Esattamente dieci anni fa l’Italia approvava il Piano d’azione nazionale per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione (PANGPP). In anticipo di qualche mese rispetto alla Comunicazione della Commissione Europea, si fornivano indicazioni metodologiche per l’introduzione del Green public procurement da parte degli Enti pubblici e si individuavano strumenti operativi (Criteri Ambientali Minimi – CAM) per la sua applicazione, ben precisandone la volontarietà. Da allora si è assistito ad una diffusione degli “appalti verdi” a macchia di leopardo. In questi anni alcune (pochissime, 8 a marzo) Regioni hanno anche emanato un proprio Piano regionale e fornito strumenti informativi e formativi per gli enti e le imprese del territorio, ma il GPP faticava a decollare. Nel 2016, la svolta con l’introduzione dell’obbligatorietà del procurement verde ad opera del cosiddetto “collegato ambientale” (L 221/2015) prima, poi confermata e rafforzata dal codice dei contratti pubblici (D.L.vo 50/2016 modificato dal D.Lvo 56/2017) (ma l’obbligo agli acquisti pubblici verdi è stato ignorato, come si vede).
Green public procurement obbligatorio, alcune criticità applicative
La resa obbligatoria ha sicuramente innalzato l’attenzione sia da parte degli enti pubblici, che sono tenuti ad utilizzare i CAM per i propri appalti indipendentemente dal loro valore, sia del mondo di impresa che si ritrova a dover rispettare le specifiche tecniche e le clausole di esecuzione contrattuale dei CAM per poter accedere alle commesse pubbliche, ma ha anche accentuato alcune criticità applicative. Solo per citarne alcune: la complessità delle procedure, la scarsa conoscenza dei CAM in generale, le difficoltà per i buyer pubblici nel verificare il rispetto dei requisiti ambientali, un tessuto produttivo spesso immaturo in termini di innovazione tecnologica e ambientale, la mancanza di un monitoraggio efficace.
Acquisti pubblici verdi, ignorato l’obbligo di legge: problemi e prospettive
Le iniziative per migliorare la conoscenza del GPP
Per superare tali ostacoli sono state avviate diverse iniziative che si muovono su vari fronti e a vari livelli. Da un lato si tratta di iniziative finalizzate a migliorare le conoscenze dei diversi soggetti – clienti e fornitori – sugli acquisti verdi e di conseguenza anche sulle certificazioni ambientali e sulle etichette ecologiche e relativi schemi, dall’altro a semplificare i CAM e rendere più trasparente e partecipato il percorso di elaborazione degli stessi.
Nello specifico, il Ministero dell’Ambiente ha sottoscritto recentemente ben tre protocolli d’intesa a valenza nazionale. Il primo, con la Conferenza delle Regioni, ha l’obiettivo di avviare una più organica collaborazione istituzionale per la promozione degli acquisti verdi a livello dei singoli territori, avvalendosi anche del supporto tecnico specialistico delle ARPA/APPA, tramite la messa in atto di un piano di comunicazione e formazione per le stazioni appaltanti e per gli operatori economici. Il secondo, con UnionCamere, è orientato alla comunicazione verso i potenziali fornitori della pubblica amministrazione, ma non solo, per “accrescere la competitività degli operatori economici in relazione ai nuovi traguardi dell’economia circolare e dello sviluppo sostenibile”. Infine, il protocollo con ANAC è il terzo, realizzato per rendere effettivo il monitoraggio e la vigilanza sull’applicazione CAM, ma finalizzato anche alla condivisione di linee guida, bandi e capitolati tipo, documenti di indirizzo per le stazioni appaltanti, nonché alla realizzazione di iniziative formative per funzionari della Pubblica Amministrazione. Il ruolo dell’ANAC risulta essenziale per quantificare lo stato di applicazione dei CAM sia in termini economici ma anche come contributo alla riduzione degli impatti ambientali delle amministrazioni pubbliche e per andare a pianificare nuove azioni.
La linea d’intervento L1 a supporto di Regioni e stazioni appaltanti
A tutto ciò si aggiunge la Linea di intervento L1 – Integrazione dei requisiti ambientali nei processi di acquisto delle amministrazioni pubbliche, del progetto CreiamoPA finanziato dal PON Governance. Tale linea di intervento vuole supportare le Regioni e le stazioni appaltanti nell’applicazione del GPP con attività di comunicazione e formazione sia in e-learning, sia tramite affiancamento per l’elaborazione di bandi verdi e trasferimento di competenze ed esperienze. Il progetto dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) integrarsi e coordinarsi con le attività che verranno messe a punto nell’ambito del protocollo d’intesa con le Regioni.
Perché per una vera crescita sostenibile serve un cambio di approccio
E’ innegabile che “il GPP possa essere la miccia per dare impulso a una economia e a una crescita sostenibile”[1], ma rendere uno strumento obbligatorio non è sufficiente, è necessario un cambio di approccio, un vero e proprio salto culturale sia da parte della pubblica amministrazione, sia delle imprese. E le iniziative su richiamate vanno in tale direzione. Infatti si propongono di formare e qualificare le strutture pubbliche e gli operatori economici per affrontare adeguatamente le sfide innovative, culturali, sociali ed economiche connesse agli acquisti verdi. Ciò però non basta, è necessario prevedere anche una semplificazione delle procedure, si devono dotare le pubbliche amministrazioni e le imprese di strumenti che consentano in maniera univoca ed economicamente sostenibile, anche per le piccole imprese, di dimostrare la compliance ai requisiti ambientali.
Lo schema di regolamento Made Green in Italy
In questa direzione dovrebbe (ed anche qui il condizionale è d’obbligo) andare lo schema di regolamento “Made Green in Italy”, introdotto dal collegato ambientale, ma non ancora pubblicato. Inoltre, nell’ambito della revisione del Piano d’azione nazionale GPP, attualmente in corso, verrà rivista la procedura di elaborazione dei CAM per rendere il processo più trasparente e favorire un più vasto coinvolgimento dei portatori di interesse. In tale sede si sta anche valutando di introdurre un “attestato di conformità ai CAM” per facilitare le verifiche di conformità in particolare per quei beni e servizi per i quali non è presente l’Ecolabel UE o equivalente etichetta ecologica. Ma forse stiamo parlando di futuro remoto. Più nell’immediato, per favorire la diffusione di beni e servizi a ridotto impatto ambientale andrebbero previsti sistemi di incentivazione degli enti ed aziende virtuose (come la priorità nell’assegnazione di contributi), agevolazioni e finanziamenti pubblici in materia ambientale alle imprese dotate di certificazioni ambientali, misure per incentivare la simbiosi industriale ed il riuso, come del resto già richiamato anche nel collegato ambientale. Attendiamo fiduciosi.
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Forum PA 2017 Indagine “Pratiche di consumo sostenibile a lavoro. La PA tra strategie di GPP e pratiche di consumo individuali” ↑