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Big Tech fanno profitti e licenziano, perché? IA è la risposta



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Dal 2019 al 2024, il mercato delle Big Tech ha vissuto un’onda di crescita, declino e ripresa. Tesla e NVIDIA hanno superato le aspettative, mentre la pandemia ha causato un boom di assunzioni seguito da licenziamenti. Le aziende ora si concentrano sulla ristrutturazione, privilegiando competenze in intelligenza artificiale e adattandosi a nuove sfide regolatorie

Pubblicato il 16 feb 2024

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione



big tech

Le oscillazioni del mercato tecnologico si susseguono incessanti, scandite dai ritmi imprevedibili della pandemia prima e dalla costante evoluzione del settore nei tempi più recentri.

Le Big Tech, pilastri indiscussi di questo universo in rapido movimento, si trovano a navigare tra sfide complesse: la carenza di risorse umane qualificate, le nuove priorità strategiche che spingono verso innovazione e riorganizzazione, i licenziamenti inaspettati che scuotono la stabilità interna.

Oltre a ciò, il fattore regolatorio emerge con prepotenza come un nuovo rischio da valutare attentamente nel panorama tecnologico globale. Ma nel mezzo di queste dinamiche turbolente, un elemento sembra non perdere slancio: l’investimento nell’intelligenza artificiale, fulcro del futuro del lavoro e della produttività aziendale.

Il ciclo della pandemia e l’andamento delle aziende tecnologiche

Il ciclo iniziato prima del Covid, che va dal 2019 ad oggi, vede le quotazioni delle aziende Big Tech descrivere un’onda che ha forma generale di una N fortemente inclinata in avanti: dal 2019 alla fine del 2021 vi è la salita, poi per tutto il 2022 le quotazioni scendono, dall’inizio del 2023 la salita riprende e continua ancor oggi. Nella prima fase vi è un aggiustamento verso il basso improvviso e breve dovuto all’esplosione del COVID nel marzo del 2020.

Questo ci dice l’indice generale dei titoli tecnologici, il Nasdaq, che passa da 7.500 di febbraio 2029 a 16.000 di novembre 2021, a 10.000 di settembre 2022, tornando a 16.000 a febbraio 2024.

Intorno a questo indice medio si muovono quelli dei protagonisti dell’innovazione digitale, le aziende big tech, i gatekeeper, come li definisce l’Unione europea nelle sue norme che tentano di regolare lo sviluppo del mercato ICT.

Amazon segue l’andamento dell’indice generale, Meta lo fa con oscillazioni più marcate sia nella discesa sia nella risalita, dimostrando che la guida di Zuckerberg, anche senza i risultati sperati sul metaverso, ha comunque convinto gli investitori. Google va meglio dell’indice generale Nasdaq, Microsoft ancor meglio, mentre Apple riesce a proteggersi dalla caduta del 2022 per raggiungere i livelli di quotazione più alti all’inizio del 2024.

Tavola 1. Quotazioni delle aziende tecnologiche 2019-2024. Fonte Yahoo Finance

Ma non è tutta qui la storia delle aziende tecnologiche. Tesla e NVIDIA hanno avuto una performance molto superiore alle migliori performance del gruppo considerato. Sono aziende industriali, produttori di hardware e non di servizi, anche se il loro hardware contiene una enorme concentrazione di ricerca e servizi. Operano in due settori completamente diversi: le auto elettriche e i processori avanzati per videogiochi e server ad alte prestazioni, come quelli per le applicazioni di intelligenza artificiale. Per queste due aziende la crescita delle quotazioni è travolgente: per Tesla due volte e mezzo quella già elevata di Apple e per NVIDIA 5 volte superiore.

Il mercato dell’auto elettrica è ancora piccolo, rispetto a quello dell’auto a motore endotermico, e quindi lo spazio di crescita, stante la tendenza a privilegiare la mobilità a bassa emissione, è tale da creare attese di crescita delle vendite e dei profitti straordinariamente positive. Questo è il caso di Tesla: la concorrenza è ancora indietro e quindi i margini tengono e di conseguenza salgono le quotazioni. Il mercato potenziale di Tesla è enorme: non si comprano una Tesla i giovani come prima auto. Comprano Tesla le persone che vogliono sostituire l’auto endotermica con quella elettrica: il segmento di domanda più ricco ed esteso. Anche se la concorrenza cinese, prima ancora di quella delle marche tradizionali europee e giapponesi, comincia a farsi sentire, in questa fase le prospettive del mercato dell’auto elettrica mettono ancora il vento in poppa alle quotazioni di Tesla.

Nel caso di NVIDIA le vendite dei processori ad alte prestazioni, per i videogiochi e per i server più potenti, continuano a sostenere i livelli di attività e di investimento dell’azienda, che recentemente ha superato per qualche momento il valore di borsa di Amazon di 1,75 miliardi di dollari.

