L’Europa – a maggior ragione l’Italia – viene spesso definita “vecchia” e mai come ora il processo di superamento ed adeguamento dei modelli operativi più tradizionali alla nuova strumentazione tecnologica rappresenta la priorità dell’Unione europea, anche nell’ambito dei contratti pubblici.
All’innovazione digitale, il Recovery and Resiliance Facility in primis pone, non a caso, particolare attenzione; questa è indicata come una delle 6 colonne portanti (pillar) su cui giustamente si basa la politica europea, obbligando gli stati dell’Unione a destinarvi almeno il 20% delle risorse messe complessivamente sul piatto (per l’Italia 209 miliardi di euro tra fondo perduto e prestiti), ad essa associando, quale obiettivo al 2025 (flagship), la riforma della pubblica amministrazione a mezzo di adeguati investimenti che ne rendano efficienti ed efficaci processi, procedure e servizi da rendersi alla generalità. In questo senso rileva come ben otto volte il Presidente del Consiglio Mario Draghi abbia evocato la digitalizzazione nel suo discorso di insediamento al Senato, altresì richiamando tre volte la necessità dell’innovazione; non si contano, poi, i riferimenti sul punto rilevabili nei contenuti dei successivi interventi svolti dai singoli parlamentari.
Innovazione e gestione dei contratti pubblici, gli obiettivi
Anche il più ristretto, ma economicamente assai rilevante, ambito delle procedure che presidiano la spesa del danaro pubblico tramite attivazione dei contratti di forniture e servizi, oltre che di lavori, è parte di questo momento di “chiamata alle armi” per il rinnovamento; in tal senso va rilevato come, nel suo intervento davanti alla Commissione VIII della Camera, anche il presidente dell’Anac abbia insistito sul punto, ricordando che ammonta a 200 miliardi annui il risparmio di spesa stimato, a livello complessivo UE, ricavabile dalla piena implementazione della digitalizzazione delle sole fasi di gara.
Recovery Fund, serve procurement più digitale per sfruttare l’opportunità: ecco perché
La questione, ancorché oggi di particolare attualità per lo sforzo volto al recupero ed alla ripresa su basi nuove che la pandemia ci impone, non è peraltro una novità: fin dal 2004 le direttive comunitarie in materia di contratti pubblici hanno puntato su acquisti tematicamente orientati e procedure elettroniche per innovare i processi, così come lo stesso modo di intendere la spesa pubblica e le regole che la presidiano.
Su questo fronte in Italia c’è ancora molto da fare: la data del 18 ottobre 2018, fissata dall’articolo 40, comma 2, del Codice dei contratti come termine ultimo per l’abbandono delle modalità cartacee di gestione delle procedure di affidamento di lavori, forniture e servizi, ha generalizzato l’uso delle piattaforme per l’esperimento delle gare formali senza peraltro incidere di molto sul tema nel suo complesso. Gestire in modo rapido, efficiente ed efficace i processi di spesa digitalizzando e mettendo in linea l’intero percorso realizzativo, partendo dalla progettazione con modalità BIM, per questo in grado di connettersi utilmente tanto con la fase di selezione dei concorrenti e di individuazione delle offerte più vantaggiose quanto con quella di esecuzione tramite la contabilità elettronica già oggi obbligatoria anche per forniture e servizi in base al DM 49 del 2018, per giungere fino al controllo sull’attività di manutenzione da svolgersi secondo le linee guida recentemente adottate dal MIT, sarebbe il quadro completo da realizzare magari utilizzando “procedure assistite”.
La gestione integrata, in forma digitale delle singole fasi di ciascun processo di spesa sembra, infatti, per un verso essere la strada più rapida da percorrere, cucendo insieme elementi innovativi in parte già presenti ed operanti, ma non collegati tra loro, in una visione complessiva di sistema.
Procedimenti assistiti per superare la “fuga dalla firma”
Ma questo è il primo dei passi da compiere, non essendo sufficiente prevedere solo la gestione digitalizzata, per così dire “in linea” delle singole fasi procedurali, collegate dall’utilizzo di una sola piattaforma; occorre infatti prevedere anche appositi software di raccordo, in grado di leggere in modo unitario i dati che vi convergono, gestendoli attraverso un filo conduttore di regole posto a monte dalle sedi istituzionalmente competenti all’interpretazione della legge, per questo – e solo per questo – idoneo ad esimere, legittimamente ed a regime, il pubblico funzionario da responsabilità, ad eccezione del caso di comportamenti dolosi.
