Attualmente molte pubbliche amministrazioni si limitano a chiedere alle aziende private prodotti e ore-uomo in body rental per sviluppare soluzioni digitali che rispondano a esigenze specifiche, definite più o meno bene dalle PA stesse.
Ed è proprio questo il problema.
Il Piano triennale per l’informatica nella PA cerca invece di far tendere il sistema verso un altro scenario: in cui la pubblica amministrazione fornisce dati, API, incentivi, driver di sviluppo applicativo e regole generali e d’altro canto i privati valorizzano tutti questi elementi, concorrendo tra loro per sviluppare i servizi applicativi migliori, riducendo progressivamente lo sviluppo di prodotti poco interoperabili o l’offerta di ore in body rental.
Le modifiche necessarie per un procurement maturo
Affinché questo nuovo scenario si concretizzi sono tuttavia necessarie diverse modifiche:
- Servono in primo luogo regole e strumenti di procurement pubblico chiari.
- In secondo luogo, le imprese devono cambiare i loro modelli di business e offrire soluzioni interoperabili, in grado di valorizzare adeguatamente gli assets pubblici.
- Inoltre, le PA devono focalizzarsi maggiormente sui loro processi di back-end, sviluppare solide competenze digitali e padroneggiare gli strumenti tramite i quali collaborare con le imprese.
Purtroppo, su tutti questi fronti, ci sono ampi margini di miglioramento.
I problemi
- Le gare Consip per l’acquisto di ICT sono ancora poco conosciute mentre il Codice dei contratti pubblici è lungi dall’essere pienamente operativo.
- La maggior parte delle imprese – senza grandi incentivi al cambiamento – continua a puntare sul prezzo più basso invece che sulla qualità della propria offerta.
- Inoltre, molte PA continuano ad avere scarse competenze digitali e a ignorare gli strumenti con cui lavorare insieme ai privati.
Il risultato è un circolo vizioso da cui è difficile uscire, in cui si rischia di allontanare i fornitori migliori dal contesto pubblico e di rallentare la digitalizzazione della PA e, di conseguenza, dell’intero Paese. Per il 2019 ci auguriamo che si riesca finalmente a sviluppare un rapporto più sano tra domanda e offerta di innovazione digitale in ambito pubblico. Nel resto dell’articolo riportiamo alcune evidenze per meglio comprendere l’urgenza di un cambiamento e, partendo dall’attuale situazione, elaboriamo tre scenari evolutivi che potrebbero caratterizzare la relazione tra domanda e offerta di soluzioni digitali nel 2019.
Le regole e gli strumenti di procurement pubblico
Per riqualificare la spesa pubblica in soluzioni digitali, assicurandosi che vada nella direzione specificata nel Piano triennale, è stato scelto di obbligare tutte le PA italiane a soddisfare la maggioranza delle loro esigenze di digitalizzazione tramite i soggetti aggregatori e in particolare Consip.
Quest’ultima, con i propri strumenti, copre gran parte degli ambiti che caratterizzano il Piano triennale e ha già previsto per il prossimo triennio 13 gare con cui arricchire quelle già attive in materia di Agenda Digitale, anche se quest’ultime risultano ancora poco conosciute e utilizzate dalle PA locali (solo il 14% delle quasi 200 PA contattate dall’Osservatorio conosce le gare Consip in tema di Agenda Digitale e le ha usate nel biennio 2017-2018).
Oltre a promuovere l’utilizzo delle gare gestite da Consip, e in attesa che le nuove gare in materia di Agenda Digitale vengano scritte e assegnate, sarebbe importante rendere pienamente operativo il Codice dei contratti pubblici.
Non tutte le esigenze di digitalizzazione pubbliche, infatti, possono essere soddisfatte grazie a Consip. Una completa regolamentazione degli acquisti pubblici potrebbe trasformare quest’ultimi in uno straordinario acceleratore della trasformazione digitale della nostra PA e del nostro Paese. Purtroppo il processo di riforma del Codice è molto lungo ed è lontano dall’essere concluso. Il Codice prevede infatti 56 provvedimenti attuativi per essere pienamente operativo. Di tali provvedimenti solo 27 sono stati adottati (nessuno entro le scadenze previste, quando presenti).
L’attuale governo ha già annunciato di voler rivedere l’impianto complessivo del Codice. Al di la che la revisione sia strutturale o solo di alcuni ambiti, è importante concluderla in tempi rapidi. Un sistema di regole di procurement incerto fornisce infatti alibi – sia all’offerta che alla domanda – al mantenere lo status quo.
