Non trova pace il Codice dei Contratti che è diventato un altro dei motivi di instabilità del paese e della incertezza nei rapporti giuridici oltre che di inefficienza della PA in uno dei settori vitali per il rilancio dell’economia pubblica del Paese.
A meno di un anno dall’entrata in vigore del Codice dei Contratti, presentato come “terminator” della corruzione nel settore dei lavori pubblici, e dopo la prima frettolosa correzione intervenuta intervenuta successivamente alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, nonostante le linee guida dell’ANAC, il Governo è dovuto intervenire nuovamente per approvare, in esame preliminare, un decreto legislativo “correttivo” che recepisce molti dei suggerimenti imposti in sede di applicazione pratica e delle fondate critiche mosse da numerosi giuristi.
Un intervento correttivo invasivo di ben 119 articoli su un testo di 217 emendati e rivisitati profondamente, ma senza che siano stati, ancora una volta, tra l’altro, apportate due delle innovazioni che avrebbero qualificato il nuovo testo e segnato un colpo decisivo a favore della eliminazione di spazio alle possibili corruttele.
La prima delle occasioni mancate consiste nel fatto che non si è modificata la norma in tema di servizi legali che il Codice elenca all’articolo 17, in materia di fattispecie escluse laddove prevede al 1 co., lettere c, d, che le disposizioni non si applicano agli appalti e servizi di cui alla lett. c) “concernenti i servizi d’arbitrato e di conciliazione; lett. d) concernenti uno qualsiasi dei servizi legali nei quali elenca, poi di seguito, la rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni: 1.1) in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro dell’Unione europea, un Paese terzo o dinanzi a un’istanza arbitrale o conciliativa internazionale; 1.2) in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro dell’Unione europea o un Paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali; 2) consulenza legale fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui al punto 1.1), o qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento, sempre che la consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni; 4) servizi legali prestati da fiduciari o tutori designati o altri servizi legali i cui fornitori sono designati da un organo giurisdizionale dello Stato o sono designati per legge per svolgere specifici compiti sotto la vigilanza di detti organi giurisdizionali; 5) altri servizi legali che sono connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri.
La seconda, delle occasioni mancate è che non si è avuto il coraggio di costituire l’albo nazionale dei professionisti ossia di quei professionisti legali (avvocati e magistrati) e tecnici da cui sorteggiare, volta per volta, i componenti delle commissioni di gare che avrebbero dovuto assicurare indipendenza e terzietà rispetto alle stazioni appaltanti e alle imprese concorrenti.
L’unica innovazione di un qualche significato che era stata apportata al testo, al primo alito di dissenso del Commissario ANAC, è stata eliminata e il governo ha presentato l’emendamento mirato a ripristinare, modificandolo, il potere di “raccomandazione vincolante” nei confronti delle stazioni appaltanti. La nuova norma prevede che l’ANAC potrà agire in giudizio contro i bandi, gli atti generali e i provvedimenti relativi a contratti di qualsiasi stazione appaltante che violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi o forniture. Laddove, quindi, l’Autorità dovesse ritenere l’esistenza di gravi violazioni potrà inviare un parere motivato, indicando i vizi di legittimità riscontrati e fissare un termine per l’adeguamento e in assenza potrà presentare ricorso al giudice amministrativo nei successivi 30 giorni. Tuttavia si ritiene, da parte di chi scrive, che questo potere attribuito all’ANAC, che si sovrappone a quello delle parti che hanno sempre il diritto costituzionale di far valere in giudizio loro diritti ed interessi legittimi di impugnativa, si sovrapponga al diritto riconosciuto in capo all’ANAC, sicché il preventivo potere preventivo di “correzione” dell’ANAC non potrà mai essere “certezza di regolarità del bando e della procedura”.
Così non è affatto difficile pronosticare che il nuovo articolo 52-bis, non fa altro che aggiungere ulteriori incertezze alla definitiva e totale giurisdizionalizzazione degli appalti pubblici che resteranno ancorati, sulla base di quelli che sono i tempi della giustizia amministrativa, ai tempi del processo amministrativo con l’aggiunta di ulteriori incertezze giuridiche a quelle già individuate dal Consiglio di Stato con il parere del 1 aprile 2016, n.855, alla natura delle linee guida vincolanti e non vincolanti adottate dall’ANAC.