Il tema dell’acquisto di servizi IT da parte della Pubblica Amministrazione è spinoso e strategico allo stesso tempo, specchio di alcuni costumi tipici di un Paese a cavallo fra un futuro futuribile ed echi di inefficienza burocratica kafkiana. Uno degli esempi più emblematici riguarda la Conservazione digitale dei documenti, che a ben vedere è stata ed è uno dei perni della rivoluzione digitale della PA, in quanto forza la mano sulla sburocratizzazione e sulla connessione digitale con cittadini e imprese.
Tutto nasce da una norma del CAD, in cui il legislatore – per tutelare la professionalità necessaria ad un task così delicato – indica i conservatori accreditati Agid come quei soggetti in grado di preservare nel tempo l’affidabilità degli archivi digitali. Non per nulla l’accreditamento impone forti garanzie sui processi interni e costi notevoli per le aziende, che pure si iscrivono al registro per garantirsi sbocchi di mercato molto interessanti.
Come sempre accade nel nostro Paese, l’intento era buono ma si è subito disperso in almeno due rivoli non previsti, che hanno avuto effetti critici per l’ecosistema di imprese fornitrici. Eccoli.
Ad inizio anno una serie di imprese accreditate Agid per la conservazione digitale ci segnalano che nel catalogo MePA (il mercato elettronico da cui le PA acquistano servizi IT) sono presenti anche ben 24 aziende non accreditate ad Agid con 87 articoli “abusivi”. Ci siamo subito attivati creando una sezione ad hoc (Assoconservatori Accreditati) e cominciando un dialogo serrato con Consip e gli altri stakeholder istituzionali per sanare quella che a tutti gli effetti ci suonava come una beffa. Il risultato ci ha dato ragione: ad inizio marzo le 24 aziende non accreditate al MePA vengono cancellate. Con questo meccanismo si era, infatti, creata una forte ingiustizia, che aveva vanificato gli investimenti fatti per l’accreditamento volti a tutelare la qualità dei fornitori stessi e – oltretutto – innescato un dumping delle tariffe, inquinando di fatto il mercato stesso.
Il secondo “rivolo” ha, invece, a che vedere con alcune “fessure” nelle logiche del mercato elettronico per la PA, in cui è stato possibile giocare una strategia imprenditoriale e comunicativa furba ma non lungimirante per il settore ICT. Come sappiamo, la logica con cui il legislatore ha regolato gli acquisti pubblici è quella di offrire agli enti, centrali e locali, dei cataloghi centralizzati in cui trovare prodotti e servizi che siano stati verificati nella loro affidabilità, concordando un prezzo conveniente che eviti speculazioni. D’altro canto, spesso il potere di contrattazione ha creato situazioni critiche di almeno due tipologie:
- ha forzato l’equità delle tariffe, che possono andare sotto costo: questo può purtroppo minare sia la garanzia di avere un servizio di qualità, sia la possibilità delle piccole imprese di partecipare al catalogo in modo sostenibile. Come dire: condizioni ideali per i grandi player, o peggio le in house, che mettono sul piatto prezzi stracciati e poi subappaltano;
- ha poi creato confusione, favorendo la proposizione di servizi in convenzione non verticalizzato sulle specifiche esigenze delle PA e, a volte, anche a costi più elevati.
La legge, consapevole di queste criticità, dà alle amministrazioni la possibilità di acquistare anche fuori dal catalogo Consip, rivolgendosi a quello MEPA o addirittura per via diretta, laddove non si trovi il servizio specifico: ma spesso questa possibilità non è conosciuta o percorsa.
In questa “falla” del sistema si è inserito il gioco di alcuni operatori economici del settore, raggruppati in un RTI, che hanno stipulato con Consip S.p.A. un Contratto-Quadro avente ad oggetto “Servizi di cloud computing” e, per quello che qui interessa, il “Servizio di Conservazione digitale” e che ha cominciato a diffondere sul mercato informazioni circa un’asserita obbligatorietà in capo alle Stazioni Appaltanti di approvvigionarsi del servizio di “conservazione a norma dei documenti informatici della P.A.” esclusivamente attraverso quel contratto quadro. Questo ha determinato uno squilibrio nelle dinamiche concorrenziali del mercato, penalizzando soprattutto le PMI che si erano accreditate ad AgID.
La verità è che le PA possono acquistare i servizi informatici o attraverso le Convenzioni attive stipulati da Consip S.p.A, oppure per acquisti di importo pari o superiore a 1.000 euro e al di sotto della soglia di rilievo comunitario facendo ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione (MePa), anche nel caso in cui esistano convenzioni attive od accordi quadro stipulate/i da Consip.
Ma la nota ancor più interessante è che nel caso le PA non trovassero in quei cataloghi i servizi richiesti, oppure riscontrassero qualità o costi non soddisfacenti (come spesso accade), potranno procedere ad acquisti autonomi previa autorizzazione motivata dell’organo di vertice amministrativo e previa comunicazione all’Autorità Nazionale Anticorruzione ed all’Agid.