IL PUNTO

Come innovare gli acquisti pubblici: le idee degli esperti al Governo

La parola agli esperti del settore che avanzano proposte anche innovative, come l’esclusione degli acquisti digitali dal Codice Appalti, e insistono sul ruolo chiave da restituire alle competenze da una parte e alla centralità dei servizi per il cittadino dall’altra. Spunti al nuovo Governo per migliorare gli acquisti pubblici

Pubblicato il 30 Lug 2018

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Pensare a una corsia dedicata agli acquisti digitali della PA, al di fuori delle regole del Codice Appalti, e un decalogo con le buone prassi per gli acquisti pubblici sono le ultime proposte che gli esperti di Agendadigitale.eu propongono a un anno (ormai abbondante) dall’entrata in vigore del nuovo Codice Appalti, come spunto di riflessione al nuovo Governo. Le ultime prima dell’estate, dovremmo aggiungere, perché la mission di questo giornale, di rappresentare un continuo stimolo per i policy maker proseguirà, naturalmente, anche dopo la pausa estiva. Ma i contributi che abbiamo raccolto in queste settimane rivestono una particolare importanza alla luce del fatto che cadono nei primi mesi di lavoro di un nuovo Governo che si presenta come innovativo, rappresenta effettivamente una forte cesura con il passato, e ha nel suo Dna la lotta agli sprechi e alla “cattiva politica”.

Codice Appalti e acquisti digitali

Gino Falvo parte da un presupposto originale, sfatando il mito di un codice appalti perennemente non funzionante: «il Codice degli appalti, al contrario, funziona eccome» spiega. Il problema sta nel fatto che si tratta di un testo «strutturato per realizzare opere infrastrutturali come strade, autostrade, ponti, linee ferroviarie; quelle opere, cioè, che hanno dei tempi lunghi di realizzazione e che, una volta pronte, durano decenni». Anche per queste opere, in realtà i tempi sono spesso e volentieri troppo lunghi, ma l’impatto di queste disfunzioni burocratiche è tutto sommato assorbito, nel tempo, dal fatto che si tratta di infrastrutture destinate a essere utilizzate per periodi molto lunghi. Il digitale, invece «invecchia molto prima delle strade e dei ponti». E da qui nasce l’idea: escludiamo dallo stretto ambito di applicazione del Codice Appalti gli investimenti in innovazione digitale.

Mettere al centro il servizio ai cittadini

Isabella Mori mette invece l’accento sull’esigenza di spostare il dibattito pubblico relativo al tema degli acquisti della PA «non tanto sull’introduzione di nuove norme e l’abrogazione delle vecchie, ma piuttosto sull’efficientamento delle procedure e su un reale coinvolgimento nelle stesse di tutti gli stakeholder, cittadini inclusi». Il tutto, partendo dalle esigenze dei cittadini, ai quali sono rivolti i servizi. E propone una decalogo messo a punto da Cittadinanzattiva, “La gara che vorrei”, che riguarda in particolare gli appalti in sanità. Sottolineiamo che un’impostazione molto simile viene proposta da Laura Castellani, che nel sottolineare l’esigenza di una forte spinta politica sull’innovazione a sua volta mette l’accento sul fatto che «le Pubbliche Amministrazioni comincino a rivedere il loro lavoro quotidiano anche nell’ottica del cittadino che usufruisce dei servizi online».

Proposte e considerazioni che si aggiungono a quelle pubblicate nelle scorse settimane, e che vanno a completare un quadro di spunti di riflessione che ha visto, lo ricordiamo, Mariano Corso mettere l’accento sull’importanza degli investimenti in formazione, managerialità, merito. E Paola Conio inserirsi invece nel solco di coloro che, più che sul cambiamento delle norme punterebbero sulla semplificazione delle procedure.

Appalti e Gdpr

Una raccomandazione civica, quella appena esposta, che forse sarebbe utile seguire anche per la scelta dei Dpo, data protection officer, figura prevista dal Gdpr, il nuovo regolamento privacy, obbligatoriamente per tutte le amministrazioni pubbliche. Pur a fronte di una pluralità di strumenti (a partire dal Mepa), denuncia Michele Gorga, «troppe amministrazioni fanno ricorso ai sistemi tradizionali, poco trasparenti e vietati, tanto che la discrezionalità spesso si trasforma in vera e propria arbitrarietà». Esempi: un’amministrazione che chiede l’iscrizione al servizio di formazione professionale della Regione, un’altra che invece punta sui Master, senza specificarne nemmeno l’ambito di interesse.

I dati Consip

Concludiamo con i dati, appena pubblicati, da Consip relativi all’andamento degli acquisti pubblici, che sono positivi per quanto riguarda il numero di contratti, in crescita, ma negativi sul fronte del contenzioso. Nel primo semestre cresce il valore dei contratti conclusi sia attraverso strumenti di acquisto sia utilizzando gli strumenti di negoziazione. Nel dettaglio, in base al report Consip, il valore dei contratti conclusi attraverso le Convenzioni ( contratti stipulati da Consip che consentono alle Amministrazioni di effettuare acquisti direttamente dai fornitori aggiudicatari delle gara, alle condizioni e ai prezzi stabiliti, fino al raggiungimento del quantitativo o dell’importo complessivo definito) è progressivamente salito nel periodo gennaio-giugno, raggiungendo alla fine del semestre quota 1,5 mld, con una crescita del 20% da maggio a giugno. In crescita anche gli accordi quadro (contratti che vengono aggiudicati a uno o più fornitori in seguito alla pubblicazione di bandi, e in base ai quali le pubbliche amministrazioni concludono appalti specifici). Nel primo semestre gli appalti specifici sono stati 925, contro i 128 dell’analogo periodo 2017, e in crescita del 47% da maggio a giugno.

Per quanto riguarda gli strumenti di negoziazione, il Mepa a fine semestre registra un valore erogato di oltre 1,6 miliardi di euro, in crescita da maggio a giugno del 22%, mentre lo Sdapa (sistema dinamico di acquisizione), ha raggiungo i 3,3 miliardi, con 155 appalti specifici, contro gli 80 del primo semestre 2017.

Infine, il contenzioso: prosegue l’aumento del numero dei ricorsi, che nel secondo trimestre è passato a quota 706, (dai 651 del periodo gennaio-marzo), con 197 questioni ancora pendenti (quindi non risolte), pari al 27%. In soldoni, significa che ci sono contratti bloccati per un valore pari a 1,3 miliardi di euro (anche qui, in crescita sul trimestre precedente, quando il valore dei contratti bloccati era intorno al miliardo di euro). Il fenomeno, sottolinea Consip, «si traduce in maggiori costi per lo Stato per ritardi e diseconomie di sistema, minore conformità alla disciplina vigente per effetto delle (conseguenti) proroghe tecniche, e servizi meno efficienti per i cittadini». Fra l’altro il 76% dei contenziosi si risolve in favore di Consip, evidenziando una forte presenza di ricorsi pretestuosi o infondati.

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