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Acquisti innovativi PA, riformare il Codice Appalti non basta: ecco le priorità

Non basta intervenire sulle regole, quindi sul Codice Appalti. Per far funzionare gli acquisti innovativi pubblici servono un sistema organizzativo, competenze adeguate nella PA, e un ripensamento delle centrali d’acquisto

Pubblicato il 15 Giu 2018

Renzo Turatto

Oecd Leeds*

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Sono bastate poche ore dall’insediamento del nuovo esecutivo e la polemica sul tema degli appalti pubblici è subito iniziata. Diciamolo francamente: era inevitabile. Da due anni, da quando è stata varato il nuovo codice, tutto il sistema degli appalti pubblici è al palo. Le conseguenze sono fin troppo evidenti: investimenti pubblici ai minimi storici; crisi protratta del settore delle costruzioni e delle opere pubbliche; caduta dei livelli di efficienza delle reti pubbliche (viabilità, trasporti, sanità, utilities, ecc.); caduta dei livelli di produttività/competitività dell’intero sistema.

Non serviva dunque la palla di vetro per capire che con il cambio di governo la questione sarebbe scoppiata e che, di nuovo, si sarebbe iniziato a parlare di riformare il codice per aggiustarne le storture. Il ragionamento non fa una grinza. Chi in quest’ultimo biennio si è cimentato con le nuove regole sa bene del modo maldestro con cui è stata realizzata una riforma in cui si sommano errori di impianto, poca conoscenza dell’economia e dell’organizzazione del procurement pubblico, uso strumentale del tema a fini di comunicazione politica.

Tuttavia credo sia sbagliato pensare che per dare soluzione alla crisi degli appalti pubblici che vive l’intero Paese basti intervenire nuovamente sul Codice Appalti.

E’ un tema su cui mi sono già soffermato: per funzionare le regole, da sole, non bastano. Oltre ad esse, serve che ci sia qualcuno che le applichi davvero: un sistema organizzativo, o meglio, una pubblica amministrazione che funzioni.

Ora negli ultimi anni è successo che, oltre alla riforma del codice, sia sul fronte sia dell’organizzazione degli acquisti pubblici, sia su quello delle regole del pubblico impiego sono state fatte delle scelte che non hanno aiutato il corretto funzionamento del procurement pubblico. Molto si è detto e discusso del mercato elettronico e della necessità di rivedere il sistema in essere con l’obiettivo di semplificare l’impianto procedurale, oltre che l’infrastruttura tecnologica.

Centrali d’acquisto: gli svantaggi

Al di là di questo, c’è tuttavia un punto su cui credo sia utile fare chiarezza. Dove mai sta scritto che la strada per migliorare la qualità degli appalti pubblici passi per forza di cose per le centrali d’acquisto?

Certo, mettere assieme tanti piccoli compratori determina delle economie di scala in grado di aumentare la forza di mercato di chi acquista e, conseguentemente, delle riduzioni del prezzo d’acquisto. Le esperienze del settore Retail degli anni ’80 sono note. Quello che però spesso non si dice è che le centrali uniche, oltre produrre dei potenziali vantaggi, possono dare luogo a effetti indesiderati.

Spostare la responsabilità di acquisto da chi è direttamente interessato a un intermediario introduce il rischio che chi compra non conosca fino in fondo ciò che davvero serve all’amministrazione per cui lavora. Questo rischio è ininfluente quando l’acquisto riguarda prodotti standardizzati (quelle che vengono definite commodities). Può invece avere effetti importanti quando ci si rivolge al mercato per avere prodotti, e soprattutto servizi, di tipo innovativo. Qui è essenziale che la centrale abbia una piena conoscenza dei problemi che l’amministrazione committente deve risolvere e delle valutazioni tecniche che l’hanno portata a domandare specificamente quei beni e/o quei servizi. Come è possibile valutare se un’offerta è meglio di un’altra se non siamo nemmeno sicuri dell’utilità di ciò che ci viene proposto?

Nulla di irrisolvibile, certo. Però per farlo servono lavoro, impegno organizzativo, risorse finanziarie. Cose che se da un lato tendono a ridurre i vantaggi della centralizzazione, nel caso di alcune realtà del nostro Paese sono diventate motivo per dare vita a soluzioni molto discutibili che di fatto hanno generato situazioni paradossali come quelle in cui servizi di consulenza specialistici sono stati comprati con ribassi d’asta superiori al 50%. Con buona pace per i cittadini, per i servizi loro dovuti, oltre che per l’efficienza della spesa pubblica.

Va inoltre tenuto conto di ciò che può succedere – ed è successo – quando si dà vita a dinamiche di aggregazione tanto pronunciate da indurre negli operatori il timore di una competizione one-off dove chi vince prende tutto e a chi perde non resta che leccarsi le ferite. In questi casi, il rischio di cartelli è noto e va contrastato tramite un governo oculato dei processi di gara. Cosa che però, puntualmente, non è successa, così come dimostrato dai fatti di cui oggi sono piene le pagine di cronaca.

Regole del pubblico impiego e formazione

L’altro elemento su cui credo sia importante evidenziare sono le regole del pubblico impiego. Negli ultimi dieci anni si è spesso parlato di riforma del pubblico impiego. Tralascio ovviamente ogni commento sulle cause e le responsabilità di ciò che è successo (meglio sarebbe dire, di ciò che non è successo).

Sul punto a cui siamo arrivati c’è tuttavia abbastanza consenso: sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo, il nostro sistema pubblico non fornisce ai cittadini e alle imprese servizi adeguati rispetto al prelievo fiscale che opera. E questa insufficienza si riflette negativamente sulla produttività e la competitività dell’intero sistema, determinando un gap di sviluppo rispetto alla media europea e al resto del mondo industrializzato.

Ed è chiaro che la mancata riforma ha ripercussioni importanti sui processi di procurement. Cosa mai spingerebbe un dirigente pubblico ad assumersi la responsabilità di acquisti innovativi, per i quali il codice dà indicazioni sommarie e incerte, mentre da parte dell’Autorità di vigilanza prevalgono atteggiamenti poco inclini al merito e molto basati sui vincoli formali? Certo, il senso del dovere è importante. Una qualche iniziativa in più sul fronte della formazione e della diffusione delle regole nella PA potrebbe tuttavia avere degli effetti importanti.

Inutile sottolineare infine come, al di là del dovere, sia impossibile pensare che una pubblica amministrazione estesa e complessa come quella italiana possa funzionare senza una qualche forma di premialità collegata alla valutazione del merito individuale. Ci sono molte cose che è possibile fare per uscire dall’impasse in cui è finito il procurement pubblico, ognuna con il proprio impatto e i propri tempi di implementazione. Importante è dunque un piano che sappia combinare un puzzle di azioni in una strategia unitaria. Ma non basta: perché questo possa avere successo è essenziale dare credibilità a un’operazione che più volte è stata annunciata e mai realmente realizzata. In altre parole serve avere chiaro che per poter davvero ottenere una gallina domani serve avere anche un uovo oggi.

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