il punto

Vie della seta digitali: dall’Italia scelta politica verso un accordo Ue

Il memorandum of understanding Italia-Cina rappresenta una grande opportunità per avviare la ormai nota “quarta rivoluzione industriale” italiana che, ad oggi, stenta a vedersi. Ecco perché l’Italia potrà assumere un ruolo guida in Europa a fronte del difficile rapporto tra gli Usa e Pechino

Pubblicato il 15 Apr 2019

Massimo Simbula

avvocato, associazione Copernicani

taiwan cina cyberwar

Il Memorandum  sottoscritto tra il Governo italiano e quello cinese nel marzo scorso segna una netta presa di posizione politica del Governo italiano, che spinge l’Ue a fare una scelta diplomatica non facile in relazione ai rapporti con gli Stati Uniti.

Questo potrebbe far si che l’Italia assuma un ruolo guida nella trattativa Ue-Cina. 

Esaminiamo i rischi e le opportunità per l’Italia e l’Europa partendo da un dato di fatto ormai assodato: la Cina è il più grande mercato Internet mondiale e assumerà un ruolo guida nello sviluppo globale della rete 5G, dell’Internet delle Cose e dell’Intelligenza Artificiale nei prossimi decenni.

Gli investimenti della Cina in innovazione

Gli investimenti che i cinesi da tempo dedicano all’innovazione tecnologica e il fatturato generato da molte piattaforme locali sono impressionanti, con vendite online che superano i 4 miliardi di RMB (circa 600 miliardi di dollari).

Nelle scuole medie e superiori si insegna già a partire da quest’anno l’informatica con particolare attenzione alle metodologie e tecniche relative alla cosiddetta “Intelligenza Artificiale”.

E nel mondo dei social e dell’e-commerce, i cinesi hanno di gran lunga superato i maestri americani, sviluppando piattaforme “chiuse” come WeChat che offre prodotti e servizi analoghi a quelli offerti da piattaforme come Facebook, Whatsapp, Instagram, Paypal, Apple, Google messi insieme.

Il contante è ormai quasi sparito e gran parte della vita delle persone è da una parte monitorata e dall’altra supportata dalla rivoluzione digitale cinese.

Naturalmente questo da una parte può essere foriero di motivati timori verso una società forse poco attenta alla privacy dei cittadini, ma dall’altra deve essere uno stimolo per i paesi europei a collaborare con il gigante asiatico al fine di creare un nuovo mercato globale dei dati non più limitato alla sola Unione Europea.

Nuova via della seta, rischi e opportunità

Come affrontare quindi la delicata questione dei rapporti tra Cina, Europa e Stati Uniti e gestire i potenziali rischi e benefici che potrebbero derivare da un accordo Europeo e Cinese?

La Cina spinge molto verso una “Digital Silk Road” che coinvolga l’Europa poiché è evidente che il mercato unico europeo di oltre 500 milioni di persone interessa a molti operatori del settore.

E d’altra parte la tecnologia 5G sviluppata dal colosso cinese “Huawei”, potrebbe rappresentare una infrastruttura di base sulla quale sviluppare numerosi progetti in ambito IoT e Intelligenza artificiale e in questo senso l’Italia ha già mostrato un particolare interesse.

La via della seta cinese, altro non è che la cosiddetta “Belt&Road initiative”, annunciata dal presidente cinese Xi Jinping sei anni fa per dar vita a un’area economica costituita da una settantina di Paesi situati geograficamente su una direttrice terrestre (la «Silk Road Economic Belt») e una marittima (la «21st­Century Maritime Silk Road»).

L’iniziativa punta a migliorare la cooperazione e i rapporti economici e commerciali tra i paesi aderenti ed è supportata da due importanti istituti: l’Asian Investment Infrastructure Bank (Aiib), la Banca asiatica multilaterale di sviluppo promossa da Pechino, e il Silk Road Fund, che la Banca centrale cinese ha dotato di 40 miliardi di dollari Usa.

Da notare che ad oggi l’Italia risulta tra i soci fondatori dell’Asian Investment Infrastructure Bank con il 2,57% del capitale versato pari a 514 milioni di dollari, quinto socio non regionale e dodicesimo in assoluto.

La Belt&Road ha sviluppato finora almeno 1.400 progetti per un totale di 292 miliardi di dollari, coinvolto 65 Paesi pari al 60% del Pil mondiale, con 4,5 miliardi di persone.

Quarantuno dei 65 paesi interessati dalla Via della Seta utilizzano lo Yuan negli scambi economici e ciò implica, naturalmente, una rilevante internazionalizzazione della divisa (che è già la quinta moneta più usata al mondo) e una sua conseguente crescita di valore. Internazionalizzazione che è già stata ampiamente riconosciuta nel momento in cui è entrata a far parte del paniere di valute del Fondo Monetario Internazionale (insieme a Yen, Dollaro, Sterlina ed Euro) per stabilire i cosiddetti DSP (Diritti Speciali di Prelievo).