L’offerta di soluzioni digitali alla PA italiana
Questo insieme di fattori rischia di allontanare progressivamente da tale mercato le imprese che vogliano concorrere sulla base della qualità delle loro offerte e fornisce scarsi incentivi a rivedere i modelli di business dei privati secondo quanto previsto dal Piano triennale.
Proviamo a fornire alcune evidenze a supporto di tali considerazioni.
Il mercato della PA vale 5,5 miliardi di euro e rappresenta solo l’8% del mercato digitale italiano. La spesa pubblica pro-capite in tecnologie digitali dell’Italia è pari a 85 euro a cittadino. Spendiamo quasi quattro volte meno del Regno Unito (323 euro a cittadino), due volte e mezzo meno della Germania (207) e due volte meno della Francia (186).
Ma quante sono le imprese che offrono soluzioni digitali alla PA italiana? Secondo gli ultimi dati Istat (relativi al 2015) i fornitori italiani di soluzioni digitali sono poco più di 100.000. Per comprendere quante di queste imprese lavorano con la PA abbiamo analizzato le 2,7 milioni di soluzioni acquistabili grazie agli strumenti di Consip nell’area merceologica “informatica, elettronica, telecomunicazioni e macchine per l’ufficio” e le abbiamo incrociate con gli open data messi a disposizione dal soggetto aggregatore in cui sono indicati i fornitori con cui lavora.
Solo 14.287 degli oltre 100.000 fornitori italiani di soluzioni digitali (pari a circa il 14%) utilizzano gli strumenti di Consip per vendere i propri prodotti/servizi alla PA italiana. Considerando che il Piano triennale e la Finanziaria 2016 vincolano il passaggio da Consip per la gran parte degli acquisti pubblici in digitale, è ragionevole pensare che tale numero sia rappresentativo della situazione italiana.
Oltre ad essere di modeste dimensioni (sia economiche che per numero di fornitori attivi), il mercato delle soluzioni digitali offerte alla PA italiana è concentrato nelle mani di pochi attori. Incrociando il Catalogo delle basi dati della PA con l’Indice delle PA (IPA), entrambi realizzati e manutenuti dall’AgID, è possibile dimostrarlo. Solo con riferimento ai 4.859 Comuni che hanno compilato il Catalogo con i 97.981 software da loro posseduti (in media 20 software ogni Comune) e offerti complessivamente da 1.811 fornitori: 13 fornitori riescono a coprire il fabbisogno informatico del 75% dei Comuni, i primi tre per numero di software offerti arrivano al 52%.
La domanda pubblica di soluzioni digitali in Italia
Per comprendere la struttura e le problematiche che caratterizzano la domanda pubblica di soluzioni digitali, abbiamo realizzato un’indagine a cui hanno partecipato 155 tra Comuni, Regioni e Ospedali e analizzato la banca dati TED con i contratti pubblici stipulati in tutta Europa. È emerso che la gran parte delle PA italiane non valuta mai i propri fornitori di soluzioni digitali e non utilizza gli strumenti con cui collaborare più efficacemente con essi. Nel seguito riportiamo le principali evidenze che abbiamo prodotto grazie alla ricerca dell’Osservatorio.
Nel 2017 la gran parte (il 40% del valore complessivo) degli acquisti pubblici in digitale è stata fatta in software on premise, nonostante questi siano sconsigliati dal Piano triennale; solo il 19% del valore degli acquisti pubblici in digitale era relativo a servizi ICT (Si consideri che l’offerta in modalità cloud rappresenta solo una parte di tale categoria).
Queste due soluzioni non sono solo quelle maggiormente acquistate ma anche quelle per cui la maggior parte delle PA registra criticità con i relativi fornitori: il 28% delle PA che hanno risposto all’Osservatorio indica di avere forti criticità con i fornitori di software on premise; il 22% con i fornitori di servizi ICT. Si tratta tuttavia di considerazioni per lo più qualitative. Infatti il 94% degli enti coinvolti dall’Osservatorio ha dichiarato di non avere un sistema strutturato di vendor rating dei fornitori di tecnologie digitali, il 75% non misura mai le loro performance.
Senza una valutazione più o meno strutturata dei fornitori è difficile riuscire a selezionare i migliori e a premiare la qualità delle loro offerte. Più in generale, le PA italiane faticano a collaborare con il mondo dell’offerta di soluzioni digitali. Per dimostrarlo è sufficiente analizzare l’impiego di procedure competitive con negoziazione, nuovi dialoghi competitivi e partenariati per l’innovazione. Queste tre procedure sono state introdotte nel nostro e in tutti gli altri Paesi europei per aumentare in quantità e qualità le collaborazioni tra PA e imprese.
