Se per analizzare cosa è successo nel 2017 in materia di procurement pubblico prendiamo come parametro la cronaca, non possiamo non sottolineare due aspetti, entrambi molto negativi: le inchieste sulla corruzione, che mettono in luce sistemi molto precisi di aggiramento delle regole (vedi inchieste Consip della Procura di Roma), i tempi di aggiudicazione degli appalti, ancora molto lunghi e soprattutto appesantiti da un massiccio ricorso al contenzioso, che a sua volta comporta costi alti (dati commissione parlamentare di inchiesta sulla digitalizzazione della PA). Se invece partiamo dall’analisi di quanto hanno fatto politica e istituzioni, registriamo diversi passi avanti: il correttivo Codice Appalti, con molteplici novità sul fronte del procurement dell’innovazione (acquisti digitali della PA), i provvedimenti attuativi, il piano triennale AGID. Anche qui, però, i punti critici ci sono, sul fronte dell’attuazione normativa (la legge prevede circa 60 provvedimenti attuativi, per ora ce ne sono circa un terzo fra decreto ministeriali e linee guida), e su quello applicativo (fra i problemi più sentiti, il deficit di competenze interne alla PA per utilizzare al meglio gli strumenti del procurement dell’innovazione).
La principale novità
Per riassumere: esiste in generale un problema di funzionamento degli appalti pubblici, e più in particolare una sfida, ancora aperta, sul fronte degli appalti per acquistare innovazione. Il settore degli appalti vale, in Europa, oltre 2mila miliardi di euro l’anno, che significa il 14% del Prodotto interno lordo. Secondo le stime della Commissione UE, un miglioramento di efficienza pari al 10% comporta risparmi per 200 miliardi di euro l’anno. In Italia, il valore complessivo degli appalti 2016 (dati Anac), è stato pari a 111,5 miliardi di euro, considerando solo le aggiudicazione superiori ai 40mila euro, con un calo dell’8,1% rispetto all’anno precedente. Un andamento che con ogni probabilità è riferibile alle incertezze relative all’entrata in vigore del Nuovo Codice Appalti, che ha rallentato parecchio gare e procedure. Ricordiamo, in breve: il nuovo Codice Appalti, legge 50/2016, è entrato in vigore nell’aprile del 2016, ma è stato poi sottoposto a revisione, con il correttivo che è in vigore dal 20 maggio 2017. Quindi, il 2017 ha segnato l’importante passaggio della revisione che offre agli operatori la certezza delle norme. Questa è, probabilmente, la principale novità positiva dell’anno.
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L’auspicio è che il quadro regolatorio ormai definito, fra l’altro dopo un lungo processo legislativo che ha coinvolto tutti gli stakeholder e ha consentito le correzione in corsa giudicate necessarie, riesca a dare impulso concreto all’efficienza del settore e alla digitalizzazione del paese.
E questo è il secondo punto fondamentale: la digitalizzazione non è un semplice cambiamento procedurale e organizzativo, è un volano di crescita per il paese. Anzi, è il volano di crescita per il paese. Se le pubbliche amministrazioni non riescono a individuare correttamente i propri fabbisogni, e a rispondere quindi con un’adeguata opera di digitalizzazione, non ci metteremo solo più tempo a effettuare le pratiche burocratiche, ma perderemo la sfida della competività 4.0.
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Il nodo competenze
Acquistare tecnologia è difficile: richiede preparazione, estrema flessibilità, lungimiranza, capacità organizzativa e operativa. Il piano triennale AGID mette nero su bianco il cambio di paradigma necessario, sottolineando la centralità dei dati che deve essere la nuova base per individuare i fabbisogni della PA a cui l’acquisto digitale deve rispondere. Se questa operazione viene svolta correttamente, si valorizza anche la competenza di chi vende tecnologie nel predisporre risposte adeguate. Agendadigitale.eu dedica ampio spazio al tema delle competenze, anche sulla base dei risultati dei lavoro della commissione d’inchiesta: «il rischio – si legge – è che potremmo spendere tanto in tecnologia e avere un dipartimento con skill e competenze che non sono adeguate a gestirla. Il tema è quindi bilanciare la spesa con l’evoluzione sia delle infrastrutture tecnologiche sia delle applicazioni, ma soprattutto delle risorse umane interne». Interessante, a questo proposito, il confronto fra le competenze dei CIO di 60 paesi del mondo, dalla quale emerge che «nella ricerca di questi dirigenti si dovrebbero valutare meno gli aspetti tecnici e tecnologici e più la capacità manageriale». E ancora: l’avanzamento della tecnologia «impone la capacità di acquistare al momento giusto quello che si trova sul mercato, cercando di governare l’evoluzione e al contempo di semplificare i processi». Infine, «il tema delle competenze delle risorse umane nella pubblica amministrazione si lega direttamente a quello del lavoro di almeno un milione e mezzo di dipendenti pubblici, che, grazie alla crescita e al risparmio che la digitalizzazione può produrre, possono avere la possibilità di contribuire a migliorare i processi e i servizi».
Altro rilievo da tenere presente per il futuro: la capacità dei piani triennali di rispondere adeguatamente ai veloci cambiamenti che la digitalizzazione impone. Emerge l’esigenza di valorizzare verifiche periodiche e attività continuative di reporting che consentano dimisurare correttamente efficacia e qualità degli investimenti e controllo della spesa.
Ci sono poi tutta una serie di rilievi tecnici, che gli esperti analizzano, e che riguardano gli strumenti propri degli appalti innovativi (partneriati per l’innovazione, dialogo competitivo, appalto precommerciale), ancora poco utilizzati. E c’è l’impegno, da mantenere, di digitalizzare entro la fine del 2018 tutti i processi di acquisto della pubblica amministrazione.
Secondo le ultime stime dell’Osservatorio Agendadigitale del Politecnico di Milano, nel 2018 la PA taglierà spese correnti pari a 500 milioni di euro, recuperando risorse per gli investimenti. Gli investimenti pubblici in tecnologie digitale, che come detto sono bassi in Italia, aumenteranno del 15%, arrivando a 1,4 miliardi di euro e le spese effettuate tramite soggetti aggregatori cresceranno dagli attuali 1,4 a circa 2,4 miliardi di euro l’anno. La vera sfida è quella di spenderli bene.