Aggiornare le linee guida, uscire dalla logica del massimo ribasso e passare a una logica di prodotto, maggior attenzione alle competenze all’interno della pubblica amministrazione (con uno sforzo particolare chiesto a Consip), potenziamento di una serie di misure per il procurement dell’innovazione previste dal Codice Appalti: le conclusioni della commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione della PA mettono in luce non poche criticità relative al sistema degli appalti pubblici, che pure nell’ultimo anno e negli ultimi mesi ha conosciuto importanti novità normative e procedurali, dal Nuovo Codice Appalti alle linee guida AgID.
Paolo Coppola non usa mezzi termini: “la radice di quasi tutti gli sprechi, delle inefficienze, delle mancate occasioni di risparmio, sta nell’assoluto disinteresse della PA riguardo alle competenze“. Si tratta di un tema a cui Agendadigitale.eu dedica attenzione da diverso tempo, non solo in materia di procurement. E’ uno dei paradigmi di riflessione che si impongono quando si affrontano i temi della digitalizzazione e dell’innovazione, a tutti i livelli: acquisti della PA, quindi procurement, ma anche dematerializzazione, efficienza dei processi, industria 4,0, sicurezza, smart city. Ci vogliono competenze specifiche, che, sottolinea lo stesso Coppola, prevedono formazione e nuove assunzioni. Altrimenti, si alimenta un errore di fondo, quello di concepire il digitale come acquisto di tecnologia, da progettare e realizzare in outsourcing, spesso solo per ottemperare a qualche previsione normativa, senza nessuna pretesa di ottenere e nemmeno misurare risparmi o benefici di qualsiasi natura”.
Facciamo un passo indietro, e vediamo alcuni dati che emergono dall’inchiesta della commissione della Camera, approvata alla fine di ottobre: il dato di partenza, è che l’Italia è quartultima in Europa per livello generale di digitalizzazione, al 25esimo posto su 28 (Digital Economy and Society Index). Il piano triennale AgID indica che la spesa ICT della pubblica amministrazione è pari a 5,7 miliardi annui. Significa, ha spiegato in audizione Gaetano Santucci (Consip), “una spesa pro capite per cittadino di 85 euro, che confrontato con quello degli altri Paesi risulta effettivamente basso“. Fra le criticità che emergono, la scarsa penetrazione di Consip (la centrale acquisti), che di fatto è pari al 24% (circa 1,3 mld di spesa ICT). L’obiettivo per il prossimo futuro, si legge nella relazione della commissione d’inchiesta, è quello di raddoppiare l’incidenza di Consip, passando quindi dal 25 al 50% della copertura di spesa ICT, “andando più verso la messa a disposizione delle amministrazioni di strumenti che consentano di acquisire servizi, piuttosto che beni”.
L’acquisto di servizi è un elemento critico. Lo stesso Santucci sottolinea come Consip riesca “ad avere prezzi particolarmente favorevoli e competitivi sui beni per fenomeni di economie di scala e un po’ meno sui servizi, perché i servizi, soprattutto quelli ad alto contenuto di impegno professionale, scontano comunque il fatto che non possono andare al di sotto dei costi della manodopera”.
Fra gli altri punti dolenti, i costi del contenzioso. Qui inseriamo i dati Consip, secondo cui il contenzioso tiene bloccati 2,6 miliardi di possibili transazioni commerciali tra amministrazioni e imprese, ovvero lo 0,2% del Pil nazionale. Tornando alle audizioni parlamentari, secondo Consip “la quantità di controlli formali in fase di gara è enorme, così come i tempi del contenzioso, da cui consegue una forte ricaduta sui tempi della gara”. Tempi che, spesso, sono appesantiti anche da una domanda poco qualificata, sottolinea di nuovo Santucci, spiegando che “dal concepimento di una gara alla stipula del contratto, trascorrono mediamente quindici mesi”. Su questo specifico punto, ci sono dati precisi: la commissione ha incrociato i dati di Consip e Anac (anticorruzione) sulle gare bandite dal 2011 al 2017. Risultato: 34mila 183 gare totali, corrispondenti ai servizi ICT erogati verso la Pubblica Amministrazione a partire dal 1° gennaio 2011. Questo dato è stato poi depurato togliendo oltre 3mila gare in cui Anac ha rilevato errori. Alcuni dati rilevanti: nell’85% dei casi alle gare partecipa un solo fornitore (che poi evidentemente, si aggiudica la gara). Calcolando anche quelle con due soli partecipanti, si arriva al 90%.
