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Direttiva whistleblowing, tiriamo le somme: gli impatti sugli appalti



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Entrate in vigore in UE le ultime leggi di recepimento della direttiva europea sul whistleblowing, è possibile fare un bilancio della situazione, in particolare riguardo al settore del procurement

Pubblicato il 16 ott 2024

Francesco Rubino

Partner dello studio legale tributario Morri Rossetti



leadership digitale (1) whistleblowing

Con l’entrata in vigore delle ultime leggi di recepimento della Direttiva whistleblowing, da parte di Estonia e Polonia, è possibile fare un punto sull’adeguatezza delle norme nazionali rispetto agli obiettivi fissati a livello europeo. Le criticità segnalate a tal riguardo dalla Commissione UE e da Transparency International, valutati insieme ai dati statistici raccolti da ANAC sull’applicazione del D.lgs. 24/2023 negli enti pubblici e privati italiani, offrono importanti spunti per riflettere sulle azioni di miglioramento che i legislatori e gli enti destinatari delle norme potrebbero attuare per garantire una migliore attuazione dei principi e delle regole a tutela dei segnalanti.

Ciò vale soprattutto in un settore delicato come quello degli appalti, in cui i dubbi applicativi delle norme e la scarsa sensibilizzazione del personale coinvolto giocano un ruolo disincentivante sull’emersione di violazioni.

Il punto sul recepimento della Direttiva whistleblowing

Con l’Estonia e la Polonia, che tra il maggio e il giugno scorsi, hanno finalmente recepito la Direttiva UE 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione (c.d. “Direttiva Whistleblowing”), tutti i Paesi membri dell’Unione Europea dispongono ora di una propria legge, che dovrebbe (e l’uso del condizionale lo si comprenderà meglio nel proseguo) attuare a livello nazionale tutti i principi e i criteri stabiliti dal legislatore europeo.

Diventa, dunque, possibile a questo punto formulare alcune prime considerazioni sul livello di adeguatezza e conformità delle leggi nazionali ai principi e criteri stabiliti dalla Direttiva Whistleblowing, nonché evidenziare criticità e lacune normative che potrebbero ostacolare il completo raggiungimento degli obiettivi fissati a livello europeo.

Sia Transparency International[1], l’organizzazione internazionale non governativa che da anni si occupa di lotta alla corruzione, che la Commissione UE[2] hanno recentemente pubblicato un report sull’attuazione e applicazione della Direttiva Whistleblowing da parte degli Stati membri, evidenziando gli aspetti positivi, ma anche e soprattutto le criticità e mancanze che caratterizzano alcune delle leggi di recepimento nazionali.

La Commissione, in particolare, nella relazione pubblicata lo scorso luglio, oltre a rammaricarsi del recepimento complessivamente molto tardivo della Direttiva, ha rilevato nelle normative nazionali alcune carenze rispetto alle tematiche chiave disciplinate dalla norma europea, quali l’ambito di applicazione materiale, le condizioni di protezione e le misure di protezione contro le ritorsioni, in particolare le esenzioni dalla responsabilità e le sanzioni.

Come illustrato nella relazione, la Commissione continuerà a monitorare il rispetto della Direttiva da parte degli Stati membri e adotterà le misure appropriate per garantire il corretto recepimento e l’attuazione efficace dell’importante normativa dell’UE, anche avviando procedure di infrazione, se necessario.

È logico, dunque, doversi aspettare per il futuro un’evoluzione delle legislazioni nazionali, che con ogni probabilità subiranno interventi riformatori al fine di meglio conformarsi agli indirizzi impressi dal legislatore europeo.

L’ambito di applicazione oggettivo della normativa

L’ambito di applicazione oggettivo è un elemento cruciale della legge sulla protezione dei segnalanti, in quanto determina quali tipi di condotte illecite/irregolari sono coperte dalla normativa e dunque al ricorrere di quali ipotesi potranno operare le tutele e le garanzie sancite in favore del whistleblower.

Per tale ragione è evidente che quanto più l’ambito di applicazione della legge sia completo, coerente e chiaro ai suoi destinatari, tanto più il sistema di protezione del segnalante sarà efficace. Di fronte a un campo di applicazione particolarmente frammentario, il potenziale segnalante potrebbe infatti trovarsi in dubbio circa l’operatività nel caso che lo riguarda delle misure protettive previste dalla legge e, di conseguenza, preferire di non agire, rimanendo in silenzio.