La digital silk road

A seguito della Belt & Road Initiative (BRI) lanciata nel 2013 nel settore delle infrastrutture terresti e marittime, il Governo cinese ha promosso una nuova iniziativa nel 2015 nota come “Digital Silk Road”.

Questo è un progetto ad ampio raggio, ma avrà due aspetti chiave.

In primo luogo, la Cina fornirà collegamenti Internet aggiornati sotto forma di nuovi cavi sottomarini che collegano est e ovest, nonché l’introduzione della banda larga nei paesi in cui tali infrastrutture sono sottosviluppate o inesistenti, contribuendo così alla crescita economica degli stessi.

In secondo luogo è previsto lo sviluppo della rete di navigazione satellitare cinese BeiDou in modo da potersi confrontare alla pari a livello globale con il sistema GPS di proprietà degli Stati Uniti, oggi dominante.

I numeri in gioco

I numeri in gioco sono sconcertanti. La multinazionale cinese operativa nel settore delle telecomunicazioni, la ZTE Corporation, ad esempio, ha recentemente ricevuto un prestito di 23 milioni di dollari dalla Banca Mondiale per sviluppare una rete in fibra ottica in Afghanistan, mentre altri 32 milioni di dollari sono stati stanziati per affrontare le sfide ambientali poste dai lavori per lo sviluppo della rete, nonché centinaia, di diversi progetti che rientrano tra gli obbiettivi della Digital Silk Road.

Lo sviluppo della tecnologia 5G rientra, naturalmente, tra questi obbiettivi.

Nell’arco di cinque anni circa, la metà del globo sarà coperta dal 5G e oltre un miliardo di persone utilizzerà questo tipo di tecnologia.

E questo per non parlare dei circa 25 miliardi di dollari per l’espansione della rete BeiDou da 17 satelliti che coprono l’Estremo Oriente, a 35 che coprono il mondo intero. I nuovi satelliti sono già stati lanciati: uno dei più grandi progetti per il 2019 sarà commissionarli e portarli online.

In totale, la Digital Silk Road da sola (in altre parole, senza contare il resto del progetto BRI) potrebbe comportare oltre 200 miliardi di dollari di investimenti. Questo darà senza dubbio un enorme impulso all’economia cinese, così come a paesi come India, Pakistan e Nepal.

Le posizioni “contrarie”

Recentemente alcuni osservatori occidentali hanno manifestato preoccupazioni in merito all’eccessivo sbilanciamento in favore della Cina, negli accordi commerciali di cui alla BRI e alla conseguente Digital Silk Road Initiative (di seguito anche “DSRI”) con particolare riferimento alla perdita di controllo dell’infrastruttura TLC per oltre 60 paesi parte dell’iniziativa.

Tuttavia, si rileva come gran parte delle preoccupazioni legate al rischio sicurezza informatica o privacy conseguente al controllo cinese delle infrastrutture TLC di base su cui si svilupperà la DSRI provengano soprattutto dagli Stati Uniti.

Si potrebbe quindi pensare che, ancora una volta, il tema della privacy venga utilizzato come argomento per contrastare una sostanziale inarrestabile avanzata cinese su un mercato TLC che rivoluzionerebbe molti equilibri oggi a vantaggio degli Stati Uniti.

L’Europa e il memorandum Cina-Italia

Ed in questo contesto geopolitico estremamente delicato, si colloca la posizione dell’Europa e il recente memorandum di intesa sottoscritto tra Cina e Italia.

Per quanto l’attuale amministrazione USA tutto sia fuorché filoeuropea, è comprensibile che non veda con favore una Unione europea prestar orecchio ad altre, e più efficaci, sirene come quella Cinese.

Eppure, come noto, nonostante i buoni rapporti che hanno contraddistinto fino ad oggi Italia e Stati Uniti, assistiamo ad una interessante e coraggiosa iniziativa fortemente voluta dal vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio e culminata con un Memorandum sottoscritto tra il Governo italiano e quello cinese nel marzo scorso.

Innanzitutto, come precisato al paragrafo VI del Memorandum, è bene ricordare che lo stesso non costituisce un accordo internazionale da cui possano scaturire diritti ed obblighi di diritto internazionale con assenza totale di impegni giuridici o finanziari in capo alle parti firmatarie.

Questa non trascurabile clausola evidenzia il carattere puramente politico del Memorandum, da molti erroneamente definito un “accordo”.

In realtà l’interessante iniziativa di Di Maio fa sì che l’Italia spinga l’UE verso un accordo congiunto con la Cina e non – come detto da altri – ad una frammentazione delle diverse posizioni europee. E questo è anche ribadito al primo paragrafo del Memorandum dove si precisa che la collaborazione tra i due paesi dovrà tenere in debito conto le discussioni in corso in seno alla piattaforma di connettività UE-Cina.

È infatti chiaro a molti quanto l’Unione Europea sia interessata a sviluppare il mercato digitale in ottica collaborativa con la Cina ma questo agita le non poche anime filo-atlantiche presenti all’interno dell’Unione.

