Nel recente passato, dai disegni di legge sulle semplificazioni ai decreti legge sulla concorrenza, il tema della delega per via telematica è diventato oggetto di attenzione da parte del Legislatore. Anche se si tratta di fare ancora qualche piccolo ma indispensabile passo avanti: riconoscere esplicitamente lo status giuridico di questo istituto.
Un passo avanti che, per certi versi, sarà comunque necessario fare, in vista della prossima approvazione del nuovo Regolamento eIDAS 2(electronic IDentification Authentication and Signature), per la disciplina dei servizi fiduciari e dei mezzi di identificazione elettronica degli stati membri, da parte della Commissione e del Parlamento europeo. La bozza in discussione del nuovo regolamento prevede l’istituzione di un portafoglio digitale (eWallet) per la conservazione e l’utilizzo della documentazione personale sensibile e utile ai fini di diverse transazioni private, oltre che per i rapporti con le amministrazioni pubbliche.
Proprio per questo, al fine di facilitare l’implementazione efficace delle riforme e delle misure di investimento del PNRR, il riconoscimento della delega digitale ai professionisti che si occupano degli adempimenti amministrativi per conto dei soggetti privati, possa costituire una condizione indispensabile per accelerare le dinamiche di crescita innescate dal PNRR.
Uno strumento che noi intendiamo nei termini di una delega “di scopo”, ossia finalizzata alla gestione di uno o più atti di qualsiasi genere presso diverse amministrazioni o enti pubblici, che in chiave specifica si potrebbe anche intendere legata al tipo di professionalità, competenza, ambito in cui si esprime. Insomma, va costruita una catena del valore più fluida che possa rendere il Paese più efficiente e permetta di frenare il rallentamento della crescita.
Le difficoltà che rallentano la crescita
Si prepara un autunno impegnativo per il nostro Paese e per il governo. I più recenti dati sul PIL, quelli sul secondo trimestre pubblicati qualche giorno fa, parlano di una contrazione dello 0,4%. Dopo il buon risultato del primo trimestre, per il prossimo e quello che ultimerà l’anno è attesa un’ulteriore flessione. Sembra perciò difficile, purtroppo, raggiungere quel’1% previsto dalla legge di Bilancio per l’anno corrente. Se tutto andrà per il meglio, ci si prospetta al massimo uno 0,7-0,8 per cento. E ancora maggiore dovrà perciò essere la previsione al ribasso per il prossimo anno. Per questo motivo, la stesura della Legge di Bilancio si prospetta particolarmente difficile. Nella sua programmazione economico-finanziaria il Governo puntava all’1,5%, ma così non sarà e se si dovesse raggiungere lo 0,5% sarebbe già buona cosa.
Il rallentamento nella crescita si associa alle difficoltà che si stanno incontrando nella gestione del PNRR. La richiesta alla Commissione europea di una revisione al ribasso dei finanziamenti previsti dal nostro Recovery Plan è conseguenza diretta del fatto che si è riusciti a ottemperare solo a 10 delle 27 scadenze previste per la prima metà del 2023.
Ed era prevedibile che il nostro Paese avrebbe incontrato delle difficoltà nella implementazione di missioni e componenti, soprattutto a causa delle criticità strutturali che caratterizzano la nostra Amministrazione pubblica. Le modifiche proposte dal governo sono 270, inerenti 190 obiettivi, equivalenti a poco più della metà di quelli ancora da realizzare, mentre 145 miliardi di euro sui 191,5 previsti dal Piano sono toccati da almeno una revisione. In buona sostanza, anche in questo caso si tratta di circa la metà delle misure in gioco.
Dal punto di vista complessivo delle risorse, stiamo parlando di un taglio di quasi 16 miliardi. E sebbene alcune misure saranno recuperate attraverso il nuovo piano RePower EU, destinato a sostenere la transizione ecologica e ad assicurare l’autonomia energetica dopo lo shock conseguente allo scoppio della guerra in Ucraina, e per altre misure ancora si sia richiesto di derogare alle scadenze, è evidente che per il nostro Paese l’attuazione del PNRR, che è anche la più importante occasione di ripresa che abbiamo conosciuto dopo il Piano Marshall, rischia di diventare un problema pur con la buona volontà del Governo che lavora alla revisione e fattibilità a cui possiamo certamente fare un plauso ma allo stesso tempo sollecitare azioni sempre più efficaci.
