All’innovazione e al digitale non mancano certo i riferimenti nelle political guidelines presentate insieme alla candidatura di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, approvata ieri a maggioranza dal Parlamento europeo. Anche se, scavando nelle trenta pagine del documento, non mancano sorprese sia nello spazio che nel tenore di alcune tesi. A volte con il rischio di qualche contraddizione interna.
La diffusione delle tecnologie digitali
Una delle premesse fondamentali delle linee guida, che dovrebbe trovare una solida base nel rapporto Draghi sulla competitività dell’Europa in via di pubblicazione, è che l’insufficiente diffusione delle tecnologie digitali spiega in misura significativa la minore produttività delle imprese europee rispetto alle proprie controparti americane e in parte asiatiche e la maggiore difficoltà a sviluppare prodotti e servizi innovativi.
Le iniziative per aumentare gli investimenti nelle tecnologie chiave
A questo proposito, oltre a implementare efficacemente le regole adottate negli ultimi anni come il Digital Services Act e il Digital Markets Act, il documento si propone di aumentare gli investimenti nelle tecnologie chiave, a partire dall’intelligenza artificiale. Ecco dunque che nei primi 100 giorni di operatività della nuova Commissione, si promette un’iniziativa sulle fabbriche IA per consentire l’accesso a nuova capacità computazionale su misura per le startup e le imprese che intendono addestrare modelli.
Accesso ai dati: tanti proclami, pochi risultati concreti
Non è chiaro come si colleghi questa proposta a quella annunciata nel febbraio scorso e in quale misura sia da considerarsi addizionale. Oltre alla capacità computazionale, sono però necessari i dati. Su questo, le political guidelines, pur riconoscendo le criticità delle imprese europee ad avere accesso a dataset comparabili a quelli delle Big Tech extraeuropee, non vanno oltre l’enunciazione di una strategia per un’Unione dei dati per consentire a imprese e amministrazioni di condividere i dati. In realtà la Strategia europea dei dati del 2019 prevedeva cose analoghe. Peccato, però, che a oltre cinque anni di distanza, oltre alle tante regole approvate, non si siano visti sviluppi concreti all’altezza delle ambizioni iniziali. Forse in questo caso, oltre a prendersela con le imprese tecnologiche straniere, qualche parola di autocritica non sarebbe guastata.
La strategia Apply AI e un Consiglio di ricerca europeo sull’IA
Certamente nuove appaiono invece le altre due iniziative annunciate:
- una strategia Apply AI da sviluppare con il concorso degli Stati membri, dell’industria e della società civile per promuovere gli usi della tecnologia e migliorare la fornitura dei servizi pubblici come la sanità;
- un Consiglio di ricerca europeo sull’IA per mettere insieme le diverse risorse degli Stati membri, avendo come modello il CERN.
Si tratta di due progetti estremamente interessanti, anche se delineati a questo stadio in maniera molto vaga. Non sappiamo, ad esempio, se avranno un loro budget e quali ne saranno le caratteristiche principali. Per non dire che il CERN si poggia su un’infrastruttura di ricerca creata ad hoc con fondi ingenti e ben definita geograficamente (e che peraltro ha dato luogo a side benefit non indifferenti, come la nascita del world wide web a opera di Tim Berners-Lee).
L‘incognita budget e la burocrazia
Il punto di domanda sul budget per le iniziative già citate in materia di intelligenza artificiale riguarda naturalmente tutti gli altri aspetti toccati dal documento.
Il Fondo per la Competitività Europea
A partire forse dalla proposta più disruptive e teoricamente ambiziosa in assoluto, la creazione di un Fondo per la Competitività Europea, per il quale si rimanda non a caso al prossimo budget pluriennale. Questa facility finanziaria dovrebbe mettere a disposizione risorse pubbliche comuni per investimenti nelle tecnologie strategiche, dall’IA allo spazio, dal clean tech alle biotecnologie, determinando allo stesso tempo un effetto leva su quelli privati.
Di fatto, si tratterebbe di uno schema rafforzato degli attuali IPCEI (Important Projects of Common Interest), che hanno già trovato applicazione in alcuni comparti, come batterie, idrogeno e microelettronica.
Ma con due importanti novità. Da un lato, questa sembra l’indicazione implicita, una dotazione finanziaria più certa e ad hoc. Dall’altro, e questo varrebbe sui prossimi IPCEI fin dall’inizio del 2025, una sovrastruttura burocratica più snella e veloce. In questo caso, un’evidente autocritica rispetto ai difetti più evidenti di uno strumento molto interessante (per certi versi l’unico vero abbozzo di politica industriale europea) ma che finora non ha ridotto il gap di competitività rispetto ad altre aree del mondo in grado di muoversi con minori lacci e lacciuoli.
Telco e piattaforme digitali, colpi bassi e mancati trionfi
Tra le varie contraddizioni contenute nel documento, una delle più evidenti è quella sulla regolazione delle piattaforme digitali. Da un lato, nel documento si manifesta la necessità di puntare sull’implementazione della vasta regolamentazione degli ultimi anni con meccanismi di semplificazione che riducano gli oneri per le imprese e definiscano un quadro il più possibile coerente. Dall’altra, a qualche pagina di distanza, si annunciano nuovi interventi nella sfera digitale, in particolare a tutela dei minori, contro il cyberbullismo, il design dei servizi online che crea dipendenza, possibili comportamenti scorretti nell’e-commerce e la misinformazione e la disinformazione ad opera di Stati e organizzazioni ostili.
Se le piattaforme digitali, in particolare quelle extra-europee, non avranno certamente brindato alla lettura delle political guidelines, le telco hanno probabilmente riservato lo champagne per future occasioni. Infatti, nel documento sono contenuti, per certi versi a sorpresa, a pochi mesi di distanza dall’uscita del libro bianco, solo pochi passaggi al settore. In tutto due piccole citazioni, una per il completamento del mercato unico nelle telecomunicazioni al pari di tanti altri settori e la seconda per il potenziamento della connettività a garanzia della resilienza delle comunità nella parte dedicata agli aspetti sociali. Si fa inoltre un riferimento chiaro ma generico, senza accostarlo a uno o più settori in particolare, alla necessità di rivedere le regole della concorrenza per incoraggiare il conseguimento di una scala adeguata delle imprese europee sul piano internazionale.
La necessità di rafforzare la cybersecurity
Tra tutti i player del settore, sono probabilmente quelli operanti nella cybersecuruty a potersi ritenere più soddisfatti. Numerosi i passaggi nei quali viene citata la necessità di aumentare le difese digitali e tra l’altro la cyber-defence, insieme alla difesa dello spazio aereo, viene citata come un primo progetto comune da sviluppare nella nuova strategia comune di difesa. In attesa che anche in questo caso le parole siano confermate dai budget. A questo riguardo, specie dal punto di vista dell’Italia, dove già ci si sta chiedendo dove trovare le risorse per continuare a investire dopo il 2026, alla conclusione dei fondi del NextGenerationEU, preoccupa la mancata menzione di strumenti di debito comune e non tranquillizza di certo la menzione assolutamente vaga a nuove risorse proprie che dovrebbero contribuire al budget UE. Con un negoziato tra Stati membri che sembra molto più orientato al ribasso che al rialzo. E con esso le speranze dell’Europa non solo di recuperare il gap competitivo con le aree più dinamiche del mondo ma semplicemente di tenerne il passo, ovviamente a distanza.