La Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è recentemente pronunciata sulla sempre attuale tematica del delicato bilanciamento tra il diritto alla riservatezza dei dati e gli obblighi previsti dalle normative nazionali sulla trasparenza nel settore degli appalti pubblici.
La sentenza fornisce una serie di utili precisazioni in merito alla portata ed all’applicabilità del divieto, tipicamente posto in capo alle pubbliche amministrazioni, di divulgare le informazioni rese dai candidati e dagli offerenti nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti.
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L’antefatto: il ricorso contro l’Agenzia nazionale delle acque della Polonia
La sentenza qui oggetto di esame trae la sua origine da un ricorso proposto nel procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico avverso l’Agenzia nazionale delle acque della Polonia, inizialmente indetto nel 2019. Uno degli operatori partecipanti alla gara impugnava il provvedimento di aggiudicazione innanzi all’autorità competente polacca, chiedendo che fossero messi a sua disposizione una serie di documenti, incluse informazioni indicate come segreti commerciali dall’impresa aggiudicataria e dagli altri offerenti. Il ricorrente lamentava, più nello specifico, che la classificazione di dette informazioni come segrete costituisse “una violazione dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, in virtù dei quali la riservatezza deve essere interpretata restrittivamente. Inoltre, l’eccessiva ammissione della riservatezza delle informazioni, unitamente alla mancanza di una motivazione adeguata per le qualificazioni riservate accordate, l’avrebbe privata del suo diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, per non aver avuto conoscenza dei dettagli delle offerte dei suoi concorrenti” (come riportato dall’Osservatorio appalti pubblici dell’Università di Trento).
L’amministrazione, in opposizione alle contestazioni mosse dal ricorrente, sosteneva che le informazioni richieste dal medesimo erano qualificabili quali meritevoli di tutela ai sensi della normativa sul diritto d’autore e sul segreto commerciale, potendo comportare la divulgazione delle informazioni la possibilità per gli altri concorrenti di utilizzare il know-how dell’offerente e le soluzioni tecniche o organizzative dallo stesso sviluppate.
All’interno di detto contesto, dunque, la Commissione nazionale di ricorso sollevava una serie di questioni pregiudiziali, affrontate dalla CGUR all’interno della sentenza n. C-54/21.
Cosa dice la sentenza della Corte di giustizia UE
All’interno della sentenza, la Corte precisa innanzitutto quali possano essere i limiti del generale obbligo di riservatezza delle informazioni nell’ambito degli appalti pubblici, ai sensi della direttiva sugli appalti pubblici n. 2014/24/UE, affermando che detta direttiva non osta a che uno Stato membro stabilisca un regime che delimiti ulteriormente la portata dell’obbligo di riservatezza, basandosi su una nozione di segreto commerciale corrispondente a quella contenuta nella direttiva 2016/943, relativa alla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti. La Corte precisa, tuttavia, che detta ultima direttiva osta a un simile regime “qualora quest’ultimo non comprenda un sistema di norme che consenta alle amministrazioni aggiudicatrici di rifiutare in via eccezionale la divulgazione di informazioni che, pur non rientrando nella nozione di «segreti commerciali», devono rimanere non accessibili”.
Come si legge nel comunicato ufficiale reso dalla CGUE, la Corte giunge a tale conclusione partendo dal principio per cui la tutela della riservatezza prevista dalla direttiva 2014/24 sugli appalti pubblici abbia una portata più ampia rispetto ad una tutela che si estende ai soli segreti commerciali. Resta salva, tuttavia, la facoltà di ciascuno Stato membro di prevedere delle disposizioni che consentano la divulgazione di dette informazioni. “Di conseguenza, ciascuno Stato membro può effettuare un bilanciamento tra la riservatezza prevista da tale direttiva e le norme di diritto nazionale che perseguono altri legittimi interessi, come l’accesso alle informazioni, al fine di garantire la massima trasparenza delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici”.
La libertà garantita allo Stato membro, ad ogni modo, non è illimitata: bisognerà astenersi, infatti, dall’adozione di discipline nazionali che, al fine di garantire la trasparenza dei procedimenti, garantiscano invece una concorrenza falsata, o pregiudichino il bilanciamento tra il divieto di divulgazione delle informazioni riservate ed il più generale principio di buona amministrazione, “da cui deriva l’obbligo di motivazione, per garantire il rispetto del diritto a un ricorso effettivo degli offerenti esclusi, o che alterino il regime in materia di pubblicità sugli appalti aggiudicati nonché le disposizioni relative all’informazione dei candidati e degli offerenti”.
Ne consegue che una legislazione nazionale che “imponga la pubblicità di ogni informazione comunicata da tutti gli offerenti all’amministrazione aggiudicatrice, con la sola eccezione delle informazioni rientranti nella nozione di «segreto commerciale», è idonea ad impedire a tale amministrazione di decidere […] di non divulgare talune informazioni non rientranti in tale nozione”.