Dopo oltre due anni dalla loro introduzione (è stato considerato il periodo dal 18 aprile 2016 al 18 novembre 2018) solo le PA di Germania e Francia ne hanno fatto un uso significativo, sia a livello generale (12.589 procedure in Germania e 5.932 in Francia su un totale europeo pari a 25.197) che per iniziative relative all’attuazione dell’Agenda Digitale (591 procedure in Germania e 561 in Francia di 2.347 complessivamente fatte in tutta Europa). Le PA italiane ne hanno un modesto impiego, sia a livello generale (134 procedure) che per iniziative relative all’attuazione dell’Agenda Digitale (10 procedure), anche le PA degli altri Paesi simili a noi le hanno usate in modo limitato.
Nonostante l’assenza di una valutazione strutturata, la PA si dichiara mediamente poco soddisfatta della capacità di portare innovazione dei propri fornitori di soluzioni digitali. Si segnala in particolare che il 53% degli enti è poco o per nulla soddisfatta relativamente alla proattività dei fornitori digitali nel suggerire nuove soluzioni, il 54% degli enti è poco o per nulla soddisfatto relativamente alla capacità dei fornitori digitali di collaborare nell’elaborazione e attuazione di idee innovative.
Queste problematiche sono meno sentite dagli enti più strutturati, che hanno invece maggiori capacità e risorse per gestire i processi di transizione al digitale. È quanto emerge con chiarezza da uno studio di AgID di imminente pubblicazione. 70 delle oltre 20.000 PA del nostro Paese gestiscono oltre il 60% della spesa pubblica italiana in soluzioni digitali. Nel triennio 2017–2019, grazie anche alle risorse dei fondi europei e dalle conseguenti azioni di rafforzamento della capacità amministrativa, queste 70 PA hanno già allocato oltre 4 miliardi di euro in progetti di innovazione digitale.
Scenari di evoluzione nell’incontro tra domanda e offerta
Lo scenario evocato dal Piano triennale sembra ancora molto lontano dal potersi attuare, sebbene si stia lavorando per porne le basi. Le evidenze riportate nell’articolo forniscono alcuni spunti di riflessione su come potrebbe evolvere la relazione tra domanda e offerta di soluzioni digitali nei prossimi anni.
- Da una parte abbiamo una domanda che si divide tra poche PA strutturate e con ingenti capacità di investimento; tantissime PA che vivono l’innovazione come un mero adempimento normativo e hanno sempre più difficoltà a gestire un rapporto efficace con il mercato.
- Dall’altra un’offerta che non sembra essere sufficientemente proattiva nel proporre soluzioni innovative ai propri clienti e con scarsi incentivi a farlo (a causa di un sistema di procurement farraginoso e di un mercato in larga parte incapace di riconoscere e premiare la qualità delle soluzioni offerte).
Nei prossimi mesi, le PA strutturate metteranno a punto le soluzioni digitali innovative su cui stanno investendo. Tali soluzioni saranno immesse sul mercato, in base a quanto stabilito dal principio del riuso, e quindi rese disponibili anche alle altre PA.
Si aprono quindi tre possibili scenari, non necessariamente alternativi tra loro:
- Riuso così come oggi ben definito dal CAD: le soluzioni realizzate dalle PA strutturate saranno messe a disposizione di tutte le altre, che – nel caso abbiamo adeguate risorse e capacità – potranno chiedere supporto al mondo dell’offerta per personalizzarle in base alle proprie esigenze.
- Offerta Software as a Service (SaaS) delle PA: alcune PA, ad esempio i soggetti aggregatori, potranno assumere il ruolo di centro servizi e quindi – autonomamente o attraverso il supporto di partner tecnologici privati – adottare una o più soluzioni e metterle a servizio delle PA meno strutturate (principalmente quelle afferenti al proprio territorio di competenza), sollevandole così dall’onere di sostenere investimenti verso modelli economici a consumo.
- Offerta SaaS dei privati: le soluzioni realizzate dalla PA, che secondo le nuove linee guida sul riuso dovranno essere licenziate secondo le logiche dell’open source, potranno anche essere offerte come servizio dai privati, che potranno così riformulare la propria offerta incentrandola su servizi a consumo.
Ci auguriamo che il 2019 concretizzi tali scenari e migliori un poco la relazione tra domanda e offerta di soluzioni digitali in ambito pubblico.