventi il partner prospero, fiducioso e aperto che vogliamo essere nel mondo. I cittadini devono avere la certezza che tutti beneficeremo appieno del benessere offerto da una società digitale inclusiva “.
La speranza di chi scrive è che tale competitività venga raggiunta dalla Ue, unendo il miglioramento tecnologico e professionale ad una ritrovata consapevolezza in merito ai temi etici e di protezione dei dati. Solo così si potrà parlare di miglioramento.