Al paragrafo II si indicano gli ambiti di collaborazione e tra questi si fa riferimento allo sviluppo della connettività infrastrutturale, incluse le telecomunicazioni.

Successivamente, e ad ulteriore dimostrazione di come il Memorandum non sia, come scorrettamente detto da numerosi articoli di giornale, un accordo bilaterale che spezza l’asse UE nella trattativa con la Cina, viene chiaramente precisato che “le Parti accolgono con favore le discussioni in seno alla piattaforma di connettività UE-Cina tese a migliorare l’efficienza della connettività tra Europa e Cina”.

Il ruolo del digitale viene inoltre ribadito nell’ambito dei processi di sdoganamento merci, tema alquanto delicato poiché rappresenta uno dei nodi principali nei rapporti UE-Cina e che genera spesso frizioni e ostacolo nei processi di logistica.

Il Memorandum prevede, poi, una politica di apertura per le gare di appalto che coinvolga le aziende italiane (ed europee) e il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (tema, questo, alquanto caldo vista la recente approvazione della discussa proposta di Direttiva sul Copyright).

A leggere il Memorandum, quindi, oltre alle considerazioni geopolitiche sopra dette si potrebbe dire che non ci siano rilevanti iniziative in ambito digitale o in favore di Startup innovative.

Il ruolo dell’Italia nella trattativa Ue-Cina

Tuttavia, è evidente che la netta presa di posizione del Governo italiano spinge inevitabilmente l’UE ad affrontare di petto la questione e fare una scelta diplomatica non facile in relazione ai rapporti con gli Stati Uniti.

Questo potrebbe far si che l’Italia assuma un ruolo guida nella trattativa UE-Cina, creando qualche “dissapore” con i vicini francesi e i tedeschi che non vedrebbero di buon occhio una posizione del bel paese quale leader nell’ambito dell’accordo euro-asiatico.

Da questo ruolo guida e da come peraltro deducibile dal Memorandum, potrebbero scaturire numerose iniziative anche in ambito TLC volte a favorire lo sviluppo di infrastrutture tecnologiche cinesi, soprattutto in ambito 5G, in Italia con possibili partenariati tra pubbliche amministrazioni, privati e il gigante cinese Huawei che potrebbe, anche grazie a moderne forme di project finance, contribuire alla creazione di un indotto di lavoro eccezionale e allo sviluppo di numerosi progetti in ambito IoT e IA.

Interessante un articolo del Wall Street Journal del 12 marzo sulle realizzazioni di Huawei Marine nel settore dei collegamenti sottomarini via cavo.

Già realizzato il cavo di 3.750 miglia tra il Brasile e il Camerun, iniziati i lavori per il cavo da 7.500 miglia che connetterà Europa, Asia ed Africa, mentre è prossimo il completamento di quelli tra il Golfo di California e il Messico.

Nel 2020 Huawei Marine avrà posato un quarto di tutti i collegamenti sottomarini via cavo mai realizzati). 

Insomma, una vera e propria rivoluzione industriale che non possiamo ignorare.

Il “nodo” privacy

Inutile dire che gran parte delle polemiche su questi accordi si incentrano, come detto, sulla privacy.

Sappiamo come sia gli Stati Uniti che la Cina siano poco attenti alla privacy dei cittadini e degli utenti delle varie piattaforme internet ma qualcosa sta cambiando.

Il Regolamento Europeo n. 679/2016, meglio noto come GDPR, ha posto al centro dell’attenzione i dati personali di ciascuno di noi e molti paesi extra UE hanno mostrato grande interesse per questo Regolamento, come ad esempio lo stato della California, con una normativa severa e giusta, ma attualmente contestata da alcuni esponenti politici tra cui Donald Trump.

Anche in Cina, in realtà, si assiste ai primi segni di un cambiamento.

L’eccessivo utilizzo di videocamere, l’assenza quasi totale del contante e la pervasività dei sistemi di profilazione in piattaforme come WeChat, sono temi che vengono affrontati anche dagli stessi cinesi.

Da questo punto di vista una cooperazione tra Cina e Ue nell’ambito del digitale potrebbe essere di grande aiuto poiché implicherebbe un doveroso rispetto delle norme sulla privacy e aprire nuove opportunità con l’apertura di Server Farm “GDPR compliant” in Italia ed in Europa.

Conclusioni

In conclusione, si ritiene che il Memorandum italo-cinese sia una grande opportunità per l’Italia e per l’Europa per sviluppare i rapporti commerciali e le reti di telecomunicazione nonché per la creazione di una piattaforma 5G di ausilio a numerose iniziative in ambito IoT e IA, il tutto – però – nel rispetto del GDPR e dell’equilibrio tra i poteri in gioco.

Sarà certamente una trattativa complessa e difficile, considerato anche il delicato quadro geo-politico, ma rappresenta certamente una grande opportunità per avviare la ormai nota “quarta rivoluzione industriale” italiana che, ad oggi, stenta a vedersi.

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