La recente decisione del Governo italiano di estendere l’obbligo di pagamento della Digital Services Tax (Web Tax) a tutte le imprese che generano ricavi da servizi digitali sul territorio nazionale sta suscitando forti preoccupazioni.
Una misura che rischia di impoverire ulteriormente il Paese, minacciando la competitività delle piccole e medie imprese (PMI) e l’attrattività per investimenti esteri nel settore tecnologico.
Il problema della web tax nella Legge di Bilancio
La proposta attualmente in discussione prevede l’applicazione della Web Tax senza considerare soglie di fatturato globale o locale, il che rappresenterebbe un cambiamento significativo rispetto alla normativa precedente. L’obbligo di pagamento potrebbe dunque colpire anche le PMI e le start-up, aziende che spesso operano con margini di profitto ridotti. Questa misura rappresenta un vero e proprio “colpo di grazia” per le imprese del settore digitale.
Le PMI italiane, che costituiscono oltre il 90% del tessuto imprenditoriale, sono già sottoposte a pressioni competitive sia a livello nazionale che internazionale. L’estensione della Web Tax impone un ulteriore carico fiscale su queste aziende, molte delle quali hanno risorse limitate per assorbire nuovi costi. L’aumento delle spese operative legate ai servizi digitali potrebbe spingere molte PMI a limitare o rallentare i loro investimenti nel digitale, compromettendo così il loro potenziale di crescita.
Un effetto a cascata sull’ecosistema digitale
L’estensione della Web Tax potrebbe innescare un effetto a cascata lungo l’intera catena del valore digitale. Tassare i ricavi lordi, anziché i profitti, implicherebbe che le aziende fornitrici di servizi digitali, come la pubblicità online e la gestione di piattaforme e-commerce, siano costrette ad aumentare i prezzi per compensare i nuovi costi fiscali.
Questo aumento si ripercuoterebbe anche sulle aziende non digitali, che vedrebbero crescere i costi delle loro operazioni. Ad esempio, un’agenzia di marketing digitale potrebbe dover aumentare le tariffe per i suoi servizi, il che si tradurrebbe in costi maggiori per le PMI che si avvalgono di tali servizi per promuovere le loro attività. Questo scenario non solo aumenta i costi operativi per le PMI, ma anche il costo complessivo delle operazioni digitali, creando una spirale negativa per l’economia.
Un altro aspetto preoccupante riguarda l’attrattività dell’Italia per start-up e investitori nel settore tecnologico. La tassazione sui ricavi, piuttosto che sui profitti, può disincentivare gli investimenti stranieri e la nascita di nuove iniziative digitali. Le start-up, frequentemente caratterizzate da margini esigui o addirittura in perdita nei primi anni di attività, sarebbero particolarmente vulnerabili a una tassa sui ricavi, poiché l’onere fiscale graverebbe su di loro indipendentemente dalla loro effettiva redditività.
Questa situazione potrebbe avere conseguenze a lungo termine per l’innovazione tecnologica in Italia, un Paese che già fatica a tenere il passo con altre nazioni europee in termini di investimenti in tecnologia e innovazione digitale. Le start-up potrebbero decidere di trasferire le loro operazioni in paesi con regimi fiscali più favorevoli, riducendo ulteriormente l’attrattività dell’Italia come hub per nuovi investimenti nel digitale.
L’effetto sul settore dell’e-commerce
Il settore dell’e-commerce italiano, pur mostrando segni di crescita, è ancora meno sviluppato rispetto ad altri paesi europei. L’introduzione di una Web Tax estesa potrebbe avere un impatto devastante su questo settore in espansione. Tassare i servizi digitali, inclusi quelli utilizzati dalle piattaforme di e-commerce, potrebbe portare a un aumento dei costi per i consumatori, rendendo il commercio elettronico meno attraente.
Inoltre, il rallentamento dello sviluppo del settore e-commerce potrebbe avere ripercussioni negative sulle catene di distribuzione e logistica, strettamente legate alla crescita del commercio online. Le aziende che si occupano di logistica e distribuzione potrebbero trovarsi a fronteggiare costi maggiori, il che si tradurrebbe in un aumento dei prezzi per i consumatori finali.
La proposta di Netcomm
Come Consorzio del Commercio Digitale Italiano, lanciamo un appello al Governo per rivedere l’ambito di applicazione della legge, limitando l’imposta alle aziende digitali con profitti elevati e escludendo le PMI e le start-up. È necessario passare da una tassazione basata sui ricavi a una basata sui profitti per garantire che solo le imprese realmente redditizie siano soggette alla tassa.
Questo approccio permetterebbe di mantenere una tassa sulle grandi aziende del digitale, che hanno una capacità contributiva maggiore, senza soffocare le imprese emergenti e innovative. Si potrebbe adottare una fiscalità “channel neutral”, ossia una tassazione che non penalizzi il canale digitale rispetto a quello fisico, garantendo parità di trattamento tra i due modelli di business.
Un futuro da riconsiderare
L’estensione della Web Tax pone sfide significative per l’economia italiana, in particolare per le PMI e il settore digitale. È fondamentale che il Governo consideri le implicazioni di questa misura per garantire un ambiente favorevole all’innovazione e alla competitività.
La scelta di adottare una tassazione più equa e mirata potrebbe non solo salvaguardare le PMI, ma anche stimolare la crescita di un ecosistema digitale più robusto e innovativo in Italia. L’auspicio è che le autorità competenti possano ascoltare le preoccupazioni espresse da Netcomm e da altri attori del settore, per evitare di compromettere ulteriormente un settore già vulnerabile. Solo con politiche fiscali mirate e intelligenti, l’Italia potrà sperare di rimanere