La carenza di risorse umane nelle Big Tech

Nonostante questo ritorno delle quotazioni ai livelli massimi di fine 2022, le aziende di big tech, dopo aver licenziato durante l’anno trascorso, continuano a licenziare ora che i margini di profitto sono stati consolidati ai livelli precedenti la pandemia. Come si spiega questo paradosso?

La pandemia portò ad una esplosione della domanda di servizi digitali: fatturato, margini e occupazione dei gatekeeper e del commercio on line salirono. Nel 2020 e 2021 l’occupazione aumentò in modo improvviso, per far fronte ad una domanda aggiuntiva imprevista.

Si tratta di aumenti vertiginosi dell’occupazione in aziende già protagoniste di una crescita sostenuta, aumenti che avrebbero messo in crisi qualunque struttura organizzativa, anche la più consolidata: i dipendenti di Amazon e Meta sono più che raddoppiati in tre anni e sono comunque cresciuti di oltre il 50% nelle altre aziende Big Tech.

Tavola 2. Aumento % dei livelli di occupazione delle società tecnologiche durante COVID, 2019-2022. Fonte: CNN su dati SEC.

Fa eccezione Apple che, non a caso, è tra le grandi società che meno ha sentito l’esigenza di “ristrutturare” dopo la fine del COVID.

Questo rapido aumento degli occupati ha comportato una minore selettività nelle assunzioni, una ridotta attività formativa in azienda e ciò ha portato ad un abbassamento della produttività.

Mark Zuckerberg è stato tra i primi a riconoscere l’errore, anche perché nel frattempo il suo business veniva attaccato da un aggressivo concorrente: TikTok. Sundar Pichai, CEO di Alphabet, ha chiesto scusa ai dipendenti mentre annunciava, a inizio 2022, una riduzione di oltre il 6% dei dipendenti di Google: “Il fatto che questi cambiamenti avranno un impatto sulla vita dei Googler mi pesa molto e mi assumo la piena responsabilità delle decisioni che ci hanno portato fin qui”.[1]

Nella tavola che segue il processo è riportato anno per anno: Amazon durante la pandemia ha assunto una metà dei dipendenti in più rispetto ai livelli precedenti.

Tavola 3. Occupati delle aziende tecnologiche 2019-2022 (K migliaia, M milioni, fonte CNN)

Ciò significa che nel 2020 per ogni tre dipendenti di Amazon uno era stato appena assunto. E così ha continuato nel 2021, cosicché in quell’anno un dipendente su due aveva una anzianità aziendale inferiore all’anno. Una tensione organizzativa elevatissima.

Gli effetti contrastanti della pandemia sull’occupazione

La pandemia ha avuto effetti contrastanti sull’occupazione: i commenti si sono prevalentemente orientati sulle perdite, ossia sulle ondate di licenziamenti che hanno investito l’auto, i trasporti, il commercio, il turismo, i servizi in generale. Ma sappiamo che le aziende tecnologiche hanno trovato e saputo sfruttare un’occasione straordinaria per dimostrare l’importanza dei loro servizi per il funzionamento di base della società contemporanea.

Minore attenzione si è rivolta all’impegno che le aziende tecnologiche hanno dedicato alle risorse umane per poter rispondere alla domanda esplosa improvvisamente per i loro servizi.

Un impegno strenuo, che tuttavia ha portato ad un deterioramento del mix delle risorse umane disponibili e ad uno squilibrio organizzativo nel momento in cui la domanda è tornata ai livelli di crescita normali.

Le nuove priorità delle aziende tecnologiche

Abbiamo visto che a inizio del 2022 le aziende tecnologiche cominciano a ridurre l’occupazione.

La sorpresa che quei licenziamenti producono è comprensibile: negli anni precedenti quelle aziende si sono fregiate dei giudizi più lusinghieri sulla gestione delle risorse umane e soprattutto hanno assunto persone a ritmo costante. La novità ci spinge a d analizzare il nuovo quadro in cui quelle aziende vengono ad operare, caratterizzato da prospettive e opportunità nuove, ma anche da rischi di mercato e da un contesto regolatorio di forti tensioni.

La tavola 4 dimostra come ancora all’inizio del 2024, nonostante le trimestrali abbiano sbandierato risultati record per le aziende tecnologiche e le quotazione abbiano toccato di nuovo i massimi, i licenziamenti continuano a passo accelerato rispetto al 2023.

Assisteremo nei prossimi trimestri ad una frenata dei licenziamenti, ma larga parte saranno determinati non tanto da scelte quantitative, ovvero – come si direbbe in gergo manageriale – da overmanning. Non è tanto l’eccessivo carico di occupazione che preoccupa le aziende, quanto il mix che si trovano a dover gestire dopo la grande campagna di assunzioni della pandemia. Il problema di oggi è la carenza di competenze capaci di utilizzare gli strumenti nuovi dell’intelligenza artificiale.