In media, fra la pubblicazione e l’aggiudicazione di una gara passano 63 giorni, quindi circa due mesi, ma in realtà i tempi medi cambiano parecchio a seconda della procedura di gara: si va dai 12 giorni dell’affidamento diretto in base a un accordo quadro ai 224 della procedura ristretta derivante da avvisi con cui si indice la gara. Il 15% delle gare viene aggiudicato lo stesso giorno della pubblicazione (nel 99% dei casi, all’unico partecipante). Ci sono anche classifiche curiose: il podio negativo di tempo medio di aggiudicazione di una gara vede al primo posto il Comune di Fiesole (772 giorni, circa due anni), Comune di Modugno (715 giorni), Provincia di Terni (688 giorni). Fra i ministeri, tempi più lunghi per Politiche Agricole e Forestali, 381 giorni (più di un anno), in particolare per quanto riguarda le Risorse Alimentari e Forestali (143 giorni), seguito dalla Direzione Informatica del ministero della Difesa, (89 giorni).
Tornando all’analisi, la spesa delle PA italiane in ICT non risulta eccessiva, ma “sicuramente emerge una scarsa capacità di controllo della qualità della spesa, soprattutto per quanto riguarda i sistemi informativi e l’impatto che dovrebbero produrre, sia in termini di risparmi, sia in termini di miglioramento della qualità dei servizi, che non viene quasi mai misurato”. E ancora: “la mancanza di adeguate competenze interne impedisce alla PA di contrattare adeguatamente con i fornitori, di progettare correttamente le soluzioni necessarie, di scrivere bandi di gara che selezionino il prodotto o il servizio più adeguato e aperto a nuove implementazioni e, infine, di controllare efficacemente lo sviluppo e la realizzazione delle soluzioni informatiche. Si portano avanti i progetti, spesso con ritardi inaccettabili, ma anche quando sono conclusi sembra che non abbiano portato nessun
miglioramento sostanziale e si passa quindi al progetto successivo, in un circolo vizioso. La mancanza di competenze adeguate, soprattutto nei livelli apicali, e una concezione desueta del digitale, visto come ancillare, di servizio e non come strategico, porta al rischio sistematico di impiego inefficiente di denaro pubblico, in alcuni casi vero e proprio spreco”.
Per quanto riguarda più nel dettaglio il procurement, la Commissione ritiene che sarebbe di utilità “aggiornare le linee guida, imponendo una disciplina dei bandi che preveda studi di fattibilità e progettazione dei sistemi informativi prima della messa a bando della realizzazione, in modo da specificare meglio gli obiettivi di digitalizzazione e gli indicatori di risultato del progetto” e “uscire dalla logica del massimo ribasso sul costo dei function point e passare ad una logica di prodotto, con opportune metriche di qualità”, esprime “perplessità sulla reale capacità da parte di Consip di stimare correttamente la consistenza delle basi applicative esistenti in termini di punti funzione”, anche perché non essendoci nelle pubbliche amministrazioni “le competenze necessarie, spesso il dimensionamento viene fatto direttamente dal fornitore senza un effettivo controllo da parte pubblica. La mancanza di controllo sull’effettiva consistenza rischia di portare a un sovradimensionamento dii bandi di manutenzione e sviluppo dei sistemi esistenti”.
Sottolineiamo che la Commissione d’inchiesta ritiene che si debbano sfruttare maggiormente alcune novità previste dal Codice degli Appalti, come il Dialogo Competitivo (articolo 64), e il Partenariato per l’Innovazione (articolo 65), oltre ad aumentare il controllo sulle procedure. Altra proposta: dedicare una commissione permanente ai temi del digitale. Infine, attenzione alle buone pratiche individuate sul territorio (Provincia di Trento, Agenzia veneta pagamenti in agricoltura, INAIL, Team Digitale, Agenzia delle Dogane), in cui “la presenza di competenze adeguate ed un approccio manageriale con una gestione dei progetti formalizzata e basata su indicatori di risultato dimostrano che la corretta digitalizzazione della PA è possibile e i benefici in termini di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa sono notevoli”.