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Appalti, come fare formazione: ecco le strategie per le giuste competenze



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Il Codice dei contratti pubblici sottolinea l’importanza della formazione: per crescere, è fondamentale capire quali sono le competenze necessarie per il settore e come organizzare le attività formative

Pubblicato il 2 ago 2024

Manuela Brusoni

SDA Bocconi, Osservatorio Masan

Niccolò Cusumano

Associate Professor of Practice Government Health and Not for Profit, SDA School of Management



procurement, documenti, fattura

Il nuovo Codice dei contratti pubblici pone nuova enfasi in tema di formazione. La “presenza nella struttura organizzativa di dipendenti aventi specifiche competenze” e un “sistema di formazione e aggiornamento del personale” sono due tra i criteri di qualificazione delle stazioni appaltanti. L’articolo 2 tra le azioni che aiutano a promuovere la fiducia nell’azione delle amministrazioni vede la formazione quale elemento essenziale.

Oltretutto deve essere inserita, per la prima volta, all’interno di un piano di formazione del personale. La domanda che ci si pone però è quali competenze debbano fare parte del bagaglio di chi si occupa di acquisti e quale tipo di formazione sia più consigliabile per supportare il mantenimento / accrescimento di queste competenze.

Quale formazione per i buyer

Quando si parla di appalti e contratti pubblici il pensiero va, infatti, immediatamente e irrefrenabilmente al Codice dei contratti, la guida (apparentemente) onnicomprensiva delle regole da applicare nei processi di acquisto pubblici. È tuttavia da tempo che chi si occupa di questa attività, sia all’interno della PA come buyer, sia come fornitore del settore pubblico, riconosce che l’articolazione delle competenze necessarie e l’esperienza che si costruisce sul campo svolgono un ruolo essenziale, la cui complessità non si coglie se non ci si trova immersi in questo ambito.

Per potere, quindi, svolgere in modo efficace il mestiere del buyer (o del fornitore) è necessario sapere combinare conoscenza e esperienza, competenze tecniche e manageriali. Esperienza e conoscenza che si apprendono sul campo, in un processo di formazione “non formale” o “informale”, oltre che in percorsi formali.

Questi processi formativi devono essere continui, come continui sono i cambiamenti che avvengono sul mercato e nella pratica di approvvigionamento e non possono limitarsi a un “mero” aggiornamento normativo sulle novità del Codice dei contratti, come abbiamo espresso in un articolo recente apparso su FormaFuturi [1], o alle modalità di utilizzo delle piattaforme certificate di  eProcurement, o alla selezione dell’Anac Form corretto.

La definizione dei ruoli

In primo luogo, occorre chiarire che ruoli che in modo semplicistico vengono etichettati come “amministrativi”, connessi prevalentemente a competenze giuridiche, sono in realtà profondamente connessi all’offerta dei servizi pubblici, compresi i servizi cosiddetti “strumentali”, come l’IT, che in realtà sono funzionali all’erogazione dei servizi pubblici e quindi alla creazione di valore pubblico.

In secondo luogo, siamo in un contesto in cui i concetti di hard e soft skill devono essere rivisti per lasciare spazio a impianti formativi fondati sia su competenze “fondative”, legate ad esempio a capacità decisionali, di analisi, soluzione dei problemi complessi e alle competenze “tecniche” caratteristiche dell’ambito professionale in oggetto, quali gli aspetti giuridico-normativi, le prime fondative, le seconde da aggiornare con continuità.

Procurement pubblico, come fare formazione

Alla luce di queste due precisazioni cerchiamo di proporre un’articolazione di competenze evidenziando sia la frequenza necessaria di aggiornamento, sia le possibili modalità  formative più efficaci.