È il tema del superamento dell’amministrazione cosiddetta “difensiva”, già ampiamente dibattuto, al quale il Presidente Draghi ha fatto espresso riferimento evocando la “fuga dalla firma” nella sua prima uscita pubblica dopo il voto di fiducia, in occasione dell’inaugurazione dell’attività per il 2021 della Corte dei Conti. La questione, legata ad un quadro legislativo che disciplina l’azione dei funzionari pubblici … specie da ultimo … “arricchito” di norme complesse, incomplete e contraddittorie e di ulteriori responsabilità anche penali … ha finito per scaricare sui funzionari pubblici responsabilità sproporzionate che sono la risultante di colpe e difetti a monte e di carattere ordinamentale; con pesanti ripercussioni concrete, che hanno talvolta pregiudicato l’efficacia dei procedimenti di affidamento e realizzazione di opere pubbliche e investimenti privati, molti dei quali di rilevanza strategica.
Gli strumenti necessari
Trattasi dunque di informatizzare ed associare all’operatività delle menzionate piattaforme unitarie apposite linee guida che, sopratutto a fronte di un quadro legislativo primario che dovrebbe tornare ad essere caratterizzato da contenuti generali ed astratti, come peraltro vorrebbero i principi cardine del nostro ordinamento costituzionale, sono il necessario presupposto di un’attività amministrativa ordinata, efficace e sopratutto predittibile, per lo meno nelle situazioni ordinarie, peraltro in linea con l’operare del legislatore comunitario che da sempre ne favorisce l’utilizzo a valle delle Direttive.
In sostanza, il punto è rendere interamente interagibili, in termini di linguaggio informatico, i singoli passaggi del processo realizzativo di un contratto pubblico, associando software basati su forme basiche di intelligenza artificiale in grado di indicare le opzioni percorribili in base alla normativa vigente ricavate dalle linee guida; ciò ferma restando la possibilità per il Responsabile del procedimento, elemento umano comunque indispensabile, di derogare alla procedura standard con adeguata motivazione, che solo in questi casi, ed in presenza comunque di un danno economico oggettivamente rilevabile, andrebbe scrutinata dagli organi di controllo.
L’impiego della blockchain
La notarizzazione informatica tramite blockchain delle attività svolte, ovvero degli stessi processi, oltreché della relativa documentazione informatica a supporto degli stessi, costituirebbe, poi, il necessario completamento del sistema, in grado di assicurare non solo ulteriore legittimità e certezza all’azione del pubblico funzionario, ma anche di superare il problema della sfiducia e reciproco sospetto tra quanti intervengono a vario titolo nei processi della spesa pubblica e chi è chiamato al controllo garantendo la verificabilità ex post dell’azione svolta, restituendo così anche tempestività ed efficacia all’azione amministrativa ed operatività al sistema.
Relativamente a questi due ultimi aspetti è noto che, se un’operazione anticiclica viene attivata con ritardo rispetto ad un complessivo progetto di recovery da altri in ipotesi già attivato, i suoi effetti possono rivelarsi addirittura controproducenti, il che contribuisce a spiegare perché l’Italia è da tempo sempre ultima nelle classifiche che misurano la crescita annua del PIL.
Qualificazione degli operatori economici e digitalizzazione
Nel più ampio contesto così tracciato si colloca, poi, il tassello della qualificazione degli operatori economici, che specie nel campo delle forniture e dei servizi risulta attualmente operare in modo spesso arcaico; in tal senso, l’esigenza di intervenire appare ancor più evidente se solo si considera che tale settore rappresenta oltre i 2/3 di un mercato che vale, approssimativamente, 160 miliardi di euro all’anno.