A causa della limitata competenza legislativa dell’UE, il campo di applicazione materiale della Direttiva Whistleblowing è limitato e frammentato, coprendo solo le segnalazioni di violazioni del diritto dell’UE e solo in determinati settori.

Per mitigare questa intrinseca limitazione, la Direttiva ha previsto la facoltà degli Stati membri di estendere la protezione prevista dalla legge nazionale ad aree e tipologie di violazioni non coperte dalla Direttiva e la Commissione UE ha a sua volta incoraggiato gli Stati ad adottare un quadro nazionale di protezione dei segnalanti “completo e coerente”.

Tale invito, tuttavia, come emerge nel Report di Transparency, è stato accolto solamente da otto Stati membri (Danimarca, Francia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Slovenia e Svezia). Tutti gli altri, invece, tra cui anche l’Italia, hanno adottato una legislazione con un campo di applicazione frammentato o limitato, che – sempre secondo Transparency – creerà molte sfide di attuazione per i segnalanti, le istituzioni pubbliche, le aziende, le autorità competenti e i giudici.

L’ambito di applicazione personale della normativa

Nella Direttiva Whistleblowing, l’ambito di applicazione personale della norma è stabilito dall’articolo 4, il cui obiettivo è evidentemente quello di garantire la protezione alla più ampia gamma di persone che, in virtù delle loro attività lavorativa, hanno un accesso privilegiato alle informazioni che riguardano le violazioni e che, però, potrebbero subire ritorsioni se decidessero di rivelarle.

L’articolo 4, paragrafo 1,contiene un elenco indicativo delle categorie di persone che rientrano nel campo di applicazione della Direttiva. La Commissione nella sua Relazione evidenzia che alcuni Stati membri hanno fornito un elenco esaustivo, mentre diversi altri non hanno recepito alcune categorie elencate nel citato articolo, come, ad esempio, “tirocinanti retribuiti e non”, “volontari”, “appaltatori” o “fornitori”.

Tra le normative nazionali che presentano delle carenze rispetto alle disposizioni della legislazione europea afferenti tale aspetto, non sembra però rientrare quella italiana. Il D.lgs. 24/2023 (con il quale l’Italia ha dato attuazione alla Direttiva europea), all’articolo 3 contiene infatti un elenco esteso e completo dei destinatari della norma, che include, oltre ai dipendenti, anche i lavoratori autonomi e i collaboratori che svolgono la propria attività lavorativa presso enti pubblici o privati e i lavoratori o collaboratori che svolgono la loro attività lavorativa presso soggetti del settore pubblico o privato e che forniscono beni o servizi o realizzano opere in favore di terzi.

A differenza, quindi, di altri Stati europei, in Italia la normativa Whistleblowing opera anche nell’ambito degli appalti e dei rapporti con i fornitori, ben potendo i soggetti che lavorano per l’appaltatore segnalare la violazione di illeciti dei quali siano venuti a conoscenza nello svolgimento dell’attività lavorativa in favore della società appaltante e godere delle tutele previste dalla legge.

L’importanza del whistleblowing nel settore degli appalti

Quello degli appalti è un settore delicato, nel quale i rapporti tra appaltante e appaltatori sono spesso scenario di possibili violazioni sia in ambito corruttivo, che in relazione alle norme tributarie, in materia di salute e sicurezza e giuslavoristiche.

Di ciò si è da tempo avveduta anche l’autorità giudiziaria italiana, che ha sempre più focalizzato l’attenzione sulla repressione delle condotte illecite commesse nei rapporti con i fornitori, arrivando negli ultimi anni ad applicare provvedimenti di amministrazione giudiziaria nei confronti di diverse società operanti nei settori della logistica, della security, della moda e del delivery, proprio per l’inadeguatezza dei controlli svolti sulla catena di fornitura, caratterizzata dalla commissione di condotte non compliant con la normativa in materia di salute e sicurezza, giuslavoristica e tributaria.

