Un passo verso l’adeguamento del Codice degli Appalti alle norme UE e al superamento della confusione normativa, ma le difficoltà persistono. A febbraio il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge delega che incarica il Governo di adottare uno o più decreti legislativi per la razionalizzazione, il riordino, il coordinamento e l’integrazione della normativa in materia di contratti pubblici, nella necessità di superare le attuali criticità e problematiche operative, nonché di uniformarsi alle prescrizioni dell’UE, adeguando la disciplina interna alle Direttive 23, 24 e 25 del 2014.
Si tratta dell’ennesimo provvedimento destinato ad incidere profondamente sull’assetto normativo di un settore da tempo in forte sofferenza, determinata in larga parte dalla carenza di stabilità legislativa. La disomogeneità strutturale del vigente Codice degli Appalti, unitamente alla mancata emanazione di numerosi provvedimenti attuativi previsti, hanno generato un diffuso disorientamento da parte di pubblici funzionari e di operatori economici, che individuano proprio nel testo del 2016 uno dei principali responsabili della crisi del comparto delle opere pubbliche.
Gli ostacoli
Le indubbiamente apprezzabili intenzioni di semplificazione e riordino normativo devono in concreto fare i conti con i tempi fisiologici di assimilazione che ogni intervento di riforma richiede. Né può tralasciarsi di tenere nella giusta considerazione la peculiare natura del settore oggetto di attenzione, caratterizzato da rapporti contrattuali di durata (le gare d’appalto hanno una tempistica che spazia dai tre ai sei mesi, i contratti di esecuzione di opere o servizi sono a lungo termine, quasi sempre pluriennale). Oltre ad un naturale periodo di approfondimento, le modifiche sconteranno necessariamente un periodo di vigenza di una pluralità di normative. Quella precedente, pur essendo formalmente abrogata, continuerà a produrre effetti con riguardo ai rapporti sorti nella pregressa regolamentazione. Per inciso, ancora oggi vi sono contratti retti dal D.Lgs. 163/2006 e ciò sia per patologie, sia per durata fisiologica dei contratti.
Auspicabile, dunque, la previsione di un periodo di transizione che permetta ad imprese e pubblici funzionari di metabolizzare le nuove misure, così scongiurando il rischio di creare ulteriori incertezze in un settore troppo spesso oggetto di interventi non coordinati e privi di una progettualità unitaria.
Puntare alla semplificazione
In relazione ai contenuti, la bozza di disegno di legge (composta da due articoli, il primo dei quali articolato in sette commi) ripropone i criteri direttivi richiamati dall’articolo 12 del disegno di legge sulle Semplificazioni approvato a metà dicembre. Viene in primo luogo evidenziato l’obiettivo di restituire alle disposizioni semplicità e chiarezza di linguaggio, nonché ragionevoli proporzioni dimensionali.
Inoltre, rileva la velocizzazione dell’iter di gara, al fine di assicurare l’efficienza e la tempestività delle procedure di programmazione, affidamento, gestione, ed esecuzione degli appalti, al fine di ridurre e rendere certi i tempi di realizzazione delle opere pubbliche, nonché di esecuzione dei servizi e delle forniture; ancora, vengono previste, ulteriori semplificazioni per le procedure di importo inferiore alla soglia comunitaria. Viene, altresì, sottolineata, la necessità di eliminare i livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti per l’adeguamento alla normativa europea (cosiddetto divieto di gold plating, già contenuto nella delega del 2016).
I controlli e il ruolo dell’ANAC
Quanto ai controlli su imprese e professionisti (“a consuntivo del rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi”), il principio è quello di introdurre una razionalizzazione, in modo da recare il minore intralcio possibile al normale svolgimento delle attività. Particolarmente significativo poi è il riferimento all’accelerazione delle procedure di spesa, eliminando gli adempimenti meramente formali e favorendo la tempestività dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, ferma restando la verifica sulla sussistenza delle risorse finanziarie occorrenti.
In tema di contenzioso, si punta alla valorizzazione dei metodi alternativi a quello giurisdizionale ed alla riduzione degli oneri per i ricorsi in materia di appalti. Riguardo all’ANAC, opportuna la previsione di un potenziamento dell’attività di vigilanza collaborativa e consultiva (con focus sulle “funzioni di rafforzamento della certezza e prevedibilità delle decisioni delle Stazioni Appaltanti”), attraverso atti interpretativi, in ogni caso non regolamentari né vincolanti, volti a chiarire la portata degli adempimenti stabiliti dai decreti.
L’articolo 1 della bozza si conclude prevedendo un radicale cambio di impostazione, consistente nell’abbandono del c.d. soft law, a favore del ritorno al regolamento attuativo unico, da emanarsi entro due anni dall’entrata in vigore della legge.
Conclusioni
In generale, è senza dubbio da condividere la decisione di procedere ad una revisione ragionata del Codice Appalti, nel dichiarato obiettivo di riorganizzare il quadro normativo, assicurando certezza di regole, rilancio degli investimenti e maggiore capacità di spesa delle PA. Tuttavia, l’efficacia del percorso di riforma appena avviato dipenderà in larga misura da come detti scopi saranno perseguiti nel concreto e, soprattutto, con quali tempi. Il rischio, infatti, è che le lungaggini e gli ostacoli politico-istituzionali del percorso di riforma aggravino ulteriormente la situazione.
In tale ottica, si ritiene corretta la scelta di procedere, parallelamente agli interventi oggetto di disamina, con decreto legge c.d. “Sblocca cantieri”, attualmente allo studio del MIT, che ha garantisca tempi di approvazione brevi e contenuti in linea con le esigenze di ripresa del settore. Peraltro, v’è da osservare come tale decisione sia necessaria anche al fine di dare immediata risposta alla procedura di infrazione aperta a fine gennaio dalla Commissione Europea, nei confronti di 14 Paesi (fra cui l’Italia). Indispensabile, tuttavia, i due binari della riforma siano strutturati in modo coerente ed integrato, al fine di assicurare stabilità e chiarezza del tessuto normativo.