L’amministrazione aggiudicatrice, dunque, non potrà semplicemente ritenere le informazioni riservate sulla base di una semplice affermazione in tal senso da parte dell’operatore economico, dovendo essere dimostrata la natura realmente riservata delle informazioni alla cui divulgazione ci si oppone, dimostrando che contengano segreti tecnici o commerciali, che il loro contenuto potrebbe essere utilizzato per falsare la concorrenza o che la loro divulgazione potrebbe essergli pregiudizievole. E’ pertanto facoltà dell’amministrazione valutare la meritevolezza di riservatezza delle informazioni, e non assumerla come accertata.
Il ruolo dell’amministrazione
All’amministrazione, dunque, spetta, al fine di valutare se respingere o accogliere le richieste di accesso documentale avanzate dagli altri offerenti, dovrà prima valutare se le informazioni cui si chiede l’accesso abbiano o meno un valore commerciale, che non deve limitarsi al solo appalto, la cui divulgazione può pregiudicare legittimi interessi commerciali o la concorrenza leale. L’amministrazione aggiudicatrice potrebbe rifiutare l’accesso a tali informazioni nel caso in cui la loro divulgazione costituisca un ostacolo all’applicazione della legge o sia contraria all’interesse pubblico.
La Corte precisa, altresì, che nel caso in cui l’amministrazione esprima il suo diniego alla richiesta di accesso integrale alle informazioni, debba comunque concedere l’accesso al contenuto essenziale delle medesime informazioni, così da garantire comunque il rispetto del diritto ad un ricorso effettivo.
“In particolare – si legge nel comunicato ufficiale – per quanto riguarda, anzitutto, l’esperienza pertinente degli offerenti e le referenze comprovanti tale esperienza e le loro capacità, la Corte afferma che siffatte informazioni non possono essere qualificate integralmente come riservate. Infatti, l’esperienza non è, in generale, segreta, cosicché i concorrenti non possono, in linea di principio, essere privati delle informazioni che vi si riferiscono. Agli offerenti deve essere riconosciuto, per ragioni di trasparenza e al fine di garantire il rispetto dei principi di buona amministrazione e di tutela giurisdizionale effettiva, l’accesso, quantomeno, al contenuto essenziale delle informazioni trasmesse da ciascuno di essi all’amministrazione aggiudicatrice circa la loro esperienza e le referenze che la comprovano.” Devono comunque esser fatte salve le circostanze speciali relative ad appalti di prodotti o servizi particolarmente sensibili, che portano ad un rifiuto in ragione della necessità di tutela di prescrizioni normative o di interessi pubblici.
Come gestire i dati nominativi e non
La Corte, inoltre, afferma che deve essere svolta una distinzione tra le informazioni che consentano di identificare determinate persone (sia fisiche che giuridiche) e le informazioni riguardanti esclusivamente le loro qualifiche o capacità professionali. Relativamente ai dati nominativi, infatti, non si esclude che l’accesso a detti dati debba essere rifiutato, costituendo un pregiudizio della loro necessità di riservatezza. “A tali fini, l’amministrazione aggiudicatrice deve tenere conto di tutte le circostanze pertinenti, ivi compreso l’oggetto dell’appalto di cui trattasi, nonché dell’interesse di detto offerente e di detti esperti o subappaltatori a partecipare, con gli stessi impegni negoziati in modo riservato, a successive procedure di aggiudicazione di appalti”. Tuttavia, si precisa, la divulgazione delle informazioni non può essere rifiutata nel caso in cui le stesse non abbiano alcun valore commerciale nel generale contesto delle attività degli operatori economici coinvolti.
Relativamente ai dati non nominativi, invece, si stabilisce che “tenuto conto della loro importanza per l’aggiudicazione dell’appalto, il principio di trasparenza e il diritto a un ricorso effettivo impongono che il contenuto essenziale di dati come le qualifiche o le capacità professionali delle persone incaricate di eseguire l’appalto, la consistenza e la struttura dell’organico costituito in tale contesto, oppure la quota dell’esecuzione dell’appalto che l’offerente prevede di affidare a subappaltatori, sia accessibile a tutti gli offerenti”.
Per quanto riguarda, poi, i progetti da realizzarsi con l’appalto e le modalità della loro esecuzione, spetta sempre all’amministrazione valutare se costituiscano elementi meritevoli di tutela ai sensi della normativa sul diritto di proprietà intellettuale, e rientrino dunque all’interno dei motivi di rifiuto di divulgazione previsti dalla legge.
La riforma giudiziale
Da ultimo, la Corte afferma che nel caso in cui si accertino, in sede giurisdizionale, a fronte della proposizione di un ricorso avverso la decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico, degli obblighi in capo all’amministrazione di fornire l’accesso a delle informazioni erroneamente qualificate come riservate e la violazione del diritto ad un ricorso effettivo in virtù di detto mancato accesso, detto accertamento non deve comportare necessariamente l’adozione di una nuova decisione di aggiudicazione dell’appalto, purché il diritto nazionale consenta al giudice adito di adottare “provvedimenti che ristabiliscano il rispetto del diritto a un ricorso effettivo oppure gli consenta di stabilire che il ricorrente può proporre un nuovo ricorso avverso la decisione di aggiudicazione già adottata”.
Il termine per la proposizione di detto nuovo ricorso decorrerà dal momento in cui il ricorrente ha ottenuto l’accesso alle informazioni erroneamente qualificate come riservate.