MINISTERO DELL'AMBIENTE

Appalti verdi, i passi avanti del nuovo Codice

Il Codice Appalti non solo rende obbligatorio i criteri ambientali minimi, ma introduce novità su etichette verdi e certificati ambientali, e assegna all’ANAC il compito di monitoraggio sul green public procurement

Pubblicato il 22 Mag 2017

green procurement

Nel corso dell’ultimo triennio vi sono state novità di rilievo sugli appalti verdi, sia grazie al contributo del legislatore comunitario con le Direttive 2014/24/UE, 2014/25/UE e 2014/23/UE in materia di appalti pubblici e concessioni, sia, e soprattutto, grazie al legislatore nazionale. Prima intervenendo sul previgente codice dei contratti pubblici con la Legge 221/2015 e, di seguito, prevedendo analoga disposizione nel nuovo codice degli appalti pubblici e delle concessioni di cui al D. Lgs. 50/2016, ha reso obbligatori gli appalti verdi, ovvero l’applicazione dei Criteri Ambientali Minimi adottati ai sensi del Piano per la sostenibilità ambientale dei consumi nella pubblica amministrazione. Questa è senza dubbio la novità più importante in materia di appalti verdi.

Questo obbligo normativo, stabilito dall’art. 34 del D. Lgs. 50/2016, e la successiva modifica di cui all’art. 23 del D. Lgs. 56/2017, si incardina perfettamente in un contesto di normativa cogente e di atti di indirizzo di derivazione comunitaria, ad esempio le Comunicazioni sull’Economia Circolare e sull’uso efficiente delle risorse, nonché di accordi internazionali, quale l’Accordo sul clima di Parigi, che, per l’esigenza di contrastare il cambiamento climatico, la scarsità delle risorse, anche materiali, l’impatto ambientale delle emissioni di sostanze pericolose, invitano all’adozione di misure e strumenti efficaci per promuovere modelli di economia circolare, l’efficienza nell’uso delle risorse e dell’energia e il minor impiego e dispersione di sostanze chimiche pericolose.

D’altro canto, i dati sugli impatti ambientali generati dalle attività antropiche quali, a titolo esemplificativo, il consumo delle risorse, la produzione di rifiuti, l’inquinamento marino, la perdita di biodiversità, l’aumento delle temperature globali, lo scioglimento dei ghiacciai, evidenziano l’urgenza di intervenire con tutti i mezzi a disposizione per invertire la rotta.

La domanda pubblica, che vale il 20% del PIL europeo, rappresenta un’opportunità per sviluppare un’economia basata su conoscenza e innovazione, efficiente uso delle risorse, a basse emissioni di carbonio e competitiva, con un alto tasso di occupazione che favorisca coesione sociale e territoriale. Questi obiettivi, alla base delle motivazioni che, assieme all’obiettivo di rendere più efficiente l’uso dei fondi finanziari pubblici, hanno portato alla revisione delle citate Direttive comunitarie, sono anche gli obiettivi del Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione, che, peraltro, approccia anche alcuni aspetti etico-sociali.

Attualmente, grazie all’obbligo normativo, si è dunque delineata in Italia una politica omogenea e coerente in materia di appalti pubblici verdi e si è reso più efficace questo strumento, poiché solo se i requisiti ambientali domandati sono omogenei su ampia scala ed è significativo il volume di spesa orientato all’acquisto di prodotti o servizi con questi requisiti, possono effettivamente essere ottenuti dei benefici ambientali, sia diretti, sia generati dall’effetto leva sul tessuto imprenditoriale, incluso quello sulle catene di fornitura.

Peraltro, l’applicazione dei Criteri ambientali minimi, che sono le considerazioni ambientali definite per le diverse fasi di definizione dell’appalto (oggetto dell’appalto, selezione degli offerenti, specifiche tecniche, clausole contrattuali, criteri premianti) nell’ambito di un processo partecipato che coinvolge anche esperti e rappresentanti di operatori economici, consente di allocare meglio le risorse finanziarie pubbliche – scarse anch’esse – nell’ottica di razionalizzare ora i costi al momento dell’acquisto, ora i costi che si generano lungo il ciclo di ciclo di vita dei prodotti o dei servizi, inclusi quelli che sosterrebbero altri centri di spesa pubblica, che graverebbero in esercizi finanziari futuri, che si riverserebbero nell’economia nel suo complesso e nella collettività.

La competitività del tessuto imprenditoriale viene invece tutelata in quanto si favorisce l’innovazione che mira a ridurre, specie prospetticamente, i maggiori costi di approvvigionamento di risorse sempre più scarse, i costi di smaltimento e l’innovazione volta a conquistare quote di mercato di una domanda, anche privata, sempre più sensibile alla qualità ambientale dei prodotti, alle tecnologie ambientali.

Il Piano d’azione nazionale sugli appalti verdi quindi grazie alla citata norma che prevede l’applicazione obbligatoria dei Criteri ambientali minimi, attualmente definiti per 17 categorie di appalti pubblici di fornitura di prodotti e di affidamento di lavori e servizi, può ora diventare il principale strumento per ottenere da un lato una significativa riduzione degli impatti ambientali, per razionalizzare la spesa pubblica e per promuovere l’innovazione ambientale e sostenere le imprese che la perseguono.