La frenata degli appalti pubblici
Prendiamo a esempio uno dei settori più colpiti dai tagli, quello delle infrastrutture, che risponde anche in maniera pressoché paradigmatica alla dinamica regolativa implicita nel Recovery Plan: prima l’adozione di riforme legislative in grado di porre rimedio ai problemi che impediscono lo sviluppo del Paese, poi la realizzazione di investimenti, opere e politiche pubbliche, capaci di innescare un percorso di crescita. Dati ANAC resi noti proprio in questi giorni parlano di una frenata nel settore degli appalti pubblici, che tra l’altro è anche uno dei settori tradizionalmente anti-ciclici e proprio per questo in grado di favorire la crescita economica. Stiamo parlando dell’andamento relativo ai mesi di luglio e agosto, che ha avuto conseguenze negative anche sul rallentamento del Pil. Sebbene questa frenata abbia finora inciso solo relativamente sui volumi di affari straordinari del 2023, trascinati dalle risorse del PNRR, nel mese di luglio si è registrato -8% e -70% rispettivamente per numero e valore delle forniture, -41% sia come numero sia come valore delle gare, così come -57% e -52% rispettivamente per numero e valore dei servizi. Una contrazione che, confrontata con la corsa a “vuotare i cassetti” di prima dell’approvazione del nuovo Codice degli appalti risulta facilmente comprensibile. È infatti evidente di come si tratti delle difficoltà registrate dalle stazioni appaltanti nell’attuazione delle norme e procedure previste dal nuovo Codice.
Il paradosso del PNRR
L’esempio delle infrastrutture e degli appalti permette di comprendere quello che è il paradosso tutto italiano del Recovery Plan: la straordinaria disponibilità di risorse che si scontra con una parimenti straordinaria difficoltà nel metterle a frutto che è qualcosa di incredibile agli occhi del cittadino che ogni giorno fatica ad arrivare a fine mese. Un problema che risulta inconcepibile eppure tant’è!
Ciò che tocca in modo particolare l’infrastrutturazione del paese, come componente fondamentale del PNRR, tipica forma dell’intervento pubblico finalizzata a sostenere lo sviluppo, settore soggetto a riforme strutturali (com’è l’approvazione di un nuovo Codice degli appalti) che paradossalmente possono ostacolare l’implementazione efficace degli stessi investimenti dedicati. Da prime valutazioni sembra che il rallentamento subito dalle gare di appalto sia in larga parte attribuibile a un vincolo previsto dal nuovo Codice, l’obbligo di “qualificazione” delle stazioni appaltanti. L’attribuzione di opere pubbliche di valore superiore ai 500mila euro, così come l’acquisto di beni o servizi sopra i 140 mila euro potrà essere compiuto soltanto da enti o amministrazioni pubbliche “qualificate”, ovvero che si sono “iscritte” alla qualificazione, rispondendo a determinati requisiti. Anche in questo caso assistiamo a continui cambi di procedure che determinano anche il disagio poi delle amministrazioni nell’azione quotidiana.
Una strategia di ripresa del Paese che, da un lato, può fruire delle risorse del PNRR, dall’altro – consapevole dei limiti storicamente strutturali della propria macchina amministrativa – non può fare a meno di monitorare, supportare e agevolare i percorsi che dalle riforme legislative portano alla concreta realizzazione degli investimenti. Nel caso specifico, l’approvazione di un nuovo Codice degli appalti, che introduce nuove procedure amministrative, implica sia – sul lato offerta – l’esistenza di stazioni appaltanti qualificate (come oggi imposto dalla legge), in grado di gestire efficacemente e celermente i contratti di appalto, sia – sul lato domanda – soggetti privati in grado di completare le procedure autorizzative e partecipare ai suddetti appalti in maniera corretta ed efficace. Si tratta di un tema non a caso centrale per le dinamiche di un mercato efficiente, tant’è che sul piano normativo è strettamente legato alla legge annuale sulla concorrenza, così come – e lo abbiamo visto sopra – per la crescita e lo sviluppo dell’economia di un paese.
Conclusioni
L’economia italiana, come dimostrano i numeri, sta rallentando. E forse siamo stati troppo ottimisti, oltre che improvvidi, nel pensare che un temporaneo tasso di crescita del Pil superiore a quello di altri paesi europei, a cominciare dalla Germania, stava a significare un’uscita definitiva del nostro Paese dal tunnel del declino. Erano invece i sostegni del governo durante la pandemia, così come l’iniezione di fiducia motivata dalla prima tranche del PNRR, a dare un combustibile aggiuntivo a un sistema economico che restava fortemente condizionato da un rapporto debito/Pil insostenibile, peculiarità che una volta finita quella spinta tornava a riproporsi in tutta la sua drammatica realtà.
Per contrastare il rallentamento dell’economia e sfruttare la finestra di opportunità rappresentata dal Recovery Plan (e oggi anche dal RePower EU), è necessario correre più veloci. Lo ha detto anche la Presidente del Consiglio Meloni, a Monza, in occasione del Gran Premio d’Italia di Formula 1, invitando il suo governo a correre più veloce. Ma per correre più veloce occorre il gioco di squadra. E noi per praticare questo gioco di squadra ci siamo.