Sulla scia dell’inversione di rotta di Google sulla dismissione dei cookie di terze parti, il futuro ruolo dei cookie e degli ID nella pubblicità continua a essere il tema al centro del dibattito del settore ADV.
Ciò che possiamo imparare dalla lunga saga dei cookie di Google è che l’eccessiva dipendenza da un unico identificatore è una strategia rischiosa e che, allo stesso tempo, diventa sempre più necessaria una tecnologia “a prova di futuro” che consenta a inserzionisti e agenzie media di essere indipendenti dalle decisioni di Big tech e regolatori.
La scelta recente di Google di mantenere i cookie di terze parti, lasciando ai consumatori la libertà di scegliere se consentire a terze parti (gli editori) di utilizzare i loro cookie non deve, infatti, essere interpretata dagli inserzionisti come un ritorno alla normalità.
Il fatto che la scelta di dare o negare il consenso al tracciamento della loro navigazione online sia nelle mani degli utenti, porta a un cambio formale, ma non sostanziale rispetto alla decisione di eliminare fisicamente i cookie: la maggior parte degli individui negherà il consenso, portando all’impossibilità di appoggiarsi ai cookie anche se continueranno a esistere.
È arrivato quindi il momento per gli inserzionisti di trovare delle valide alternative all’insegna della privacy che si appoggiano su nuove tecnologie che permettano di mantenere una granularità e una rilevanza delle possibilità anche senza l’utilizzo diretto di identificatori di qualsivoglia genere.
Il rifiuto del tracciamento online da parte dei consumatori
Dai tempi dell’introduzione del GDPR, vari studi hanno dimostrato che la maggior parte dei consumatori rifiuta attivamente il tracciamento online quando sono messi di fronte a scelte chiare e ben informate.
Un’indagine recente condotta da eMarketer negli Stati Uniti ha rivelato che nel medio-lungo termine, quasi il 90% del traffico su browser non sarà più tracciabile tramite cookie. Attualmente, solo il 17% dei consumatori acconsente all’utilizzo dei cookie quando viene richiesto il loro consenso. Considerando anche il traffico privo di identificatori proveniente da browser come Safari, Firefox e, in futuro, Microsoft Edge, meno del 10% dei consumatori potrà essere profilato tramite i cookie.
Inoltre, da quando Apple ha introdotto la sua App Tracking Transparency, solo il 34% degli utenti iOS in tutto il mondo ha scelto di essere tracciato in-app.
Anche su Chrome, il gruppo di utenti che accettano i cookie sta già diminuendo. Nell’UE, dove il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) è in vigore dal 2018, il 36% degli utenti impedisce o limita il tracciamento attraverso identificatori su ogni dispositivo. Analogamente, negli Stati Uniti, l’86% degli acquirenti ha dichiarato di essere più preoccupato per la privacy dei propri dati che per lo stato dell’economia.
Se a ciò si aggiunge il fatto che si registra un crescente utilizzo di altri sistemi di blocco degli annunci tra gli utenti, è chiaro che il pool di dati degli utenti raggiungibili attraverso gli identificatori sta rapidamente diminuendo. Il panorama digitale sempre più incentrato sulla protezione della privacy è chiaramente guidato non dalle aziende tecnologiche o dai legislatori, ma dai consumatori stessi. Sebbene Google abbia fornito poche informazioni su come gli utenti saranno in grado di rinunciare ai cookie, è evidente che molti di loro lo faranno.
Pertanto, continuare a fare affidamento sugli identificatori pubblicitari convenzionali sembra essere una strategia a breve termine ed è importante che gli inserzionisti investano in alternative per poter condurre campagne su vasta scala, indipendentemente dalle decisioni future degli attori del settore.
Come sottolineato da eMarketer: “Anche se i cookie di terze parti saranno tecnicamente ancora supportati su Chrome, la loro presenza diventerà sempre più un’eccezione piuttosto che una regola. I professionisti del marketing che non si adattano alle strategie senza cookie rischiano di rimanere indietro quando Google implementerà il proprio modello basato sul consenso in Chrome”.
