L’abrogazione del reato d’abuso d’ufficio ad opera del ddl Nordio, definitivamente approvato dalla Camera lo scorso 10 luglio ed in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, rileva senz’altro sul fronte del procurement pubblico. Questo per la sua diretta connessione al noto problema che da tempo affligge la realizzazione degli investimenti, così come l’attivazione della spesa pubblica in genere, identificato in termini di amministrazione difensiva o anche blocco della firma.
Blocco della firma, cosa dice la giurisprudenza
La stessa Corte Costituzionale conferma in chiave tecnica questa lettura in una recente sentenza, la n.9 del 2022, che, proprio in occasione dell’esame del testo dell’articolo 323 del codice penale oggi abrogato, ma all’epoca del pronunciamento già riformato dal dl 76 del 2020 in senso conforme agli obiettivi perseguiti dal nuovo e più radicale intervento del legislatore, evidenziava che il “rischio penale”, specie quello legato alla scarsa puntualità e alla potenziale eccessiva ampiezza dei confini applicativi dell’abuso d’ufficio, rappresenta uno dei motori della “burocrazia difensiva” che costituisce a propria volta un freno e un fattore di inefficienza dell’attività̀ della pubblica amministrazione.
A questi fini – sottolinea la Corte – poco conta l’enorme divario, che pure si è registrato sul piano statistico, tra la mole dei procedimenti per abuso d’ufficio promossi e l’esiguo numero delle condanne definitive pronunciate in esito ad essi. Il solo rischio, ubiquo e indefinito, del coinvolgimento in un procedimento penale, con i costi materiali, umani e sociali (per il ricorrente clamore mediatico) che esso comporta, basta a generare un “effetto di raffreddamento”, che induce il funzionario ad imboccare la via per sé più̀ rassicurante.
Che la questione sia rilevante, deriva oltretutto dal fatto che essendosi moltiplicate, peraltro in un tempo abbastanza circoscritto se paragonato a quello in cui erano maturati i capisaldi della disciplina che regolava la contrattualistica pubblica fino agli anni ottanta del secolo scorso, le fonti normative e di interpretazione della stessa, il rischio che una qualunque scelta attuata da una committenza pubblica potesse essere, almeno in partenza, prospettata come abuso d’ufficio era e rimane ancora più elevata, con la conseguenza che, nel dubbio, si tende ad astenersi dall’operare.
Abolizione abuso d’ufficio, gli aspetti critici
Posto quindi che anche la Corte Costituzionale individuava nella formulazione dell’articolo 323 la fonte del problema, la domanda che ci si pone oggi è se fosse necessario procedere alla sua soppressione ovvero se, allo scopo, non bastassero le modifiche già apportate al relativo testo nel 2020.
Le conseguenze per il principio di legalità
Altra domanda è se con la scelta intrapresa in funzione dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa, se si vuole del conseguimento del risultato che in esso si risolvono nella logica del nuovo codice, non venga a sacrificarsi il principio di legalità ed i connessi presidi che, proprio a mezzo di tale specifica figura di reato vengono, anche dall’Europa e dagli organismi internazionali, sollecitati.
Circa la sufficienza dell’esistente formulazione dell’articolo 323 a scongiurare gli atteggiamenti di natura difensiva da parte della pubblica amministrazione v’è da registrare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità tendente a ridimensionare la portata innovativa della modifica del 2020 (l’ennesima) che intendeva escludere l’abuso d’ufficio laddove le scelte amministrative considerate non implicavano la violazione di precetti dettati da fonti legislative primarie, escludendo quindi il rilievo di quanto contenuto in regolamenti, circolari, linee guida ecc., e comunque laddove dette scelte costituivano esercizio di una discrezionalità prevista dalla stessa legge.
Specie ad opera della Corte di Cassazione sotto il primo profilo si è ritenuto che anche la violazione di norme regolamentari poteva rilevare per la configurazione del reato, nel caso in cui queste si risolvessero nella specificazione tecnica di un precetto comportamentale già compiutamente definito nella norma primaria e purché questa fosse conforme ai canoni della tipicità e tassatività propri del precetto penale (Cass. pen. Sez. VI 08/09/2021, n.33240); sul piano della discrezionalità amministrativa è stato affermato che l’abuso d’ufficio è configurabile anche nei casi riguardanti l’inosservanza di una regola di condotta collegata allo svolgimento di un potere che, astrattamente previsto dalla legge come discrezionale, sia divenuto in concreto vincolato per le scelte fatte dal pubblico agente prima dell’adozione dell’atto (o del comportamento) in cui si sostanzia l’illecito (Cass. pen. Sez. I 17/03/2021, n. 10335; Cass. pen. Sez. VI 01/03/2021, n. 8057).
La scelta del legislatore
Per evitare continue rincorse tra testi di legge e rifacimenti interpretativi a livello giurisprudenziale il legislatore ha preferito sopprimere radicalmente una previsione priva di individuazione di un’autonoma e definita fattispecie di reato, posto che il suo contenuto potrebbe sintetizzarsi nell’affermazione che commette abuso d’ufficio chi opera violando la legge, senza contare che chi viola la legge è già dalla stessa legge violata per ciò stesso sanzionato.
L’effetto pratico, semmai, era quello di attrarre nella sfera del diritto penale tutte quelle violazioni già sanzionabili a livello di responsabilità civile o amministrativa.
Il quadro europeo
Sul fronte della legislazione europea ed internazionale è da dire che il 3 maggio 2023 la Commissione europea ha presentato la proposta di direttiva COM(2023)234 sulla lotta contro la corruzione che aggiorna il quadro giuridico dell’UE in materia, vincolando gli Stati membri ad adottare norme di armonizzazione minima delle fattispecie di reato riconducibili alla corruzione e delle relative sanzioni, nonché di misure per la prevenzione del fenomeno corruttivo e di strumenti per rafforzare la cooperazione nelle relative attività di contrasto.
Sull’abuso d’ufficio, l’articolo 11 della proposta prevede che gli Stati membri prendano le misure necessarie affinché siano punibili come reato le seguenti condotte, se intenzionali:
- l’esecuzione o l’omissione di un atto, in violazione delle leggi, da parte di un funzionario pubblico nell’esercizio delle sue funzioni al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un terzo;
- l’esecuzione o l’omissione di un atto, in violazione di un dovere, da parte di una persona che svolge a qualsiasi titolo funzioni direttive o lavorative per un’entità del settore privato nell’ambito di attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o commerciali al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un terzo.
La Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione (c.d. Convenzione di Merida), ratificata dall’Italia con la legge n. 116 del 2009, prevede all’art. 19 il conferimento del carattere di illecito penale, quando l’atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per se o per un’altra persona o entità.
Conclusione
Al di là di ulteriori rimaneggiamenti del quadro normativo sempre possibili, specie in rapporto all’esigenza di allinearsi a parametri normativi sovranazionali, resta da vedere se l’effetto legato alla soppressione dell’art.323 potrà in effetti contribuire, e in quale misura, al superamento dell’atavica difficoltà del nostro Paese ad utilizzare in modo efficace le risorse finanziarie che, specie a livello comunitario, sono rese disponibili, superamento che in ottica PNRR è un nostro preciso impegno.