D’altro canto, costruire e gestire, da parte delle singole amministrazioni, vere e proprie vendor list, analogamente a quanto gli enti aggiudicatori operanti nei c.d. settori speciali con grande fatica ed impegno hanno negli anni messo a punto, non è operazione né facile né semplice, e probabilmente considerata in larga parte dispersiva visto il gran numero di stazioni appaltanti operanti sul territorio; in tal senso, peraltro, oltre alla gestione dei sub contratti rileva come sempre più la normativa di settore sembra optare, specie per i contratti di minor importo, verso affidamenti diretti o gare senza preventiva pubblicità, con invito ad operatori economici tratti da elenchi precostituiti ed aggiornati dalla singola stazione appaltante.
Nè il ricorso alla centralizzazione della spesa sembra essere, su questo aspetto, la soluzione, visto che l’accesso ai mercati elettronici è basato sul ricorso alle sole autodichiarazioni che, oltre a non garantire veridicità ai dati raccolti, non aiutano certo le stazioni appaltanti ad individuare l’operatore più adatto in termini di specifica capacità operativa rispetto alla prestazioni di cui esse necessitano, anche in rapporto all’attività in effetti precedentemente svolta (così, da ultimo, Tar Liguria 134/21).
Il punto, infatti, non è solo quello della disponibilità di informazioni attraverso l’unificazione delle banche dati su cui lo stesso Codice aveva, fin qui inutilmente, puntato, e che oggi ANAC vorrebbe meritoriamente rilanciare anche attraverso il recupero della Banca dati degli operatori economici; la questione riguarda la sistemazione e il riordino dei dati raccolti, il loro aggiornamento e la leggibilità delle informazioni disponibili, con conseguente possibilità di rapido ed efficace utilizzo, accompagnato dalla certezza e dalla veridicità, anche sul piano strettamente legale, di quanto acquisito; ciò, evidentemente, in funzione delle scelte finali da adottare da parte dell’acquirente, specie se amministrazione pubblica.
Viceversa, attraverso un sistema di raccolta, riordino e classificazione dei singoli elementi raccolti, come ad esempio l’anno di costituzione, il fatturato, i dati di bilancio, i contratti eseguiti con indicazione di importo, nome del committente, relativa durata, oggetto ecc., resi leggibili attraverso un certificato “parlante” a vantaggio della singola stazione appaltante che intenda utilizzarlo, tanto per la qualificazione in gara che per la definizione di liste di imprenditori “pre qualificati” da cui attingere a seconda del caso, senza dover a propria volta qualificare dalle basi tutti gli operatori che vogliano farne parte, la gestione degli affidamenti e dei subaffidamenti risulterebbe senz’altro facilitata, trasparente, più efficace e sicura.
Ciò per il fatto che tutti i dati su cui il certificato “parlante” si basa sono raccolti e classificati da organismi in possesso della necessaria capacità professionale, e della legittimazione giuridica a svolgere tale compito nel campo della qualificazione nei contratti pubblici riconosciuta dalla legge, e che tali dati, incluso il certificato stesso, sono versati in una blockchain, ciò che conferisce ad essi assoluta certezza legale e garanzia di immodificabilità. Tale sistema consentirebbe alla stazione appaltante di decidere a ragion veduta sul singolo operatore economico da coinvolgere nella procedura.
Innovazione digitale: l’investimento sulle competenze
Il processo di innovazione dell’amministrazione pubblica attraverso la digitalizzazione dei processi implica, infine, un forte investimento sul capitale umano, sia attraverso un massiccio programma di assunzioni che attraverso la riqualificazione di quello esistente, attraverso la formazione. Ancora una volta in questo senso rassicurano gli auspici del Presidente Draghi, che di fronte alla Corte dei Conti ha affermato che bisogna agire sul versante del rafforzamento della qualità dell’azione amministrativa, a partire dalle competenze delle persone, mentre dalla relazione di insediamento si apprende che è intenzione del Governo riservare particolare attenzione agli istituti tecnici in quanto pilastro importante del sistema educativo essendo stato stato stimato – continua la relazione – in circa tre milioni, nel quinquennio 2019-2023, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale, e che il Programma nazionale di ripresa resilienza assegna un miliardo e mezzo agli istituti tecnici, venti volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia.
Siamo forse davanti a quel salto di qualità in tema di innovation che da tempo si auspica e che fin qui è mancato; l’augurio e di riuscirci finalmente, cosa di cui non potremmo che rallegrarci.