Anziché restare ad attendere ulteriori decisioni all’interno del settore, gli inserzionisti sono chiamati a dare vita ora alle loro nuove strategie sui dati. In particolare, ciò significa migliorare la comprensione e l’accesso a un componente chiave della pubblicità senza cookie: gli zero-party data.
L’alternativa: gli zero-party data
Gli zero-party data rappresentano quelle informazioni che i consumatori scelgono di condividere attivamente e consapevolmente con un brand specifico. Questi dati possono includere preferenze di comunicazione, intenzioni di acquisto, feedback sui prodotti o dettagli personali. La raccolta di tali dati avviene attraverso strumenti come sondaggi e quiz, mantenendo sempre l’anonimato dei consumatori per garantire il rispetto della loro privacy.
Invece, i dati di prima parte catturano i segnali derivanti dal comportamento degli utenti durante le interazioni sul sito, come i clic sulle pagine, l’apertura delle e-mail, la cronologia degli acquisti nonché le informazioni di registrazione come indirizzi e-mail o numeri di telefono che i consumatori forniscono volontariamente al brand. Questi dati rimangono all’interno dell’ecosistema in cui sono stati raccolti e non possono essere collegati ad ambienti più ampi senza una forma specifica di condivisione dei dati.
Gli zero-party data e il rapporto di fiducia con gli utenti
Il fatto che i consumatori trasmettano volontariamente i propri dati consente uno scambio di informazioni estremamente etico, trasparente e consensuale. Questo approccio, che mette al centro la consapevolezza degli individui sulla condivisione dei dati, non solo affronta le preoccupazioni sull’uso responsabile delle informazioni, ma costituisce anche una base solida per favorire un maggiore coinvolgimento dei consumatori.
Gli zero-party data si distinguono per la loro ricchezza e accuratezza. Essendo forniti direttamente dai consumatori, questi dati sono deterministici e rispecchiano fedelmente le vere preferenze e intenzioni di acquisto. Questi dati possono contrastare i dati probabilistici, che si basano sull’interpretazione degli interessi dei consumatori da altre azioni compiute. Ad esempio, se un consumatore legge un articolo sulle nuove tecnologie automobilistiche, un’interpretazione probabilistica potrebbe suggerire un interesse per l’acquisto di un’auto. Tuttavia, se lo stesso consumatore partecipa a un sondaggio su un sito web che tratta di finanza dichiarando l’intenzione di acquistare un’auto entro 12 mesi, il responsabile del marketing otterrebbe una visione più chiara delle sue effettive intenzioni di acquisto, senza limitarsi alle sole informazioni contestuali.
Il punto di forza principale di questi dati risiede nella trasparenza e nel controllo che offrono agli utenti, garantendo il pieno rispetto delle preferenze individuali in materia di privacy. In un contesto in cui la fiducia è diventata un elemento chiave, consentono agli inserzionisti di rafforzare il legame con il proprio pubblico garantendo al contempo la rilevanza degli annunci. Grazie alla loro combinazione con altri dati anonimi disponibili sul mercato, nello specifico quelli semantici e quelli all’interno dei sistemi tecnologici di erogazione pubblicitaria (ora del giorno, geo-localizzazione, tipologia di connessione… di ogni singola opportunità di contatto), i responsabili Marketing e Comunicazione possono attuare delle tattiche di comunicazione che garantiscano la pertinenza degli annunci – massimizzando l’efficacia della comunicazione – senza dover far ricorso a identificatori personali. Questa modalità di attivazione permette di mantenere la rilevanza dei contenuti pubblicitari nel pieno rispetto della privacy degli utenti. Qui si delinea il futuro dell’advertising: un futuro in cui etica e performance collaborano per il vantaggio sia dei marchi che dei consumatori.