codice appalti

Corruzione nella PA, tre motivi per essere pessimisti

Il whistleblowing, previsto nel piano dell’ANAC, potrebbe non servire a niente, tanto che il fenomeno delle corruttele è in crescita, cosi come sono oramai manifeste le violazioni che le PA perpetrano alla luce del sole. Scrivere e riscrivere norme sul Codice degli Appalti non è utile per curare la corruzione

Pubblicato il 17 Lug 2017

Michele Gorga

avvocato

Procurement

Un  bravo, ma vecchio  docente di latino, amava segnare la differenza tra la sostanza del lessico latino e il “fumo negli occhi” linguistico espresso per mezzo di parole in lingua Inglese, come il segno del disorientamento individuale e collettivo quale “effetto collaterale” della moderna società della comunicazione.

Così è per “Il whistleblowing” che tradotto altro non è che l’istituto che tutela i pubblici dipendenti che segnalano i reati dei quali, in adempimento del loro ufficio, vengono a conoscenza.

Un “nuovo modo” di essere dipendente pubblico, il quale con le proprie segnalazioni dovrebbe richiamare l’attenzione delle autorità su condotte di illegalità, riconducibili a una qualificazione in senso lato, non esclusivamente penalistica, di corruzione intesa come comprensiva dei comportamenti di maladmistration, con il precipuo fine di riportare le procedure amministrative e i comportamenti dei dipendenti pubblici nell’alveo della legalità, in un’ottica di prevenzione della corruzione.

L’istituto, previsto nel piano anticorruzione dell’ANAC e materia di una proposta di legge, di fatto, come tutti gli altri “correttivi” introdotti nel Codice dei Contratti,  non servirà a niente, tanto che il fenomeno delle corruttele, lungi dal diminuire, è in crescita esponenziale e capillare. Cosi come sono oramai manifeste le violazioni che le amministrazioni pubbliche perpetrano alla luce del sole e nell’indifferenza di chi dovrebbe controllare.

Esempio ne sono tre casi recentissimi: il primo che si sostanzia nella mancanza per gli appalti pubblici di quell’albo fatto di professionisti esterni per la composizione delle commissioni  di valutazione e aggiudicazioni dei contratti pubblici. Professionisti da scegliere a sorteggio con il divieto di più di un incarico presso la stessa P.A. Il motivo di giustificazione, puerile, di non adozione di un meccanismo così semplice e  trasparente, da parte dell’ANAC, è che vi sarebbe stato un costo per remunerare i professionisti esterni.

Il costo, però, sarebbero stato lo 000,1 di quello che attualmente è il costo stimato della  corruzione nelle forniture pubbliche.

Il secondo caso  emblematico è quello degli Organismi Indipendenti di valutazione, in sigla gli OIV. Fatta la legge, con l’istituzione dell’albo delle amministrazioni, è stato trovato l’inganno, in quanto queste restano libere di scegliere il candidato a loro gradito iscritto nell’albo.

Si è messa in atto una procedura e una spesa amministrativa senza nessuna influenza sull’arbitrio della scelta del controllore da parte del controllato.

Il terzo caso eclatante è quello dell’Autorità garante della privacy che per poter espletare procedura di selezione pubblica ha dovuto preventivamente espletare la procedura di interpello per la mobilità, pubblicata nella G.U. concorsi n. 19 del 10.3.2017.  Ebbene per  i posti messi a disposizione per la mobilità ben otto funzionari (cinque  del profilo giuridico-amministrativo e tre del profilo informatico/tecnologico)  è stato richiesto il requisito lavorativo di cui all’art. 2, punto 2, lettera b) dell’avviso di mobilita che non solo è un requisito che non pare sia posseduto da alcuno dei funzionari della stessa Autorità, ma che non risulta essere in possesso neanche degli stessi dirigenti, commissari interni dell’Autorità “garante” , come risulta dai loro curriculum vitae, di chi  ha firmato il bando, fatto la procedura selettiva e le comunicazioni di non ammissione.

Casi viventi di maladmistration per i quali ANAC è distratta così come lo è stata su tutte le  corruzioni scoperte dalla magistratura, dove, viceversa, risultavano procedimenti trasparenti in sede amministrativa ossia “le carte apposto”. Basti ricordare i controlli fatti dall’ANAC, per EXPO, che addirittura ne certificava la regolarità e ne faceva pubblico vanto.

Ora il Governo e l’informazione governativa, televisiva e della carta stampata, hanno fatto dell’ANAC e del suo presidente il campione dell’anticorruzione, sovraesponendo l’Autorità tanto che per un periodo, ed ancora adesso, non si muove foglia se prima non si senta, applichi, interpelli l’ANAC e ciò ha creato un’altra distorsione poiché il legislatore e i cittadini sono rimasti ostaggio degli sbagli di una impostazione dell’anticorruzione semplice foglia di fico.

Sulla base di questo totem si fanno norme che nell’ipotesi migliore non servono a niente e in quella peggiore creano danni.

Scrivere e riscrivere norme sul Codice degli Appalti non serve per curare la malattia che è la corruzione. Così come non ha senso aumentare le pene se i processi non si fanno e quando si fanno finiscono con la prescrizione.

Le “Autorità amministrative” nella loro versione attuale per il contrasto alla corruzione non servono a un bel niente perché si limitano di fatto, sprecando risorse,  ad attività di monitoraggio e raccolta dati ai fini di divulgazione parascientifica  e che  non dovrebbe  essere, com’è fatto con le pubblicazioni di libri da parte dei  vertici dell’ANAC che così sottraggono il loro prezioso tempo a quello del  lavoro istituzionale.

Nessun peso hanno poi avuto sul fenomeno della corruzione e sull’attività dell’ANAC la reintroduzione di sanzione per il falso in bilancio, l’introduzione del reato di auto-riciclaggio, l’estensione della responsabilità del funzionario pubblico all’incaricato di pubblico servizio, lo sconto di pena per chi collabora nelle indagini sulla corruzione, e questo perché l’ANAC, in relazione ai contratti e appalti pubblici, non può fare intercettazioni e non ha alcun potere proprio dell’autorità giurisdizionale.

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