Proponiamo quindi la seguente articolazione:

  • Tecniche-normative: devono essere aggiornate con frequenza, anche attraverso momenti tecnici brevi di training: l’impianto normativo cambia, la giurisprudenza evolve, i casi di studio insegnano.
  • Semi-durevoli: hanno necessità di essere rinfrescate con periodicità, anche legandole alle variazioni normative e ai cambiamenti del mercato e dei settori, alle innovazioni tecnologiche che possono intervenire, ad esempio digitalizzazione, e-procurement, passaggio dal bene al servizio (servitizzazione), lean procurement.
  • Durevoli: quelle fondative come marketing d’acquisto, supply-chain management, performance management, project, contract e risk management, leadership, negoziazione, design-thinking non immutabili nel tempo, ma da rinfrescare periodicamente attraverso momenti di apprendimento strutturati, di scambio di esperienze, di confronto su innovazioni possibili e sostenibili. Uno schema riassuntivo è presentato nella figura seguente.
  • Evolutive: quelle legate a nuove tendenze emergenti e a traiettorie di evoluzione del ruolo del procurement sanitario (modelli di partnership pubblico-privato, value based procurement, contratti outcome-based).

L’esempio vuole essere uno stimolo per le diverse PA a definire piani di formazione che partendo dalle competenze necessarie per la gestione operativa e strategica, e quindi per i diversi ruoli, definiscano percorsi di formazione e verifica coerenti con l’aggiornamento di quelle più tecniche e lo sviluppo di quelle durevoli ed evolutive. I piani di formazione dovrebbero poi considerare diverse modalità di azione, con la consapevolezza che gran parte della formazione avviene anche in modo informale, sempre che sia adeguatamente programmata, tracciata e valutata.

I vettori di sviluppo delle competenze

Tre sono i principali vettori di sviluppo delle competenze (modello delle tre E), che contribuiscono in modo sinergico allo sviluppo delle stesse (come indicato in tabella):

  • Formazione tradizionale (aula, a distanza, autoapprendimento)
  • Esperienza/formazione informale (knowledge sharing su casi, progetti realizzati da team multidisciplinari e multiesperienza)
  • Sviluppo (sfide su progetti innovativi, sviluppo di formatori interni/role model).

Lo sviluppo di piani della formazione basati su queste logiche richiede inevitabilmente lo sviluppo di competenze ad hoc nella PA, per evitare che le risorse del PNRR portino solo all’acquisto di ore di formazione, al minor prezzo, coprendo il maggior numero dei dipendenti, senza alcuna visione strategica e assicurazione di qualità e risultato.

Programmi formativi efficaci devono poggiare su alcuni ulteriori punti chiave oltre agli argomenti trattati: la valutazione delle conoscenze e competenze acquisite, e la scelta dei docenti formatori. Questi elementi possono costituire anche criteri di valutazione dei provider di formazione a cui gli enti si rivolgono.

I test

La verifica delle competenze raggiunte attraverso test in cui si valutano le risposte, giuste o sbagliate, in contesti mutevoli e in trasformazione, in particolare quelli odierni, sono poco efficaci a valutare competenze manageriali – ad esempio per sviluppare un processo di acquisto value-based, ma verificano la conoscenza di contenuti- ad esempio la conoscenza della normativa. È quindi necessario accompagnare la valutazione del livello di conoscenza con modalità di verifica della capacità di applicare le conoscenze e verificarne l’efficacia nel contesto reale e monitorarne il successivo impatto.

Ciò non può essere affidato a quesiti ma allo sviluppo di progetti, individuali o di gruppo, che richiedano la soluzione di problemi reali dell’organizzazione in cui si opera o con finalità di innovazione e miglioramento prospettici per fronteggiare le sfide incombenti. Come strutturare a valutare tali capacità progettuali è, a cascata, collegata alla componente “faculty”.

La scelta dei docenti

La scelta del corpo docente infatti deve essere coerente ai temi trattatati e al set di competenze che si vuole creare: il giusto equilibrio tra mondo accademico e mondo practice-oriented è una responsabilità che deve discutere e dimostrare chi progetta il corso, ovviamente con soglie minime che devono essere rispettate. Anche la produzione pubblicistica sui temi trattati diventa, ad esempio, un elemento importante per valutare la capacità e l’appropriatezza del docente, oltre al suo ruolo accademico o professionale.

Ciò può consentire una circolarità formativa che, fondandosi su un corpus tecnico-funzionale, sviluppi una attitudine al “fare”, anche assumendosene il rischio in modo consapevole, grazie al “knowledge-and-acting sharing” tra docenti e discenti, e consenta una evoluzione e innovazione in continuità, che oggi sembra essere il gap principale nel settore pubblico.

Note


[1] FormaFuturi, Aprile 2022, Rubrica “Idee di Qualità”

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