Altra disposizione del codice che ha un ruolo in tal senso importante, questa di derivazione comunitaria, è quella che stabilisce la possibilità di aggiudicare le offerte ai minori costi lungo il ciclo di vita (art. 96 del D.Lgs. 50/2016), quali i costi connessi all’utilizzo, al consumo di energia o di altre risorse, i costi di manutenzione inclusi i costi del fine vita, i costi di raccolta, smaltimento e riciclaggio, i costi delle esternalità ambientali, qualora, in tal caso, il relativo valore monetario possa essere determinato e verificato. Per far ciò deve essere definita una metodologia, basata su criteri oggettivi, verificabili, non discriminatori, per imputare tale costo ai dati che gli operatori, con ragionevole sforzo, devono poter fornire.

Questa disposizione si configura come un traguardo di un lungo percorso della “politica sugli appalti pubblici” delineata dalle norme comunitarie, laddove nel Libro Verde della Commissione Europea sugli appalti pubblici del 1996 era chiarito che “gli elementi ambientali potrebbero svolgere un ruolo nell’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa ma soltanto nel caso in cui il riferimento a tali elementi permetta di misurare un vantaggio economico specifico alla prestazione oggetto dell’appalto a beneficio diretto dell’amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore”, mentre ora possono avere un ruolo elementi di costo che si riverberano in esercizi finanziari futuri, in altri centri di spesa pubblica e/o verso la collettività e/o il sistema economico complessivo. Aspetti ambientali e prestazionali con valenza ambientale possono avere un ruolo se misurabili, verificabili e valutabili in termini monetari in maniera oggettiva. Nelle more dell’individuazione di una apposita metodologia nei CAM, laddove sarà ritenuto opportuno per motivi tecnici, ivi inclusa la maturità del settore di riferimento nel poter fornire dati ambientali sulla base di metodologie di prova standardizzata, questa norma, in ogni caso, rende ulteriore merito alle pratiche di appalti verdi, che, sostanzialmente, mirano ad attribuire la gara a prodotti, tecnologie o opere pubbliche “verdi”, più efficienti sotto il profilo energetico e nell’uso delle risorse anche materiali, privi o con minore contenuto o emissioni di sostanze pericolose, e quindi con minori costi lungo il ciclo di vita rispetto ad altri, anche se, talvolta, possono avere un costo di acquisizione maggiore.

Ancora, un ruolo importante per le etichette e le certificazioni ambientali ed etiche. Grazie al legislatore comunitario, in particolare, è possibile farvi diretto riferimento come mezzo di prova per le caratteristiche ambientali (o sociali) se i requisiti per l’etichettatura riguardano solo l’oggetto dell’appalto, se sono basati su criteri oggettivi, verificabili e non discriminatori, se sono stabiliti mediante un processo aperto a cui possano partecipare tutte le parti interessate ed accessibili e i requisiti complessivi dell’etichettatura siano stabiliti da terzi sui quali l’operatore economico non possa esercitare un’influenza determinante.

Con questo criterio, si possono semplificare le attività di verifica per la stazione appaltante della conformità alle caratteristiche ambientali desiderate e viene stimolata la diffusione delle etichette ambientali, fondamentali driver per l’innovazione ambientale. In caso di mancato possesso di etichette ambientali (o di altro tipo), nei termini utili per l’accesso alla gara, l’operatore economico non è escluso ma è chiamato a giustificare il mancato possesso, che può essere accolto dalla stazione appaltante solo se la causa non è imputabile all’operatore economico stesso e se egli riesca a dimostrare, in maniera solida, la conformità ai criteri ambientali previsti dall’etichetta. Tale articolo, considerate le numerose etichette ambientali, le specifiche caratteristiche degli schemi di certificazione, il livello di diffusione di prodotti con etichette in ambito del mercato nazionale e comunitario, il diverso livello di selettività e quindi di possibilità di trovare riscontro in termini di offerta specie ai prezzi delle basi d’asta medi delle commesse pubbliche, rende ancora più evidente quanto sia stata opportuna la scelta di rendere obbligatori i Criteri ambientali minimi, che consentono di gestire questi aspetti sulla base di analisi tecniche e di mercato.

Altro impulso alla diffusione di etichette e le certificazioni ambientali ed etiche è stato fornito dal legislatore nazionale laddove ha previsto riduzioni dell’importo della garanzia fideiussoria, provvisoria e definitiva, a favore degli operatori economici in possesso di determinate etichette e certificazioni ambientali (artt. 93 e 103 del D.lgs. 50/2015).

Infine, tra le più importanti novità in termini di politica di appalti pubblici verdi, l’art. 125 del D.lgs. 56/2017, che assegna all’ANAC, sezione centrale dell’Osservatorio dei contratti pubblici, il compito di monitorare l’applicazione dei criteri ambientali minimi e il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal Piano d’azione per la sostenibilità dei consumi nel settore della pubblica amministrazione. Tale compito era stato previsto dall’art. 18 della L. 221/2015, in modifica ed integrazione al codice degli appalti previgente, ma non era stato confermato nel nuovo quadro normativo. La disposizione garantirà una coerenza normativa complessiva sul GPP, stimolerà maggiormente l’impegno dei responsabili dei procedimenti meno propensi all’applicazione dei Criteri ambientali minimi, e, finalmente, consentirà di stimare l’impatto economico ed ambientale derivante dal Piano d’azione per la sostenibilità dei consumi nel settore della pubblica amministrazione, almeno per alcune categorie di appalto e per alcuni impatti ambientali, dando, certamente, ulteriore stimolo allo strumento del PAN GPP, alla partecipazione attiva di tutte le parti interessate alla migliore definizione dei Criteri ambientali minimi e allo sviluppo di azioni sinergiche a vari livelli, tra vari attori pubblici e privati, per promuovere la green economy.

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