Il ritmo dei licenziamenti nelle Big Tech

Sundar Pichai lo ha detto esplicitamente: non si ripeterà la dimensione dei licenziamenti di inizio 2023, ma l’obiettivo è oggi di riorganizzare le competenze disponibili. Per questo l’azienda continuerà a licenziare. Le aree colpite saranno l’hardware, le vendite, il motore di ricerca, lo shopping, maps, le politiche, l’ingegneria e i team YouTube. L’obiettivo è di “rimuovere livelli organizzativi per semplificare l’esecuzione e dare speditezza ad alcune aree”.[3]

La pandemia e il suo rientro hanno creato un duplice allerta: le risorse umane non si possono allargare a fisarmonica senza pagare costi in termini di produttività ed efficienza, mentre le capacità individuali e la fluidità dell’organizzazione divengono cruciali nel momento in cui le nuove tecnologie richiedono qualifiche nuove e flessibilità dei processi.

Il fattore regolatorio e i nuovi rischi per le aziende tecnologiche

Ma c’è un altro fattore critico che rende il processo di ristrutturazione delle risorse umane ancor più profondo: nessuna delle aziende tecnologiche può evitare di considerare i rischi che il proprio business presenta sotto il profilo della regolazione (ambientale, del lavoro, della competizione, della tutela del consumatore). Tutte le aziende tecnologiche fronteggiano un contesto di rapporti conflittuali con le autorità antitrust, con la tutela delle privacy e del consumatore, e vedono accrescere l’attenzione sui temi della sostenibilità, che investono soprattutto il consumo di energia. Le relazioni alla SEC (Form 10-K ) che accompagnano il bilancio 2023, indicano una attenzione crescente ai rischi geopolitici e regolatori, in particolare per gli aspetti connessi all’abuso di posizione dominante sulle due sponde dell’Atlantico. In Europa ciò deriva dall’entrata in vigore delle norme sul mercato e i servizi digitali, negli Stati Uniti il rischio regolatorio è connesso all’indirizzo che la Federal Trade Commission guidata da Lina Kahn ha preso nei confronti dello strapotere di Big Tech.

L’accelerazione della riorganizzazione dell’occupazione

Se la battaglia sul fronte delle regole si intensifica, la riorganizzazione dell’occupazione, guidata dalle tecniche e dai servizi dell’intelligenza artificiale, accelera.

A fine gennaio Zuckerberg ha annunciato agli analisti che occorre licenziare e controllare i costi “per poter investire nelle visioni a lungo termine aperte dall’intelligenza artificiale…Operiamo meglio come azienda se siamo leggeri”. Sono parole che richiamano la sua felice espressione critica sull’organizzazione che si è incartata: “managers managing managers”.[4]

Gli acquisti di risorse non si limitano a quelle umane, naturalmente. Entro l’anno Meta dovrebbe chiudere un contratto di acquisto di 350.000 chip specializzati per l’intelligenza artificiale, prodotti da NVIDIA, ad un costo di 30.000 dollari l’uno.

Gli investimenti in intelligenza artificiale e il futuro del lavoro

La focalizzazione degli investimenti sull’intelligenza artificiale si accompagna, in tutte le aziende tecnologiche, ad una crescente attenzione ai costi. I licenziamenti del 2024 saranno mirati ai settori che rendono meno.

Secondo Mc Kinsey, nel 2030 almeno il 14% degli occupati potrebbe dover cambiare lavoro per effetto della digitalizzazione, della robotica e dell’intelligenza artificiale.

Le prime aziende che possono disporre delle risorse per percorrere questa strada sono proprio quelle tecnologiche che controllano, in buona misura, lo sviluppo delle tecnologie che esse stesse per prime debbono usare. E’ questa la scelta necessaria che le guida la ristrutturazione organizzativa che porterà all’aumento degli occupati nelle aree più innovative e della riduzione dell’occupazione nelle aree a minore redditività.[5]

Note

  1. ) Clare Duffy, How Big Tech’s pandemic bubble burst, CNN, Sun January 22, 2023
  2. ) Crunchbase, The Crunchbase Tech Layoffs Tracker, February 9th, 2024 e Layoffs.fyi. Tech Layoffs Tracker
  3. ) Alex Heath, Google CEO tells employees to expect more job cuts this year / In an internal memo, Sundar Pichai said recent layoffs are about “removing layers to simplify execution and drive velocity in some areas, The Verge, Jan 18, 2024.
  4. ) Tripp Mickle, Why Is Big Tech Still Cutting Jobs?, The New York Times, February 5th, 2024.
  5. ) Mark Talmage- Rostron, How Will Artificial Intelligence Affect Jobs 2024-2030, Nexford University, January 10, 2014.

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