E, in effetti, che quello degli appalti sia un settore particolarmente sensibile ai rischi di illecito, lo dimostrano anche i dati raccolti da Transparency International Italia nel suo Report 2023 Whistleblowing pubblicato lo scorso giugno, che ha utilizzato le segnalazioni ricevute tramite la piattaforma ALAC – Allerta Anticorruzione nel 2023 come campione per fornire alcune statistiche.

Tra gli elementi emersi, vi è infatti il dato che proprio quello degli appalti è l’ambito che, dopo quello attinente alla “maladministration”, registra il numero più alto di segnalazioni.

Nonostante ciò, però, un altro dato che emerge – questa volta dal “Monitoraggio sulle criticità nell’applicazione della disciplina whistleblowing” pubblicato da ANAC lo scorso 18 marzo – è l’estrema esiguità delle segnalazioni provenienti da personale alle dipendenze dell’appaltatore.

Gli interventi di miglioramento

I dati sopra riportati sono indicativi della scarsa efficacia e/o difficile applicazione della normativa a tutela del segnalante in un ambito tanto sensibile e rischioso come quello degli appalti. Affinché gli obiettivi di emersione delle condotte illecite commesse nei contesti lavorativi e di creazione di realtà aziendali (pubbliche e private) improntate a principi di legalità e trasparenza, condivisi dalla legislazione europea e nazionale, possano dirsi correttamente perseguiti anche nell’ambito degli appalti, è necessario che sia i legislatori nazionali che gli enti destinatari della normativa whistleblowing agiscano nell’ottica di incentivare ed agevolare anche chi opera per l’appaltatore a segnalare le violazioni di cui venga a conoscenza.

Per quanto riguarda gli enti (pubblici o privati) cui si applica la normativa, questi dovrebbero attuare meccanismi di incentivazione che comprendono, ad esempio, la pubblicazione sul proprio sito aziendale delle procedure whistleblowing adottate (adempimento che in tante società non hanno ancora implementato), affinché siano note ed accessibili a tutti – anche non dipendenti della società – le regole e i canali per la segnalazione, nonché le misure di protezione offerte ai segnalanti.

Allo stesso modo, gli stessi enti dovrebbero garantire una migliore consapevolezza circa il contenuto della legge e della procedura in ambito Whistleblowing, estendendo le iniziative informative e formative al personale di enti terzi, che a loro forniscono beni o servizi. Per quanto concerne gli interventi legislativi, invece, sarebbe importante intervenire sulla normativa di recepimento della Direttiva laddove, come evidenziato sopra, l’ambito di applicazione oggettivo sia particolarmente frammentario e incompleto.

In Italia, infatti, così come in Belgio, le informazioni che possono essere oggetto di segnalazione nel settore privato e in quello pubblico sono diverse, con un ambito di applicazione più ristretto per il settore privato. Questo approccio solleva molte questioni in termini di applicazione pratica. Cosa può denunciare un whistleblower che, per esempio, lavora per un appaltatore privato di un ente pubblico? Dipenderà dall’organizzazione a cui si riferisce l’illecito, sia essa il suo datore di lavoro privato o l’ente pubblico con cui lavora, ovvero dal soggetto con cui ha instaurato un rapporto di lavoro?

La stessa domanda ce la si potrebbe porre nel caso in cui a voler rivelare una violazione appresa nello svolgimento delle attività oggetto dell’appalto sia il dipendente di una piccola società appaltatrice (non rientrante nel campo di applicazione del D.lgs. 24/2023). I dubbi sulla concreta applicazione al caso di specie delle tutele previste dalla legge potrebbero spingere – e anzi spingono – i potenziali segnalanti a desistere dall’esporsi, per timore che le garanzie di riservatezza e i divieti di ritorsioni non operino nei loro confronti.

Di queste ed altre questioni dovranno occuparsi il legislatore, le organizzazioni di settore e le stesse imprese destinatarie della normativa Whistleblowing se vorranno adottare le misure correttive necessarie a far sì che gli obiettivi della Direttiva UE siano effettivamente e compiutamente raggiunti.


[1] Il Report del 2023 di Transparency international è intitolato “How well do EU Countries protect whistleblowers?”.

[2] Si tratta della “Relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio sull’attuazione e l’applicazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, sulla protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione” pubblicata il 3.7.2024.

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